LA “DIFESA SERVIZI SPA”
CONSIDERAZIONI SULLA PRIVATIZZAZIONE NEL SETTORE LOGISTICO DELLE FORZE ARMATE
La “Difesa Servizi Spa” è un organismo per ora largamente sconosciuto, che nasce con la Legge Finanziaria n. 191 del 23.12.2009 e che dovrebbe costituire una innovazione nella struttura delle Forze Armate. In merito, nella citata finanziaria, si legge quanto segue:
Al par. 27: “Ai fini dello svolgimento dell’attività negoziale diretta all’acquisizione di beni mobili, servizi e connesse prestazioni strettamente correlate allo svolgimento dei compiti istituzionali dell’Amministrazione della Difesa e non direttamente correlate all’attività operativa delle Forze Armate, compresa l’Arma dei Carabinieri, da individuare con decreto del Ministro della Difesa di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, nonché ai fini dell’articolo 7 della legge 24 dicembre 1985, n. 808, nonché delle attività di valorizzazione e di gestione, fatta eccezione per quelle di alienazione, degli immobili militari, da realizzare anche attraverso accordi con altri soggetti e la stipula di contratti di sponsorizzazione, è costituita la società per azioni denominata “Difesa Servizi Spa”, con sede in Roma”. “.... le azioni della Società sono interamente sottoscritte dal Ministero della Difesa e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi”.
Al par. 32 si legge: “La società di cui al comma 27, che è posta sotto la vigilanza del Ministro della Difesa, opera secondo gli indirizzi strategici e i programmi stabiliti con decreto del medesimo Ministero, di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze. La medesima società ha ad oggetto la prestazione di servizi e l’espletamento di attività strumentali e di supporto tecnico-amministrativo in favore dell’Amministrazione della Difesa per lo svolgimento di compiti istituzionali di quest’ultima”.
Al par. 34: a proposito dello Statuto della “Difesa Servizi Spa” si precisa tra l’altro: “la nomina da parte del Ministro della Difesa dell’intero consiglio di amministrazione e il suo assenso alla nomina dei dirigenti; le modalità per l’esercizio del “controllo analogo” sulla società, nel rispetto dei principi del diritto europeo e della relativa giurisprudenza comunitaria; le modalità per l’esercizio dei poteri di indirizzo e controllo sulla politica aziendale; l’obbligo dell’esercizio della attività societaria in maniera prevalente in favore del Ministero della Difesa”.
Al par. 35 “Gli utili netti della società sono destinati a riserva, se non altrimenti determinato dall’organo amministrativo della società previa autorizzazione del Ministero vigilante. La Società non può sciogliersi se non per legge”.
Di fronte alla nascita di questo organismo c’è da chiedersi innanzitutto se costituisca qualcosa di interamente nuovo oppure possa considerarsi come legato a un retroterra già esistente al quale fa riferimento. Pare che questo retroterra possa essere, almeno in parte, assimilato a quello del “Complesso militare-industriale”.
Infatti la “Difesa Servizi SpA” può probabilmente essere intesa come una protesi, un supplemento, un ampliamento del complesso militare industriale, una “annessione” caratterizzata anche da un connotato politico.
Si afferma che la “Difesa Servizi SpA” riguarda il settore logistico, un settore che peraltro inevitabilmente si intreccia col settore operativo. Si tratta comunque di un ambito vastissimo, che va dall’approvvigionamento di strutture come caserme, di mezzi meccanici, automezzi, combustibili, viveri, indumenti, materiale di casermaggio, di arredamento uffici e alloggi, alla gestione di istituti, enti, scuole, centri di addestramento, centri di trasmissione, pubblicazioni, magazzini, arsenali, parti di ricambio. E molte altre attività che comunque sono descritte nella legge di “bilancio della Difesa”.
Anche se è difficile capire come potrà configurarsi la suddetta “Difesa Servizi SpA”, è chiaro comunque che si creerà una rete di rapporti tra sfera militare, sfera della produzione e sfera politica e che quindi si produrrà un allacciamento, come sopra accennato, alla problematica dei legami con il complesso militare industriale.
E’ quindi partendo da questa problematica che possiamo cercare di capire quali potranno essere le caratteristiche del nuovo organismo [1].
1) In cosa consiste il complesso militare industriale.
Per chiarire in cosa consiste il Complesso militare industriale, possiamo partire dalla definizione che ne ha dato anni orsono l’economista Usa S. Melman [2], secondo cui l’industria militare può operare in base a due possibilità:
a) “una situazione di concorrenza tra le imprese fornitrici del Ministero della Difesa” in cui “queste imprese – appaltatori diretti e subappaltatori – sono anche giuridicamente e economicamente autonome dal Ministero della Difesa;
b) una situazione in cui “gli appaltatori diretti sono giuridicamente delle imprese autonome, ma economicamente non sono che delle sezioni del Ministero della difesa. E’ in questo secondo caso che si parla di “Complesso Militare Industriale” (Cmi).
Il complesso nacque negli Stati Uniti agli inizi degli anni ’60 e venne promosso dall’allora Segretario del Ministero della Difesa, Robert Mac Namara.
Nel complesso militare industriale:
a) le decisioni fondamentali (quantità e tipi di prodotti, prezzo del prodotto, raccolta del capitale, ecc.) sono prese all’interno del Ministero della Difesa;
b) i dirigenti dell’impresa si specializzano nella gestione della produzione piuttosto che nella ricerca di nuovi mercati;
c) la produzione dell’impresa deve soddisfare certi requisiti molto specifici, e ciò fa passare in secondo piano la minimizzazione dei costi e la connessa massimizzazione dei profitti. L’obiettivo fondamentale dell’impresa del Cmi sembra essere in effetti “il mantenimento e l’allargamento dei sussidi governativi” [3].
Per capire il meccanismo che viene messo in essere con la creazione del Complesso militare industriale è importante tener presente che il capitale viene investito di preferenza nella produzione di armi e nel commercio di armi perché in questi settori la realizzazione del valore prodotto è garantita dalle commesse governative. Inoltre l’insorgere di conflitti e tensioni internazionali fornisce un alimento per l’esistenza di questo apparato. L’apparato logistico segue naturalmente le decisioni prese nel settore degli armamenti (“l’intendenza segue” diceva, notoriamente, Napoleone).
Il capitale finanziario (il capitale produttivo di interesse) finanzia, la produzione di armi e il commercio di materiale bellico perché è possibile portare a termine speculazioni finanziarie di vario tipo e comunque ottenere saggi di interesse elevati.
Questa è la base economica in cui si sviluppa il Complesso militare-industriale e che vede ovviamente un fondamentale coinvolgimento delle banche e che rende possibile anche un allargamento nell’ambito politico.
Circa i legami del complesso militare industriale con la produzione di armamenti è bene tener presente che, come scrive M. Pivetti [4]:
“A differenza poi che per qualsiasi altro bene, capitale e di consumo, non si pone per gli armamenti alcun problema di produzione in eccesso rispetto a fattori come l’ammontare della popolazione o l’estensione del territorio [5]. E’ del tutto indifferente per il sistema economico che successivamente alla produzione e all’acquisto gli armamenti siano impiegati, immagazzinati o semplicemente distrutti. La spesa militare può quindi essere ripetuta indefinitivamente a livelli che incontrano solo il limite posto dalla capacità produttiva di volta in volta disponibile dei settori direttamente e indirettamente interessati”.
In Italia il complesso militare industriale ha avuto un particolare sviluppo nel settore del commercio delle armi, tanto che l’Italia è stata considerata “l’albergo spagnolo” per la vendita di armi. Infatti il settore ha operato con molti limiti nella trasparenza.Tra la produzione bellica italiana più venduta all’estero è stata quella riguardante il settore delle mine, e in particolare delle mine antiuomo. Questo tipo di vendita ha avuto un riflesso negativo sull’immagine dell’Italia all’estero. Ma questa attività subì un brusco calo qualche anno or sono con la proibizione in campo internazionale, delle mine antiuomo).
L’Italia ha venduto grandi quantità di armi anche a paesi per i quali esisteva un “embargo” internazionale, come ad esempio il Sud Africa.
Il problema degli armamenti e della sua scarsa trasparenza è stato oggetto anche dell’interesse delle Nazioni Unita che a suo tempo proposero l’istituzione di un “registro degli armamenti” [6].
2) I pericoli del complesso militare industriale
Il complesso militare dunque non è esente da riflessi negativi. In merito è interessante ricordare quanto disse, il 17 gennaio 1961, in proposito, il Presidente degli Stati Uniti Generale Eisenhower nel suo discorso di congedo dalla Presidenza degli Stati Uniti. In questo discorso Eisenhower menzionò il Complesso militare-industriale e così si espresse in merito alle sue implicazioni: “...dobbiamo guardarci, nei consigli del governo, dalla ingiustificata influenza volontaria o involontaria, del Complesso militare-industriale poiché esiste, e continuerà a persistere la disastrosa crescita di un potere mal riposto. Non dovremo mai permettere che il peso di questa coalizione metta in pericolo la nostra libertà e la nostra democrazia. Non dobbiamo mai accettare nulla come scontato, e soltanto dei cittadini attenti e consapevoli potranno imporre un giusto equilibrio fra la vasta macchina industriale e militare ed i nostri fini e metodi pacifici, in modo che la sicurezza e la libertà possano prosperare insieme” [7].
In sostanza Eisenhower sentiva il bisogno di mettere in guardia il paese da un pericolo che egli aveva avuto modo di individuare come militare e come presidente e sul quale riteneva indispensabile richiamare l’attenzione di tutti gli americani.
Il pericolo di una crescita del complesso militare industriale in America era anche derivato dalla valutazione dei gravi pericoli che si profilavano e per gli Stati Uniti e che erano stati individuati già negli anni ’60 dagli analisti del Pentagono. Tali valutazioni portarono, tra l’altro, nel ‘61, il Presidente Kennedy a concepire la teoria delle “due guerre e mezzo”. Secondo questa teoria gli Stati Uniti avrebbero dovuto avere forze sufficienti per condurre simultaneamente due guerre su vasta scala, una in Europa e una in Estremo Oriente e nel contempo per affrontare un conflitto limitato (la mezza guerra) in qualche altra parte del globo.
In proposito è bene non dimenticare che in Vietnam si presentò per gli Usa il pericolo costituito dalla “guerra di guerriglia”. Il Vietnam divenne anche un terreno di verifica delle nuove armi e delle azioni tattiche di controinsurrezione. Una simile situazione favorì la crescita e lo sviluppo del complesso militare industriale [8].
Secondo John K.Galbraith [9]:
“I comitati parlamentari incaricati di un controllo sulle attività delle forze armate e sulle forniture a esse destinate, debbono ovviamente divenire oggetto di speciali sforzi. Attualmente, eccezion fatta per taluni loro esponenti, questi comitati svolgono la mera funzione di timbri di approvazione asserviti ai militari. Tanto è vero che alcune personalità liberali si sono dimostrate riluttanti, allorché si è trattato di entrare a far parte di tali combriccole....” “...Questa non è una crociata antimilitare. L’attacco non si rivolge contro i generali, gli ammiragli, i soldati, i marinai o gli avieri. Il suo scopo è di restituire l’ente militare al ruolo che tradizionalmente ricopre nel sistema politico americano, giacché esso mai è stato destinato a divenire un potentissimo comproprietario dell’industria degli armamenti; e nemmeno è stato costituito per divenire la voce guida in fatto di politica estera. I generali e gli ammiragli assurti a fama prima dell’ultimo conflitto mondiale, avrebbero un moto di stupore e finanche di orrore, nel vedere che i loro successori nella professione militare sono in realtà esponenti commercial della General Dynamics”.
3) Il problema del controllo sul “complesso militare industriale”
Il problema della possibilità di controllo politico sul complesso militare industriale rientra, per le Democrazie, nel più generale contesto del problema di controllo politico parlamentare sull’ambito militare, un problema per inciso che è stato messo in evidenza dal generale Von Clausewitz nella sua celebre formula secondo cui l’ambito militare, l’ambito della guerra, è la continuazione dell’ambito politico con altri mezzi. Clausewitz nella sua “formula” mette in evidenza il primato che deve avere l’ambito politico su quello militare. Un principio, come si è detto, ormai fatto proprio non solo dai paesi democratici ma anche in quelli in cui si è affermato il marxismo. Questo ultimo aspetto viene evidenziato dal sociologo F. Battistelli nella sua opera “Esercito e Società borghese [10]. Battistelli cita anche in proposito i saggi di Marx Engels, Kausky, Lenin, Trotskij, Togliatti, Gramsci e altri e si sofferma sulla lettura che Lenin fece dell’opera di Clausewitz “Della Guerra”.
In particolare per ciò che riguarda il problema del controllo politico sull’ambito militare scrive Battistelli: “Quanto all’influenza di Clausewitz su Lenin, è ben noto quanto questi apprezzasse Clausewitz, ma la conoscenza diretta del polemologo tedesco avvenne quando la formazione di Lenin era compiuta (la certezza della lettura del Vom Kriege, testimoniata dal citato quaderno di note di Lenin non va oltre il 1915). Ciò che non esclude che tutta una serie di osservazioni di Clausewitz siano state tenute presenti e utilizzate da Lenin nella sua elaborazione politica. E’ da notare, a quest’ultimo proposito, che quello che di Clausewitz Lenin ha approvato ed eventualmente recepito, appartiene alla dimensione politica della visione clausewitziana, e non a quella strategico-militare. In Clausewitz, Lenin cerca le intuizioni politiche (come quella della natura politica e “commerciale” della guerra, non i fondamenti di “una nuova scienza militare? (ambito del quale, fra l’altro, Lenin non si reputa un esperto)”.
In relazione a quanto precede, appare evidente che esiste in Italia un problema del controllo a livello governativo e in particolare da parte del Ministero della Difesa (ma non solo, in quanto sono certamente coinvolti in questa tematica vari altri Ministeri, come ad esempio il Ministero dell’Economia, degli Esteri, dell’Interno). Inoltre, ovviamente, il problema del controllo si pone anche a livello del Parlamento.
In proposito è bene ricordare che nel Parlamento venne istituita una Commissione d’inchiesta, la Commissione Ariosto (dal nome del suo Presidente, On. Egidio Ariosto). La Commissione venne istituita con la L. 865 del 18 dicembre 1980.
Da notare che alla Commissione fu concesso peraltro un solo anno di tempo per svolgere i suoi lavori. Il titolo della legge istitutiva fu il seguente: “Istituzione di una commissione d’inchiesta di studio delle commesse di armi e mezzi ad uso militare e sugli approvvigionamenti”.
La commissione indagò su vicende sconcertanti, tra cui quelle riguardanti la concessione per le costruzione di cacciamine alla ditta Intermarine che aveva il suo cantiere nel retroterra del fiume Magra e quella riguardante una commessa di scarpe di ginnastica per l’Esercito.
In merito alla prima vicenda venne accertato tra l’altro che i cacciamine non avrebbero potuto giungere in mare perché tra il cantiere e il mare si trovava un ponte che ne impediva il passaggio. Per quanto riguarda la seconda vicenda, quella delle commesse di scarpe da ginnastica (ben 200 mila pezzi) approvvigionati dalla ditta Lotto per l’Esercito Italiano, si scoprì, tra l’altro, che in realtà erano state fabbricate in Corea.
Purtroppo, come si è detto, questa commissione (che a parere dello scrivente dovrebbe essere una commissione permanente di controllo del Parlamento), ebbe vita per un solo anno ed è facile intuirne i motivi.
Per quanto riguarda le possibili modalità di controllo, scrive il sociologo F. Battistelli [11]: “Nel sistema politico italiano (anche se non solo italiano) il ministro è responsabile dell’indirizzo politico ma non della sua esecuzione: il ministro cioè “governa” ma non “amministra”. Questo è oggi un dato di fatto, al di là di ogni progetto o valutazione di carattere soggettivo, al quale hanno contribuito la dilatazione dell’intervento statale, la progressiva politicizzazione dell’apparato amministrativo. Due sono le conclusioni del dibattito politico e costituzionale su cui si basa la nostra analisi:
1) sempre meno l’amministrazione tende a controllare l’area politica, sociale ed economica, nei cui contenuti opera e sempre più tende a rappresentarla. (sottolineatura mia, ndr).
2) a sua volta il responsabile politico dell’amministrazione, cioè il ministro sempre meno controlla e sempre più rappresenta l’amministrazione cui è preposto”. (sottolineature mie, ndr).
Aggiunge Battistelli: “Persiste altresì tra Ministero e apparato amministrativo una interazione che sempre meno può definirsi dialettica e che sempre più si configura come una vera e propria dipendenza dell’organo politico da quello amministrativo”.
E’ in quest’ottica che probabilmente va analizzata la questione del progetto della “Difesa Servizi SpA”. Infatti ne potrà derivare un mutamento nelle possibilità del controllo politico.
Peraltro va tenuto presente che finora il controllo politico è stato esercitato praticamente solo sotto l’aspetto formale e contabile.
Circa la capacità del controllo politico in questo settore, vi è chi ha espresso anche dei giudizi più drastici, come lo storico G. Rochat, secondo cui in Italia “il controllo politico sulle forze armate non c‘è mai stato”.[12]
Scrive Massimo Bonanni nella succitata opera collettiva, “Il potere militare in Italia”, a riprova di quanto sopra, che per quanto riguarda le spese militari: “in Italia si incontrano minori resistenze nelle sedi parlamentari rispetto a quelle relative ad altri settori perché spesso non si urta contro interessi precostituiti ed anzi si trovano elementi di convergenza in merito”. Vediamo a proposito, a conferma di questa tesi, che pressoché unanimi consensi parlamentari che si sono registrati negli anni recenti circa l’impiego di forze militari in missioni all’estero.
Sempre secondo Bonanni, “il Ministro a cui venga affidato il dicastero della Difesa ha di fronte a sé due possibili alternative: di imporre una sua politica agendo contro la tecnostruttura (variandone le regole del gioco e creando una organizzazione alternativa) oppure di allearsi completamente alla tecnostruttura recependone i valori e gli obiettivi. “....” e divenendone in ultima analisi il portavoce al Consiglio dei Ministri e al Parlamento”.
Il problema del controllo degli armamenti è stato oggetto di numerose proposte di legge.
Lo scrivente avanzò una proposta di legge nel 1977 dal titolo “Norme per il controllo sull’esportazione degli armamenti”, a firma anche degli onorevoli Codrignani Giancarla, Milani, Spinelli e Fracanzani. Tale proposta fu fortemente avversata nell’ambito del complesso militare industriale.
In merito F. Battistelli richiama in un suo libro [13] uno scritto dell’Ing. Stefanini, presidente dell’Oto Melara pubblicato sulla rivista Aviazione di linea Difesa e spazio (1977 n. 113 pag. 161), nel quale si legge: “Ogni proposta di intensificare il controllo sulle esportazioni belliche – come quella presentata dalla Camera da Accame ed altri nel 1977 – è dunque accolta con estremo allarme dagli industriali”.
Con riferimento al succitato scritto aggiunge Battistelli: “Vede onorevole – dice ad Accame l’ingegner Stefanini – nel corso di un dibattito destinato a rimanere negli annali del nascente complesso militare industriale italiano per la qualità degli interventi e per la spregiudicatezza della discussione – noi abbiamo seguito il suo progetto di legge e ci siamo spaventati, perché già con le leggi che ci sono ora ci troviamo in grande difficoltà; è talmente difficile esportare che ci sembra che una recrudescenza delle norme ci renderebbe la vita pressoché impossibile”...
Per scongiurare la minaccia di limitazioni all’esportazione, Battistelli ci ricorda che l’ingegnere Stefanini fa appello alla responsabilità rappresentata dalle 10 mila famiglie che vivono sulla produzione militare delle sue due aziende. “Noi siamo povera gente che senza nessun aiuto, né del governo né di nessun altro, teniamo in piedi le nostre aziende e cerchiamo di tenere questi posti di lavoro – assicura ad Accame Stefanini – Lei non ci deve guardare come dei fanatici mercanti di cannoni, assolutamente no, noi siamo della gente che cerca del lavoro e basta”. “Per noi – conclude Stefanini – i mille carri armati o i cento carri armati o i 10 missili rappresentano ore di lavoro (...). Se potessimo veramente fare trattori, le do la mia parola che preferiremmo fare trattori”.
4) Gli effetti collaterali
Si è già fatto cenno ad alcuni aspetti di questa problematica, ma possiamo indicarne altri che hanno lasciato una traccia nel nostro Paese.
Pensiamo ad esempio al grave problema delle tangenti che si è creato in ambito del commercio di armi. Ad esempio nello scandalo Lockheed [14], concernente la vendita di aerei di tale ditta all’Italia. Possiamo ricordare quanto ha scritto in proposito il Gen. Nino Pasti [15]: tutto l’affare Lockheed dimostra in maniera molto esplicita come un Capo di Stato Maggiore di Forze Armate in accordo con il Ministro della Difesa ha un potere decisionale incontrollato e assoluto nell’acquisto di materiali d’armamento anche quando questi non servono alla difesa del paese, anche quando sulle richieste si inseriscono fatti illeciti.
Pensiamo, per quanto riguarda invece la vendita di armi dall’Italia ad altri paesi, alla tangente di 180 miliardi di vecchie lire che venne pagata dall’Italia per vendere una flotta di navi all’Iraq (si tratta di quattro fregate, sei corvette e un rifornitore di squadra). La maxitangente venne denunciata dallo stesso ministro della Difesa pro-tempore, On. Spadolini. Potremmo altresì citare la vendita di una grandissima quantità di armamenti alla Libia nel 1973. Una vicenda che ebbe anche pesanti conseguenze processuali.
Per quanto riguarda gli effetti collaterali coinvolgenti il campo economico è da menzionare il fatto che la produzione bellica produce effetti inflazionistici. Potremmo in proposito citare quanto affermò l’economista F. Caffé in un suo scritto “Armamenti e inflazione” a proposito di alcune critiche negli Usa alla politica degli armamenti.[16]
Un altro aspetto degli effetti collaterali riguarda la “trasmigrazione” di personale militare nell’industria bellica. E’ successo infatti che numerosi militari, specie di alto grado, lasciassero il servizio per passare all’industria bellica. E’ un problema che ha avuto origine negli Stati Uniti già nel 1969-70. Vedi il rapporto Edward Hebert. Hebert in cui venne proposta una legge che poneva delle limitazioni al passaggio di militari nell’industria bellica.
Circa il passaggio di militari nell’industria bellica, scrive Claude Moisy17: “Il pericolo non consiste soltanto nell’influenza che i “generali-businessmen” possono esercitare a beneficio delle industrie belliche. la prospettiva di un impiego altamente remunerativo può indurre un ufficiale superiore che abbia grosse responsabilità nell’attribuzione o nella gestione dei contratti di appalto a dar prova di “comprensione” nei confronti della società con la quale si trova a trattare. Non è raro infatti che una ditta assuma, al momento del congedo, il generale o l’ammiraglio incaricato dell’esecuzione di uno dei suoi programmi....” ...”il generale Earle Wheeler, Capo di stato maggiore interarmi, non condivide però le apprensioni del senatore Proxmire e di altri parlamentari di fronte al reclutamento massiccio di ufficiali per le industrie belliche. “Secondo me, sono pochissimi coloro che cercano di approfittare della loro vecchia posizione nelle forze armate per venderci materiale bellico – dichiarò un giorno baldanzosamente a Warren Rogers, corrispondente del Look di Washington. – I nostri ufficiali non sono dei mercanti”.
In Italia il fenomeno ha avuto un ampio sviluppo [18]. Basti in proposito citare il caso di un Segretario generale della Difesa, responsabile perciò dei contratti tra Difesa e Industria, che passò direttamente da questo incarico ad un incarico di rilevantissimo livello in una delle più grandi industrie di armamento bellico italiano [19].
In Parlamento sono state avanzate proposte per limitare il fenomeno [20].
Un altro aspetto della questione riguarda le modalità di sicurezza (in particolare concessione del Nos – nullaosta di sicurezza/segretezza) che potranno essere stabilite nei riguardi delle ditte facenti parte della “Difesa Servizi Spa”.
Questa questione tocca il tema della selezione delle ditte autorizzate a fornire approvvigionamenti alla Difesa. A queste ditte deve essere infatti concesso il nullaosta di sicurezza/segretezza (il NOS). Finora questo “lasciapassare” è stato rilasciato dall’UCSI (ufficio centrale di sicurezza, ribattezzato UCSE nella L. 124/2007). Tra l’altro la procedura di rilascio del Nos a ditte fornitrici della Difesa ha già in passato suscitato non poche perplessità. La questione è stata anche oggetto di esame da parte del Copaco (il Comitato di controllo parlamentare sui servizi segreti e sul segreto, attualmente ridenominato Copasir). Ad esempio nella relazione del Copaco del 6 aprile 1995 (pag. 40) a firma dell’On. Massimo Brutti si legge che “è necessaria una profonda revisione alla procedura attinente al Nos”.
Altra problematica, ancora, riguarda l’influenza che può essere esercitata dai Servizi Segreti nel settore.
Può essere interessante ricordare in merito che in Italia anche i Servizi Segreti vennero a suo tempo interessati a promuovere la vendita di armi. Venne prodotta anche una circolare per gli addetti militari accreditati all’esterno, contenente l’invito a compiere ogni azione di sostegno alla esportazione bellica italiana.
Scrive in proposito F. Battistelli nella citata opera “Armi: nuovo modello di sviluppo” (pag. 260-61): “Per quanto riguarda i servizi segreti, dopo una pausa succeduta al ‘suicidio’ del colonnello Rocca responsabile dell’ufficio ‘Rei’ del Sifar e grande patrono dell’industria militare italiana, un nuovo dinamismo viene impresso dalla direzione del nuovo ufficio ‘Ri.S.’ (Ricerca e Sviluppo, n.d.r.) ad opera del generale Michele Correra. Lasciando l’incarico nel 1975 il Generale Correra appoggia la nomina di un suo successore destinato istituzionalmente ad un ruolo di primo piano nel comitato interministeriale che decide delle licenze di esportazione. Un normale avvicendamento gerarchico se non per il fatto che a pochi giorni dal pensionamento lo stesso Correra viene assunto alla Selenia, una delle maggiori società esportatrici di materiali bellici, passando così da controllore a controllato (da parte del successore che ha contribuito a nominare). La Selenia, peraltro, è direttamente rappresentata nel comitato interministeriale da un proprio dipendente, l’ingegner De Martino, che funge da esperto del Ministero dell’Industria”.
5) La problematica dell’approvvigionamento di materiali alla Difesa in rapporto al contesto europeo
La proposta di creare in Italia l’organismo “Difesa Servizi Spa” e la possibilità di controllo governativo e parlamentare, va messo in relazione anche a quanto già esiste in campo europeo a proposito dell’integrazione delle industrie che operano nel settore della Difesa. Si tratta di un problema che si è posto fin dalla nascita dell’Unione Europea.
Un primo provvedimento in merito fu quello legato alla presentazione del rapporto Klepsch dell’8 maggio 1978 [21]. Questo rapporto si riferisce alla possibilità di istituire un unico mercato comunitario di equipaggiamenti militari che avrebbe dovuto costituire l’elemento portante dello sviluppo di una politica industriale comune europea intesa in senso globale, evitando però di trasformarsi in un complesso militare industriale. In proposito lo stesso Klepsch mette le mani avanti: “Lo scopo della mia relazione non è quello di creare un nuovo complesso industriale nell’Europa occidentale” [22].
Ancora in campo europeo è da menzionare che venne proposto un progetto di un’”agenzia europea degli armamenti”. L’agenzia venne pensata come uno strumento per realizzare la produzione bellica europea in cui tutti avrebbero potuto contribuire con propri armamenti.
6) Tentativi del passato di realizzare un accordo sugli approvvigionamenti della Difesa
Può essere utile ricordare che nel luglio-agosto 1982 questo problema venne affrontato con il decreto legge 428/82, in seguito a una richiesta del Ministro per la Protezione Civile pro-tempore, l’on. Zamberletti, in relazione appunto alle attività di emergenza affrontate dal suo Ministero, attività per le quali si rendeva necessario saltare alcuni pareri preventivi sui mezzi necessari per le operazioni. In proposito si sosteneva che ci si sarebbe dovuti affidare al solo giudizio di un apposito “Comitato tecnico“stabilendo che vi potesse essere solo un controllo “a posteriori” da parte della Corte dei Conti.
Naturalmente si trattava di un modo di procedere che poteva far sorgere degli effetti collaterali.
Era in questione tra l’altro la possibilità di avvalersi della trattativa privata nei riguardi di enti, società ed imprese che avessero particolare competenza e idonei mezzi tecnici e fossero da considerare “di fiducia”. Si può osservare per inciso che una simile problematica si è ripresentata in tempi recenti con le commesse per il “G8”.
In queste procedure vi è il pericolo delle deroghe, come quella che è stata adottata in alcune leggi sulle forniture militari, in cui viene stabilito che i pareri su determinate commesse non dovrebbero più essere considerati come vincolanti ma solo come obbligatori.
In sostanza la preoccupazione riguarda, nei limiti in cui è accettabile, lo svincolamento da normative esistenti relative ai controlli. In passato si cercò di stabilire delle modalità appropriate. Vedi ad esempio la proposta di legge 1197 del 1986 presentata dai deputati Alberini, Cerquetti, Di Re, Zamberletti, “Provvedimenti per l’area tecnico-amministrativa della Difesa”.
Per ora si conoscono solo le linee generali in base alle quali verrà costituita la “Difesa Servizi SpA”. Ma è bene preoccuparsi fin da ora, quanto meno, del fatto se potranno valere adeguati principi di controllo da parte del Parlamento e da parte di altri organi istituzionali, e ciò per evitare che si ripropongano condizioni che in passato hanno destato non poche preoccupazioni, in merito ad alcune delle quali si è fatto cenno nel presente scritto.
In conclusione, giunti al termine di questa riflessione circa le procedure relative alle commesse in ambito militare, non possiamo non mettere in guardia, in relazione alla nascita dell’organismo “Difesa Servizi Spa”, da possibili improvvisate, superficiali valutazioni, e ciò per il fatto che potrebbero trarre vantaggi determinati gruppi industriali e determinati settori della burocrazia civile e militare della Difesa e anche per evitare che possano essere aggirate alcune possibilità di controllo da parte delle Istituzioni. Vi è inoltre la preoccupazione che possano sorgere organizzazioni parassitarie in grado di compiere attività speculative ed affaristiche, anche in contrasto con gli indirizzi per lo specifico settore individuati a livello governativo e parlamentare.
Falco Accame
Presidente Anavafaf
Note:
1] Per rifarsi ad una nota formula del generale Von Clausewitz “La Difesa Spa” potrebbe forse essere considerata come la “continuazione in altre forme del complesso militare industriale”.
2] Ten propositions on the war economy – American Ec. Review 1972.
3] Ma vedi anche i lavori pionieristici di G. Galbraith “Il nuovo spazio industriale”, Torino 1968 e “Il potere militare negli stati Uniti”, Milano 1970. Di C. Wright Mills, “La élite al potere”, Feltrinelli, 1966
Su questo tema vedi anche G. Graziola (Possibilità e conseguenze di un processo di riconversione dell’industria bellica, in AA.VV., Il problema degli armamenti. Vita e Pensiero, 1980, pag. 73).
4] M. Pivetti, Armamenti ed Economia, Angeli, 1969, pag. 12.
5] Si potrebbe parlare di produzione in eccesso rispetto alle esigenze della sicurezza nazionale. Ma queste dipendono dall’idea che si ha di sicurezza nazionale, idea che può mutare continuamente anche, ad esempio, perché si è deciso di aumentare le spese militari,
6] La questione della scarsa trasparenza in materia di commercio di armi è stata oggetto dell’attenzione delle Nazioni Unite. Nel 1978 l’Assemblea Generale con la risoluzione 36/67 dette il via ad un esperimento di registrazione standardizzata di dati sulle spese militari. Nel 1991 venne istituito il registro delle armi convenzionali. Il 15 dicembre 1992 l’Assemblea Generale adottò la risoluzione 47/52L sulla trasparenza in materia di armamenti. (vedi New Dimensions of arms regulation and disarmament in the post cold war era (United Nation pubblication sales no. L.93IX8).
7] vedi G. William Fulbright, “La macchina di propaganda del Pentagono, Editori Riuniti, 1972.
8] Per inciso, l’esperienza del Vietnam costrinse gli Usa a riflettere sull’insegnamento di Clausewitz secondo cui “Appena il dispendio di forza diviene così grande che il valore dello scopo politico non lo compensi più, tale scopo deve essere abbandonato...”. Ma fece riflettere gli Usa anche sul fatto che forse la guerra del Vietnam avrebbe potuto essere stata evitata. Questa considerazione a sua volta ci rimanda a quanto ebbe ad affermare Norberto Bobbio (Il problema della guerra e le vie della Pace, Il Mulino 1984) secondo cui “Che ci siano sempre state guerre non implica affatto che ci siano state tutte le guerre che avrebbero potuto esserci”.
9] John K.Galbraith (“Il potere militare degli Stati Uniti”, Mondadori, 1969, pagg. 70-71).
10] F. Battistelli, “Esercito e Società borghese. L’istituzione militare moderna nell’analisi marxista”, Savelli 1976, pag. 63.
11] F. Battistelli, Sociologia della corsa agli armamenti. Teoria e pratica del riarmo negli anni ’80. Il Mulino, n. 286, 1983, pag. 200.
12] Vedi: AA.VV., Il potere militare in Italia, Laterza, 1971 a cura di C. Forcella.
13] F. Battistelli, “Armi: nuovo modello di sviluppo”, Einaudi 1980, pag. 264-265.
14] Sulla vicenda Lockheed vedi Il processo Lockheed, “Supplemento a giurisprudenza costituzionale”, anno XXV n. 10.
15] Nino Pasti, “Falchi, colombe e struzzi. Problemi militari”, Carecas 1978, p. 56.
16] Vedi rivista L’amministrazione della Difesa n. 3, 1973, ed anche nella stessa rivista lo scritto contenuto nel n. 4/69: Esiste un dilemma armamenti o disoccupazione.
17] Claude Moisy, L’America sotto le armi, Editori Riuniti, 1972, pagg. 75-76.
18] Possiamo anche ricordare la vendita alla Libia di un’enorme quantità di armamenti. Nelle commesse alla Libia anche qualcosa di paradossale perché questa vendita alla Libia suscitò tra l’altro una presa di posizione italiana concernente la “minaccia libica”. Infatti l’allora capo di stato maggiore della Marina, Ammiraglio Monassi, intervenendo all’assemblea dell’Unione Europea occidentale alla fine del 1981, ricordava ai parlamentari la minaccia rappresentata nel Mediterraneo dalla Marina libica “dotata di moderne unità missilistiche”. Quattro corvette libiche (armate con i missili antinave Otomat della Oto-Melara) sono state costruite in Italia, mentre una fregata libica, di costruzione britannica, venne riequipaggiata con armamento italiano (tra cui gli Otomat). Il paradosso dunque di aver causato un riarmo libico che poteva veniva considerato addirittura come una minaccia per l’Italia.
19] Il Comandante A. D’Amato, ex ufficiale di Marina, addetto ai rapporti del settore elettronico della Montedison, con la pubblica amministrazione, in uno scritto su “Difesa Oggi” 1977, pag. 83, dal titolo “Le forze armate clienti di se stesse”, afferma che “Ai militari in quanto responsabili delle attività di ordine superiore rispetto a tutte le altre che concorrono alla difesa del Paese [...] compete il ruolo di coordinamento per una politica di sviluppo del potenziale industriale”. “La proposta mira alla creazione presso il Ministero della Difesa, di un Direttore Generale degli armamenti. Vedi in proposito anche F. Accame, “Uno stivale pieno di armi”, Critica Sociale, 22 giugno 1979.
A proposito di questa problematica Maurizio Simoncelli nel libro “Armi, affari, tangenti” (Ediesse 1994, pag. 33) fa un elenco di alti ufficiali passati all’industria.
“Per quel che riguarda le Forze armate italiane numerosi erano e sono gli alti ufficiali transitati sino ad oggi, in qualità di dirigenti o di consulenti, nei vertici delle aziende. Ne ricordiamo qui solo alcuni: Francesco Mereu, ex capo di stato maggiore dell’esercito, poi presidente della Lancia veicoli speciali; Giuseppe Aloja, ex capo di stato maggiore della Difesa, poi presidente dei Cantieri navali di Taranto; l’ammiraglio Enzo Zanni, vicepresidente della Breda meccanica Bresciana; Aldo Rossi, ex capo di capo di stato maggiore della Difesa, poi vicepresidente della Contraves; il generale Mario Matacotta, vicepresidente dell’Aeronautica Macchi; il generale Valentini, ex vicecapo di stato maggiore dell’aeronautica, poi presidente dell’Aeritalia.
Il fenomeno non rimane isolato nel tempo, tant’è che ancora ai primi anni novanta si troveranno altri ufficiali in ruoli analoghi: il generale Fulvio Ristori, presidente dell’Alfa Romeo Avio; l’ammiraglio Angelo Monassi, presidente della Selenia Elsag sistemi navali; l’ammiraglio Filippo Ferrari Aggradi, presidente onorario della Lips italiana, il generale Mario Rossi vicepresidente della Breda meccanica bresciana, il Generale Piovano, vicepresidente dell’Oto Melara, il Generale Basilio Cottone vicepresidente dell’Agusta”.
20] Ad esempio la proposta di legge Accame 2275/1978 “Limitazioni per il passaggio di alti ufficiali delle forze armate nell’industria degli armamenti”.
21] “Rapporto Klepsch per una industria europea degli armamenti”, La Pietra Ed., 1979. Vedi anche un breve riassunto di questo rapporto in Corriere della Sera, 9 maggio 1979, “Perché la CEE non ha un esercito”, a firma di D. Fe.
22] Per inciso potremmo ricordare che questa preventiva presa di posizione di Klepsch può essere vista come una specie di “de-negazione”, del tipo di quella di cui ci ha parlato Freud, quando accenna al suo paziente, il quale afferma: “ma questa non è mia madre” (riferendosi alla donna che nel sogno voleva uccidere), una frase che Freud interpretava in senso esattamente opposto, cioè nel senso che era proprio la madre che il paziente voleva uccidere.
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