Bravi “ragazzi”, i professionisti che il ministro dell'Economia Giulio Tremonti ha voluto con se' in via XX Settembre, da cui partono le scelte rivolte ai destini finanziari del Paese in un momento di crisi mondiale. Braccio destro assoluto e' l'ex delle Fiamme Gialle Marco Milanese, dioscuro del “Divo Giulio” insieme all'altro campano Nicola Cosentino, cui e' strettamente collegato. di A. Cinquegrani R. Pennarola |
DIVO GIULIO
Tu vuo fa' l'antiamericano. E bravo Giulio Tremonti. Da un lato, scrive un libro in cui esterna al mondo la sua folgorazione no global, dall'altro pero', nel segreto del suo stretto entourage, stringe alleanze e decide investiture per i fedelissimi che farebbero invidia a Caligola. Con effetti che potrebbero diventare allarmanti per le stesse sorti della vita pubblica italiana.
Cominciamo dalla triangolazione - in parlamento, ma anche al governo - fra il ministro dell'Economia Tremonti, il “suo” sottosegretario Nicola Cosentino e un altro deputato in arrivo dalla Campania, il fidatissimo Marco Milanese (subito inserito, non a caso, nella Commissione Finanze).
Nato all'ombra della Madunina nel 1959 ma da genitori irpini di Cervinara ed eletto, per questo, nella circoscrizione Campania 2, Milanese esibisce sulla Navicella un curriculum studiorum di tutto rispetto: «Laurea in giurisprudenza, Laurea in scienza della sicurezza economico-finanziaria, Master in diritto tributario internazionale; Avvocato, Professore ordinario di diritto tributario». La prima laurea l'ha conseguita all'Universita' di Salerno. «Ma solo nel 2004, alla bella eta' di 45 anni», giura chi lo conosce da vicino. Fatto sta che il Milanese si iscrive all'Ordine degli avvocati di Milano appena un anno fa, il 27 settembre del 2007 e - si legge sulla sua scheda personale del Consiglio nazionale forense - non e' cassazionista, ma apre uno studio nel capoluogo lombardo in zona San Paolo.
Grazie a un decreto di Tremonti entra come docente alla Scuola di formazione della Guardia di Finanza, lo strategico istituto alle dipendenze del dicastero finanziato ogni anno con milioni di euro (e dove, fra gli altri, insegnava Gabriella Alemanno, sorella del sindaco di Roma, ora passata nello staff di Tremonti a via XX Settembre). Un incarico che non va certo stretto ad un ex finanziere come Milanese e che viene retribuito con circa 60 mila euro l'anno.
Lui pero' figura attualmente fra i “docenti non in servizio”, distaccato com'e' in parlamento. Una precauzione resasi necessaria soprattutto dopo l'ondata di polemiche suscitata da articoli di stampa sui doppio e triplolavoristi ai vertici del Mef, mentre si tagliano stipendi, pensioni e posti di lavoro alla gente comune (Milanese e' stato, contemporaneamente, nel comitato di gestione dell'Agenzia delle entrate).
QUANDO PARLA TAVAROLI
Sul passato non troppo remoto del “professore” Milanese racconta qualcosa ai magistrati che indagano sulla spy story di casa Telecom il superinquisito Giuliano Tavaroli. Il passaggio fa parte di una lunga inchiesta firmata da Carlo Bonini su Repubblica lo scorso 22 luglio. Il periodo di riferimento e' quello del precedente governo Berlusconi, quando il colosso di telefonia vede scricchiolare le sue fondamenta e l'allora AD Carlo Buora incarica Tavaroli di trovare un contatto sicuro con Giulio Tremonti, del quale si temono i ripetuti altola' sulle imprese a un passo dal fallimento, ascoltati soprattutto dalle banche, subito pronte a chiudere i rubinetti del credito.
«Decido - rivela Tavaroli - di mettermi in contatto con il capo della sua segreteria, un ufficiale della Guardia di Finanza, Marco Milanese, che poi lascera' le Fiamme Gialle per lavorare direttamente nello studio di Tremonti. Contattare Milanese, proprio lui e non altri, e' un modo per dire a Tremonti: conosco i tuoi metodi, conosco il tuo sistema, chi lo agisce e interpreta, da dove possono venirti le informazioni - vere o false - che possono danneggiare la mia azienda. Non c'e' bisogno di molte parole. Quelle cose li', si capiscono al volo nel nostro mondo. I due - Tronchetti e Tremonti - si incontrano. I problemi si risolvono. Nessuno parlera' piu' di fallimento con i banchieri».
Cosa aveva fatto di tanto importante, il Milanese, per diventare in pochi anni l'uomo piu' “all'orecchio” di Tremonti? La vicenda fa il paio con il feeling che negli anni novanta avvinse Silvio Berlusconi e Massimo Maria Berruti, i quali non si sono lasciati mai piu'. L'allora capitano della Guardia di Finanza Marco Milanese era infatti piombato nell'accorsato studio meneghino di Tremonti per verifiche proprio sulle aziende targate Berlusconi, i cui sancta sanctorum erano, come sappiamo, da sempre affidati alle cure del professore. Non e' noto che fine abbia fatto poi quella indagine. Fatto sta che Milanese qualche tempo dopo appende al chiodo la divisa e passa a lavorare a tempo pieno presso gli studi di Tremonti, dividendosi fra Roma e Milano. La sua professionalita' viene premiata nella quattordicesima legislatura, quando insieme a Tremonti entra per la prima volta nello staff del ministero. Nella sedicesima sara' deputato, gli assicurano. E cosi' e' stato.
COSENTINO STYLE
Ad Avellino, quando e' andato ad inaugurare la sua segreteria politica, pare che Marco Milanese sia arrivato a bordo di una Ferrari. Una vecchia passione, quella per le auto da corsa (a Milano gli appassionati ricordano ancora la sua rombante Porsche), che comunque non gli impedisce di dedicarsi anima e corpo alle sorti irpine del suo partito, Forza Italia, del quale «il consigliere economico del ministro Tremonti - annuncia lo scorso 1 novembre la stampa locale - e' stato nominato commissario straordinario».
Uno stile di vita alla grande, insomma, come si conviene ad un protagonista del partito di governo. Il quale non a caso per l'inaugurazione di quel comitato elettorale aveva scelto di avere al suo fianco Nicola Cosentino. L'altro gioiello di via XX Settembre non poteva mancare, nonostante alla mole di impegni politici si fosse aggiunta la necessità di doversi difendere dalle dure accuse che ne stanno amareggiando un percorso altrimenti liscio come l'olio. Una vicenda giudiziaria riassunta pochi giorni fa dal ministro ombra degli Interni Marco Minniti durante la convention del PD a Casal di Principe: «Benché sia accusato da cinque pentiti, Cosentino resta ancora al suo posto. Noi parliamo di stazione unica appaltante e Cosentino presiede addirittura il Cipe». Ed in effetti, nonostante le roventi verbalizzazioni portate alla luce dall'Espresso, il sottosegretario non risulta fino ad ora indagato dalla Procura di Napoli.
ARRIVA IL GENERALE
E proprio nel capoluogo partenopeo si e' appena insediato, al vertice delle Fiamme Gialle, un'altra personalita' dello staff di Giulio Tremonti, il generale della Guardia di Finanza Giulio Mainolfi, assurto giovanissimo al massimo grado (ha appena 49 anni), che insieme a Marco Milanese e' stato anche docente alla prestigiosa Scuola della Gdf (75.000 euro il compenso percepito nel 2005). Come l'onorevole Milanese, il generale Mainolfi vanta solide origini irpine, anzi, proprio caudine: per festeggiare il suo cursus honorum il Comune di Paolisi (ridente paese della Valle Caudina) gli ha conferito la cittadinanza onoraria.
Infine l'ultima, strabiliante analogia che lega questi due figli della stessa terra: entrambi, dopo la prima laurea in giurisprudenza, vantano nel curriculum due ulteriori titoli accademici identici: «Laurea in Scienze della Sicurezza Economico Finanziaria presso l'Universita' degli Studi di Roma Tor Vergata; Laurea in Scienze Politiche presso l'Universita' degli Studi di Trieste», si legge nella biografia di entrambi.
NON SOLO VACCARIELLO
Avellinese e' anche Alessio Vaccariello, cugino di Marco Milanese. Non poche furono le polemiche che accompagnarono il suo insediamento al vertice dell'Agenzia delle Entrate del Veneto. Era il 22 febbraio del 2006 quando «dopo un solo anno di servizio nella regione Enrico Pardi veniva allontanato per fare posto al dott. Alessio Vaccariello, dirigente di seconda fascia, tra i cui meriti c'e' quello di essere cognato del gia' citato Marco Milanese, segretario del Ministro (Tremonti. ndr)», scrive l'informatissimo periodico finanziario on line Contrappunti diretto da Giancarlo Fornari. Ad aprile 2006, in coincidenza con l'insediamento del governo Prodi, la circostanza viene ricordata a muso duro da Vincenzo Visco, il quale assumendo il comando del dicastero sottolinea anche che «l'Ufficio controlli sui soggetti di grandi dimensioni» era stato affidato «al dott. Graziano Gallo, dottore commercialista a Milano», sempre per volonta' del super ministro Tremonti. Chi e' Gallo?
In occasione di quella famosa perquisizione della Guardia di Finanza del 24 ottobre 1979 presso gli uffici di Silvio Berlusconi, al fianco del capitano Massimo Maria Berruti c'era, in veste di investigatore, il colonnello Salvatore Gallo, tessera 933 della disciolta Loggia P2. La storia di Berruti e' nota: entra in Fininvest e nel 1995 viene arrestato per depistaggio nelle indagini sulle mazzette alla Guardia di Finanza. Dopo la condanna definitiva entra con Forza Italia in Parlamento, dove ora siede nella decima commissione (Attivita' produttive, commercio e turismo).
Meno note le performances dei Gallo. Il figlio del colonnello e' proprio quel Graziano Gallo che sta nel cuore delle manovre strategiche di Tremonti. Scrive Maurizio Chierici sull'Unita' del 17 settembre 2007: «Quando nel 2003 il ministro Tremonti cambia i vertici della guardia di finanza di Milano, il dottore commercialista Graziano viene nominato direttore dell'agenzia Accertamenti. Deve controllare le imprese di grandi dimensioni. Inevitabilmente l´affare Telecom-Bell lo vede tra i protagonisti» (vedi box).
IL FALLIMENTO
Preso com'e' dai multiformi impegni, l'onorevole ed avvocato Marco Milanese non ha trovato il tempo di arginare la catastrofe economica che ha portato al fallimento giudiziario la vecchia impresa di famiglia. Si tratta della “Appia Shopping Center Immobiliare”, una sas intestata ai genitori Raffaele Milanese da Cervinara e Maria Cioffi, da Casalnuovo di Napoli.
Assai attiva nell'edilizia fino a qualche anno fa («ha costruito mezza Cervinara», ricordano in paese), la sfortunata societa' di Airola (iscritta al Registro imprese di Benevento col numero 98567), e' stata dichiarata fallita dal tribunale del capoluogo sannita nel 1995 (curatore fallimentare e' l'avvocato Nicola Boccalone).
Poco male: il suo posto e' stato preso da un'omonima “Appia Shopping Center Immobiliare”, stessi soci, che ha trasferito la sede dal Palazzo De Nicolais in via del Rettifilo (Cervinara) ad Airola, altro ridente comune del beneventano, Parco La Lucciola.
MI FACCIO LA BANCA
E passiamo ad un'altra creatura made in Tremonti seguita personalmente dal suo proconsole Milanese. Ci mancava solo, per le disastrate sorti di un Mezzogiorno sempre piu' in ginocchio nella tenaglia fra recessione e camorra, la nascita naif di una “banca no global”. La traduzione in moneta contante del sogno di Tremonti-scrittore? Forse. Peccato che a guastare la festa facciano gia' capolino vertici massonici in grande spolvero, imprenditori da prima repubblica, faccendieri. Vediamo.
La Banca del Sud, sede a Napoli nella centralissima via Calabritto, a un passo dalle cravatte di Marinella e i baba' della Caffetteria di piazza dei Martiri, e' un vecchio pallino di Tremonti, ovvero la creazione di «un istituto con un azionariato popolare e agevolazioni per i vecchi soci delle banche meridionali». Detto fatto, vecchio e nuovo uniti nell'abbraccio pulcinellesco per far passare ‘a nuttata e veder risorgere, come l'araba fenice, l'economia partenopea dalla munnezza. Ecco cosa dice a fine ottobre l'inviato speciale del ministro e socio promotore della Banca, Marco Milanese: «Si tratta di un progetto di straordinaria attualita', proprio in questa fase di turbolenza dei mercati finanziari mondiali: questa banca del mezzogiorno si puo' definire un progetto no global, l'idea di un istituto di credito radicato sul territorio e non implicato negli tsunami dei mercati mondiali oggi e' piu' che mai vincente e di prospettiva».
Ed e' infatti sicuramente proiettata verso il futuro l'idea tremontiana di lanciare al vertice del progetto Carlo di Borbone delle Due Sicilie, che giusto dieci anni fa convolò a giuste nozze con Camilla Crociani, figlia di Camillo (protagonista della scandalo Lockheed). Nel suo pedigree, una hit parade dei cavalierati: Ordine di Malta (Bali' Gran Croce d'Onore e Devozione), Ordine Costantiniano, e il piu' ruspante Real Ordine di San Gennaro.
Buon sangue (reale) non mente. Segue quindi a ruota, tra i primatori nel parterre della Banca del Sud, Lillio Ruspoli Sforza, professione latifondista, impegnato com'e' - al pari delle dame di San Vincenzo per il recupero di ragazze perdute - nei “Centri d'Azione Agraria”. Meridionalista convinto, ora; quattro anni fa, invece, legato al carroccio della Lega in occasione delle europee 2004, dove racimolo' 280 voti.
LA CHIAMATA ALLE ARMI
Una banca che dovrà raccogliere idealmente e non solo il testimone di quel Banco di Napoli (anni anni fa passato per pochi spiccioli, 70 miliardi di vecchie lire, alla BNL e da questa smistato all'Imi-San Paolo per dieci volte tanto), la cui eredita' e' sparita nel nulla. A testimoniarlo, forse, la chiamata “alle armi” di un pezzo da novanta del Banco di Napoli edizione anni ‘70, l'avellinese (allora demitiano) Aristide Savignano. Il quale dovrebbe affiancare, sul ponte di comando dell'istituto, Gerlando Genuardi, ex vice presidente della Bei (la banca europea degli investimenti) e lontano dall'Italia da quasi trent'anni. «Due facce per bene, due professori, ma lontani mille miglia dagli affari odierni dell'economia e della finanza», sottolineano a Piazza Affari. Dalla Fondazione Banco Napoli, del resto, arriva il presidente onorario della Banca del Sud, l'economista Adriano Giannola. Lo affianca il presidente, Giulio Lanciotti, mentre la poltrona di vice e amministratore delegato tocca a Francesco Andreozzi.
MASSONI IN PISTA
Nel consiglio di amministrazione (tredici i componenti) spicca la presenza di Adriano Gaito, dirigente di punta del Banco di Napoli, massone del Grand'Oriente d'Italia (l'avvocato Virgilio Gaito e' stato Gran Maestro del Goi - a livello nazionale - per sei anni, dal novembre 1993 al marzo 1999). Nell'affollato comitato promotore, dal canto suo, fa capolino uno dei vertici della Gran Loggia d'Italia, Sergio Ciannella, avvocato anche lui.
Ai destini della Banca del Sud si e' a lungo interessato il potente brasseur d'affari Antonio Saladino, protagonista nell'inchiesta Why Not portata avanti per mesi e mesi dal pm di Catanzaro (ora trasferito dal Csm al Riesame di Napoli) Luigi De Magistris.
Un'attenzione che si e' manifestata in una sfilza di intercettazioni telefoniche, tutte del 2006 (quando la Banca era in fase di decollo). Ecco alcuni stralci da un conversazione intercorsa tra Saladino e un certo Luca Antonini da Gallarate.
Saladino - Ho visto il Presidente (di Banca del Sud) che e' un coglione, cioe' sai, il classico trombato del Banco di Napoli che si butta in questa cosa, questi ora mi hanno chiesto centomila euro... A dieci imprenditori, a diecimila euro l'uno per entrare dentro...
Antonini - Si'....
Saladino - ... Nel comitato promotore. Però volevo capire cosa avevi fatto tu con Ponsellini (Massimo Ponzellini, nel 2006 al ministero dell'Economia e fra i soci promotori della Banca, ndr), cioe'... noi non avremmo nemmeno grosse difficolta' a... trovare imprenditori che mettono 10 mila euro l'uno... eh?
Antonini - Ma tu non l'avevi sentito Ponsellini?
Saladino - No, non l'ho piu' risentito perche' lui mi aveva detto che doveva sentire Tremonti la sera dopo...
Antonini - Richiamalo...
Saladino - Lo richiamo io?...
Antonini - Io l'avevo chiamato, si'... e mi aveva detto che per lui andava benissimo e mi aveva detto anche lui questa roba qua... che lui vedeva il giorno dopo Tremonti e via...
E via con la Banca...
da la voce delle voci
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