Uscire dalla crisi |
|
Ufficialmente l’operazione inizia ai tempi del Governo Amato con l’indiscriminato prelievo forzoso su tutti i conti bancari dei cittadini e delle aziende, prosegue con la sparizione dalla circolazione degli ingentissimi e famosi residui passivi depositati in Bankitalia e poi dissolti, con gli altissimi tassi imposti dalle cosiddette ed autoproclamate “autorità monetarie”, (non elette mai da nessuno, risulta perciò incomprensibile l’audizione concessa dal Parlamento al presidente ABI, associazione privata dei banchieri) con l’invenzione delle fulminee quotazione in borsa delle società della “new economy” i cui titoli stragonfiati artatamente nei valori di quotazione sono poi stati sgonfiati nelle mani dei privati investitori, con il cronico ritardo dei pagamenti da parte di tutte le Pubbliche Amministrazioni e dei grossi gruppi industriali, con l’invenzione dei “bond cabriolet” ampiamente scoperti di Cirio, Parmalat, Argentini, Banca 121, e così via, distribuiti e spinti dalle banche spesso con azioni truffaldine, con la sottrazione del TFR alle aziende che ha provocato loro un’ulteriore indebitamento nei confronti del sistema bancario, con il subdolo stratagemma d’invenzione tipicamente bancaria di ricorrere alla foglia di fico di Basilea 2 per ridurre alla unità produttive gli affidamenti esistenti.
Il colpo di grazia, il dissanguamento finale del mercato, già pesantemente debilitato da tutti i salassi da cavallo praticati in precedenza, è avvenuto in concomitanza della crisi internazionale ad opera dei fantasmagorici titoli derivati, divenuti poi tossici, escogitati come sempre dai banchieri privati, in prevalenza americani, sui quali si sono scaricati oltre ai mutui fasulli anche le passività generate in sede di emissione monetaria delle banche d’emissione private.
Tutto ciò è avvenuto nella più assoluta indifferenza e disinteresse di tutti gli organi preposti al controllo ed alla vigilanza dell’andamento monetario e borsistico nazionale, a tal punto da sollecitare il Ministero del Tesoro e dell’Economia a voler rivedere completamente il privato sistema di controllo e garanzia e provvedere, al fine di tutelare il mercato e gli investitori, con proprie strutture ministeriali di vigilanza e controllo.
Si è così distrutta definitivamente la residua liquidità dei cittadini, delle aziende, delle Pubbliche Amministrazioni, sino a colpire anche alcune banche ordinarie ammaliate da chi parlava inglese, con lo scopo sempre perseguito dai banchieri centrali, d’incrementare il debito pubblico e privato a loro favore per acquisire ulteriore ricchezza e sempre maggior potere.
Occorre tenere sempre presente che mentre la liquidità sul mercato veniva prosciugata con una serie infinita di espedienti, il debito acceso in contropartita alla relativa emissione monetaria che veniva fatta man mano sparire, rimaneva sempre in essere e si andava a sommare a quello precedente.
Con il giochetto di ritirare continuamente liquidità dal mercato in tutte le occasioni e circostanze possibili, per poi reintegrarla (in misura sempre leggermente inferiore a quella ritirata, secondo la tecnica della rana bollita) con nuova emissione monetaria e la conseguente creazione di nuovo debito dovuto proprio al meccanismo di emissione monetaria lasciata in mano alle banche d’emissione private, si è realizzato il formidabile debito sia pubblico che privato che opprime indifferentemente Pubbliche Amministrazioni e privati cittadini, divenuti sempre più precari, incerti, instabili ed insicuri.
Tutto ciò, unito all’asfittica circolazione monetaria imposta a tutti, finisce per allontanare, penalizzare ed appesantire la ripresa economica nazionale, per conseguire la quale , non ci stancheremo mai di sostenere che potrà avvenire unicamente con il rilancio della piccola e media impresa e con il riassorbimento della disoccupazione che intanto continua a crescere. Ovviamente tutto ciò si potrà realizzare unicamente se e quando sarà possibile ridisporre degli adeguati finanziamenti capaci di far riprendere in misura stabile la necessaria circolazione monetaria a basso costo.
Giova anche ricordare che il “modus operandi” del sistema bancario, in special modo quello più marcato dall’accento anglosassone e dalla componente dei poteri forti, riconducibile all’area Unicredit e Banca Intesa (entrambe detengono con oltre il 66 % la maggioranza delle quote di Banca d’Italia), nei confronti del sistema produttivo, deriva in gran parte dalla rimozione del divieto, prima esistente nella vecchia legge bancaria per tutte le banche ordinarie, di possedere quote di partecipazioni delle aziende produttive. La nuova legge bancaria approvata nel 1994 ha rimosso questo divieto.
Le conseguenze a questa semplice e solo in apparenza innocente rimozione, oggi si avvertono più pesantemente che mai e sono sotto gli occhi di tutti. Pochi ne parlano, anche se dovrà essere la prima regola da ripristinare se si vuole seriamente disciplinare il comportamento delle banche ordinarie la cui funzione dovrà ritornare ad essere unicamente quella di fornire il relativo servizio al mercato produttivo. Servirà a restaurare il rapporto corretto tra erogatori di credito e strutture produttive utilizzatrici.
Le ragioni sono facilmente intuibili, basti pensare in quale situazione di stabilità e continuità si possa trovare la linea di credito una azienda sana che abbia la disgrazia d’imbattersi in una sua concorrente partecipata da una o più banche e quale interesse possa avere una banca a fornire liquidità ad una azienda quando stringendola ancor più, magari utilizzando i parametri di Basilea 2 e conseguente richiesta di rientro degli affidamenti esistenti, può impadronirsi delle sue azioni a valore dimezzato o dell’azienda stessa. Al divieto di raccolta di denaro imposto per legge a tutte le attività non bancarie, per simmetria deve corrispondere il divieto alle banche di possedere quote di partecipazione delle attività non bancarie e produttive.
Questa, unitamente alla ineludibile regolamentazione dell’attività finanziaria, è una delle regole essenziali che dovrà essere ripristinata per scongiurare nuove crisi future che sicuramente continueranno a formarsi se si lascia alle banche la possibilità di possedere partecipazioni di aziende produttive e svolgere l’attività finanziaria utilizzando i relativi titoli in loro possesso.
In ogni caso se si vuole tentare di salvare la struttura produttiva nazionale formato dalle Piccole e Medie aziende, e ciò che più conta, non disperdere il capitale umano non facilmente riformabile in breve tempo, grazie al quale riusciamo ancora ad essere la seconda nazione manifatturiera europea, è necessario rimettere immediatamente sul mercato almeno la liquidità necessaria per far ripartire i consumi interni e mantenere in piedi ciò che resta dell’attuale sistema produttivo.
Dare credito ai soliti economisti di marca bancaria che suggeriscono di non fare nulla in questo senso (sono sempre quelli ancora arroccati a difesa del libero mercato) ed attendere la ripresa economica internazionale per agganciare ad essa la ripresa dell’attività produttiva nazionale, si corre lo stesso rischio che abbiamo corso quando sino a pochi giorni prima dell’esplosione della crisi dovuta alla delinquenziale attività finanziaria degli osannati banchieri, continuavano a sostenere che tutto procedeva per il meglio e in nome del libero mercato non si doveva imporre nessuna regolamentazione. Nulla facendo, se e quando riprenderà l’economia internazionale, non potremo agganciarci a nulla poiché nel frattempo il nostro sistema produttivo sarà definitivamente collassato. Se le attuali condizioni non consentono al nostro sistema produttivo di produrre per l’estero, come da consolidata nostra vocazione, occorre rapidamente riconvertire quanto più possibile il nostro apparato e produrre per il mercato interno. Ciò risulta perfettamente fattibile poiché:
- il nostro sistema produttivo è costituito in larghissima parte da piccole e medie imprese estremamente agili e flessibili, capaci di diversificare anche in breve tempo la propria attività produttiva;
- sul nostro territorio nazionale sono necessarie da tempo una serie d’interventi strutturali di grandissima ed improcrastinabile portata i quali hanno anche la caratteristica di veri e propri investimenti produttivi. Solo a titolo esemplicativo e non esaustivo basta pensare :
- A) realizzazione delle infrastrutture necessarie su tutto il territorio nazionale con particolare riferimento all’Italia centrale e meridionale finalizzate all’armonico sviluppo del Paese.
- B) opere necessarie alla messa in sicurezza di tutto il nostro territorio minacciato sempre più spesso da frane, alluvioni, problemi idrogeologici. Opere di rimboschimento ecc. ecc.
- C) Messa in sicurezza di tutte le nostre scuole ed edifici pubblici in grandissima parte fuori norma e con seri problemi anche di stabilità.
- D) Necessità di varare in tutti i settori produttivi un sostenuta attività di ricerca al fine di colmare il divario tecnologico esistente con i nostri paesi concorrenti.
Tutto ciò ritenuto in questi ultimi anni irrealizzabile per mancanza di adeguate risorse finanziarie, è perfettamente fattibile se ritorniamo all’emissione monetaria diretta da parte dello Stato. Questo incamera il signoraggio, che si realizza sempre in queste circostanze, a titolo originario e contestualmente al pagamento delle opere di pubblica utilità, rimonetizza e rivitalizza l’esausto mercato, senza indebitarsi con nessuno. Alle solite cornacchie bancarie che a fronte di queste proposte cominceranno a strapparsi le penne paventando l’incombente inflazione, dobbiamo ricordare loro che non è la quantità di moneta che deve essere sottoposta a controllo quanto il rapporto tra circolazione monetaria e beni da misurare. Se si aumentano i beni e le opere, non solo si può ma si deve aumentare ed incrementare della stessa misura la circolazione monetaria. Il mercato resta stabile e la Nazione si sviluppa. Con questi presupposti tollerare la disoccupazione e dilapidare le pubbliche risorse della cassa integrazione è da irresponsabili.
Occorre rivedere i rapporti esistenti tra la Pubblica Attività e l’apparato bancario e monetario; non tanto per evitare il riconoscimento ufficiale da parte del Parlamento all’ABI a seguito dell’audizione del presidente Faissola, quanto per non consentire la pubblica ed ufficiale enfatizzazione delle lamentele dell’apparato bancario nei confronti di comportamenti degli organi ufficiali dello Stato.
L’avversità della pubblica opinione nei confronti del mondo bancario non è dovuta alle esternazioni, sempre più circostanziate del Ministro Tremonti e di altri esponenti pubblici quanto dal comportamento delle stesse banche nei confronti del mercato e della propria clientela.
In Italia i costi bancari sono tra i più alti del mondo: da sempre hanno tradito la propria clientela nel consigliare titoli e bon farlocchi, i tassi praticati in assoluta autonomia rasentano quasi sempre quelli usurai, approfittando dell’asfittica circolazione monetaria esistente le condizioni pretese anche per modesti affidamenti sono sempre più vessatorie, scarsissima trasparenza nei rapporti contabili con pretese di giorni valuta nelle operazioni di conto corrente (nonostante che oggi le comunicazioni avvengano in tempo reale) al limite della decenza, il perenne rapporto conflittuale nei confronti del mondo produttivo. Tutto ciò ed altre amenità di questo tipo sicuramente non attirano simpatie al mondo bancario.
Al punto che siamo si rende sempre più indispensabile l’intervento dell’Esecutivo politico, non tanto per raffreddare i risentimenti della popolazione nei confronti dei banchieri che finiscono poi per mettere in pericolo i propri bancari, sempre più spesso percossi e minacciati. (lo scorso luglio la direttrice di una filiale Unicredito di Settimo Torinese e stata gambizzata ed ovunque si registrano insofferenze diffuse da parte della popolazione che sempre più viene spinta nelle braccia degli Usurai)
L’aumento del credito concesso al mercato vantato dal presidente Faissola non riguarda tanto il sostegno alle attività produttive, quanto il progressivo indebitamento delle famiglie che non arrivano più a fine mese.
E le stelle stanno a guardare. Fino a quando?
Nessun commento:
Posta un commento