I disoccupati dovrebbero sempre abbozzare? | |
I ministri del governo italiano, ma anche quelli degli altri Paesi europei, hanno una maniera molto curiosa per valutare le conseguenze della crisi economica. Costoro infatti sembrano più preoccupati delle reazioni esasperate dei lavoratori che si sono visti mettere sulla strada, in altre parole licenziati, da quegli stessi manager che il mese prima avevano incassato stipendi e bonus miliardari, piuttosto che, come sarebbe più logico, interessarsi del fatto che ci sono migliaia di persone buttate fuori dal mondo del lavoro e con scarse prospettive di rientrarci. Una realtà di rabbia diffusa, frammista ad un nascente odio di classe da parte di un ceto medio ormai proletarizzato, che assume contorni particolarmente accentuati nelle banche e nelle società finanziarie. Le stesse corresponsabili della crisi scoppiata l’anno scorso negli Stati Uniti e poi diffusa in tutto il mondo colpendo l’economia reale e i posti di lavoro. I fatti che hanno messo sull’avviso i politici nostrani ed esteri sono di per sé noti. In Francia i dipendenti della Caterpillar hanno sequestrato per qualche ora alcuni manager, mentre il finanziere Pinault, proprietario di diversi marchi operanti nel settore del lusso, ha sudato freddo quando ha visto il suo taxi circondato da una folla inferocita. Alcuni dipendenti della sede Fiat di Parigi hanno sequestrato per alcune ore i manager che avevano deciso consistenti tagli occupazionali.
In Gran Bretagna invece c’è stato l’assalto alla casa privata dell’ex amministratore delegato della Royal Bank of Scotland, uno degli istituti maggiormente messi in crisi dalle proprie speculazioni e dagli azzardati investimenti in titoli spazzatura.
I governi si erano probabilmente convinti che bastasse una spruzzata di interventi come cassa integrazione, sussidi di disoccupazione o simili per garantire la pace sociale. Ma non aveva fatto i conti con la consapevolezza della maggior parte dei lavoratori che ci troviamo di fronte ad una svolta epocale, e che ci siamo lasciati dietro un periodo nel quale gli speculatori si sono arricchiti in maniera indecente grazie ai meccanismi della finanza virtuale ed hanno operato un massiccio trasferimento a sé stessi dei beni dell’economia reale globale. Pensare che questo meccanismo potesse essere ancora tollerato, dopo tutti gli sconquassi che aveva provocato, era davvero troppo. Soprattutto dopo che i governi avevano fatto poco o nulla per impedire alla speculazione di agire. Allo stesso modo era impensabile pretendere che non vi fosse nessuna reazione da parte dei dipendenti licenziati. Invece l’unica iniziativa dei politici italiani ed esteri è stata quella di deplorare queste reazioni di massa. Certo, bisogna convenire che se la situazione peggiorasse, e se la recessione si trasformasse in depressione con altissimi livelli di disoccupazione, il disagio sociale potrebbe portare anche a rivolte di piazza con assalti ai supermercati e scontri con le forze dell’ordine innescati da chi non ha più niente da mangiare perché non se lo può comprare.
Tale prospettiva negli ambienti del governo italiano deve essere considerata piuttosto concreta visto che è stata paragonata a fenomeni che nulla hanno a che vedere con la realtà odierna. Aveva cominciato il segretario di Rifondazione Comunista, Paolo Ferrero, usando parole comprensive per quei lavoratori che all’estero avevano sequestrato per qualche ora i manager, per poi aggiungere testualmente: “Se fossi disperato anch’io sequestrerei un manager e lo chiuderei a chiave”.
Non l’avesse mai detto! L’uscita di Ferrero ha innescato la reazione del ministro del Lavoro, l’ex socialista Maurizio Sacconi, che giocando con la storia e con la logica ha svolto un paragone piuttosto azzardato con la realtà da cui scaturirono le Brigate Rosse. Secondo il ministro è “gravemente colpevole, incoraggiare comportamenti, come quelli del sequestro di manager come è successo soprattutto in Francia”. Quindi, “occorre tolleranza zero verso ogni forma di violenza politica perché poi potrebbe generarsi una soluzione ancora peggiore”. Anche perché questo succede “in un Paese, come l’Italia, che ha conosciuto un fenomeno unico e non paragonabile come alcun altro Paese industrializzato cioè un terrorismo ideologizzato, durato 40 anni e non ancora del tutto estirpato”. Sacconi, dopo aver ricordato i pochi anni trascorsi dall’assassinio di Marco Biagi e la individuazione di cellule brigatiste a Milano e Padova, ha invitato a fare attenzione. “Queste non sono soltanto modalità esasperate di contestazione ma possono preludere a qualcosa di peggio”.
In questa fase semmai, di peggio vi può essere solo l’aggravarsi della crisi e paventare un ritorno delle Brigate Rosse appare privo di senso visto che la nascita dell’organizzazione che insanguinò l’Italia si verificò all’interno di un periodo contrassegnato da profonde contrapposizioni ideologiche e sociali in Italia come a livello internazionale, in conseguenza della divisione del mondo in blocchi. E che la scelta brigatista fu per molti militanti di sinistra una scelta quasi inevitabili vista la scelta del PCI di Berlinguer di abbandonare la via “rivoluzionaria”, esaltata a parole, e cogestire il potere insieme ai democristiani.
E allora l’uscita di Sacconi sembra funzionale al disegno di garantire la pace sociale in azienda grazie anche alla firma della Cisl e della Uil al nuovo modello contrattuale, respinto invece dalla Cgil e dalla sua componente più combattiva, i metalmeccanici della Fiom. Un modello che presuppone il passaggio dal contratto nazionale a quello a carattere aziendale con un enorme spazio dato ai premi di produttività e quindi di fatto al cottimo. Una svolta che sui posti di lavoro vedrà innescarsi una nuova lotta tra poveri che si attaccheranno con le unghie e con i denti al proprio posto di lavoro.
Ma il governo non prende in considerazione tali scenari ed anzi Sacconi, ed altri come lui, continua a vedere una ripresa che non c’è e che esiste solo nei sogni e nelle sue speranze. “Siamo ancora in una condizione di piena incertezza” ha affermato ma “ci sono sintomi positivi che vanno segnalati”. Da qui un appello ai giovani, all’insegna del precariato: “Rendetevi disponibili anche ad una attività lavorativa umile, diversa dal titolo di studio che avete acquisito pur di acquisire esperienza che un domani qualunque datore di lavoro apprezzerà”.
L’esperienza dello schiavo come ai bei tempi dei padroni delle ferriere.
ottima analisi
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