(Iniziative volte a rafforzare la disciplina sanzionatoria del testo unico bancario in materia di nullità degli interessi «uso piazza» - n. 2-00898)
PRESIDENTE. L'onorevole Scilipoti ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00898, concernente iniziative volte a rafforzare la disciplina sanzionatoria del testo Pag. 72unico bancario in materia di nullità degli interessi «uso piazza» (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti).
DOMENICO SCILIPOTI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, cercherò di essere il più chiaro possibile nel mio intervento, provando ad utilizzare un linguaggio, il più popolare possibile, per far comprendere alcuni passaggi che, a nostro giudizio, sono dovuti a comportamenti tenuti dalle banche che avrebbero dovuto tutelare e salvaguardare le nostre imprese, mentre, invece, hanno agito in un modo non corretto.
Signor rappresentante del Governo, spesso sentiamo parlare di usura e pensiamo all'usura criminale. Oltre a questa, però, con grande difficoltà sia mia, sia dei cittadini, esiste un altro tipo di usura, quella bancaria. Che cosa significa usura bancaria? Significa che i tassi di interesse che vengono applicati dalle banche molte volte non corrispondono a quelli legalmente previsti, ma sono dei tassi ultralegali, ossia usurari. Quando affermiamo ciò - e l'abbiamo fatto diverse volte - qualcuno sostiene che stiamo dicendo cose che non corrispondono alla realtà. Proprio per questo motivo, oggi, è opportuno che parli un linguaggio il più popolare possibile per farmi comprendere e per cercare di capire se effettivamente le banche, che avrebbero dovuto comportarsi in modo corretto nei confronti dei cittadini, si sono comportate invece in maniera scorretta.
Che cosa è successo negli anni passati? Prima del 1993 le banche applicavano dei tassi di interesse che venivano definiti «uso piazza»: se, ad esempio, la banca di Vercelli prevedeva un tasso di interesse del 10 per cento, la banca di Sondrio poteva applicarne uno dell'8 per cento e le altre banche, quelle di Milano o di Bologna, del 12 per cento. Il termine «uso piazza» stava ad indicare, quindi, un tasso di interesse che le banche stabilivano arbitrariamente. Ma esistevano dei parametri da rispettare che, invece, le banche non osservavano.
Partiamo dal presupposto che le banche fossero comunque in buona fede. Può darsi che i funzionari - e non la struttura muraria - impiegati presso le banche stesse e che avrebbero dovuto applicare i suddetti parametri, per una serie di motivi, siano stati disattenti o non abbiano recepito la modifica del testo unico bancario avvenuta con il decreto legislativo n. 385 del 1993. Questo affermava che non era più possibile utilizzare gli interessi «uso piazza», quindi - ripeto per essere ancora più chiaro - le banche non potevano fissare arbitrariamente i tassi di interesse, ma dovevano uniformarsi a dei parametri che erano stabiliti dalla legge.
In base al suddetto decreto legislativo veniva detto alle banche italiane: attenzione avete usato dei tassi di interesse «uso piazza» arbitrari e con modalità non corrette. Vi preghiamo dunque, immediatamente, di rinegoziare i rapporti con i vostri clienti e, di conseguenza, nel caso in cui aveste applicato dei tassi non previsti dalla legge, restituite ciò che avete tolto e utilizzate parametri completamente diversi e che devono essere rapportati ai BOT e ai CCT.
Ebbene, signor rappresentante del Governo, se sin qua possiamo anche presupporre la buona fede, nel momento in cui avviene un fatto eclatante, rappresentato dall'emanazione del decreto legislativo citato, che impone alle banche di uniformarsi, di rinegoziare e di prendere atto del comportamento precedentemente attuato e queste non lo fanno, possiamo presumere che non si tratti più di un comportamento di correttezza. A nostro giudizio, vi è un dolo vero e proprio perché le banche non solo non procedono alla rinegoziazione dei tassi di interesse applicati sullo scoperto, ma continuano ad applicare dei tassi d'interesse non previsti.
Allora, signor rappresentante del Governo, diventa opportuno fare una riflessione, attenta e garbata, ma cominciando a capire se effettivamente esiste un cartello da parte delle banche, che ha come obiettivo, non l'interesse di creare un'economia sana e forte in Italia, dando aiuto alle piccolo-medie industrie e agli artigiani, che forse pagano tassi superiori alla media, ma ha lo scopo di utilizzare il più Pag. 73possibile un sistema per dissanguare coloro i quali hanno reso questa nazione Italia forte e che dovrebbero continuare a farla forte.
Ma ritorniamo un attimo indietro. Che cosa succede? Interviene una modifica e il decreto legislativo invita le banche - non le banche intese come struttura muraria, ma i funzionari - a prenderne atto e ad applicare quanto stabilito con il decreto legislativo n. 385 del 1993. Ma le banche non lo fanno. Qualche banca fa l'atto di mandare qualche raccomandata incomprensibile, e tutte le altre banche, invece, non intervengono, non chiamano i correntisti sul territorio nazionale per rinegoziare, ma continuano a comportarsi come si comportavano precedentemente.
A questo punto, signor rappresentante del Governo, sorge una riflessione che, come si suole dire in gergo popolare, è una riflessione spontanea. Ma cosa fanno queste banche? Solo una banca o tutte le banche sul territorio nazionale hanno assunto questo tipo di comportamento? Evidentemente, signor rappresentante del Governo, tutte le banche sul territorio nazionale hanno assunto un determinato comportamento.
E a questo punto c'è da fare, certamente, un'altra supposizione: se siamo un gruppo di 50 persone che fa una riunione e c'è qualcuno che non è perfettamente d'accordo e va a dire l'indomani mattina in giro che il nostro comportamento non è molto ligio al dovere, si scatena un grande putiferio. Nasce allora automaticamente una riflessione: ma se questi 50 o 60 o 70 - intendo queste rappresentanze di banche - si sono messe intorno a un tavolo per ragionare e hanno stipulato quasi un accordo - e vorrei, signor rappresentante del Governo, che ciò non corrispondesse alla realtà, perché nel caso in cui dovesse essere realtà è veramente terribile quello che è successo per gli anni passati e quello che sta succedendo ancora a tutt'oggi! - che cosa succede? Succede che si mettono intorno a un tavolo e dicono: c'è un decreto che modifica il testo unico bancario n. 385 del 1993. Dovremmo quindi rinegoziare, ovvero chiamare i nostri clienti per dire loro che arbitrariamente abbiamo utilizzato dei tassi di interesse, che non corrispondevano alla realtà e dobbiamo rifare i conteggi e restituire i soldi ai cittadini italiani, che sono stati derubati di un valore e di una loro proprietà. Qui nasce la riflessione. Può essere che le banche italiane si siano messe d'accordo e abbiano fatto un cartello come per dire: non diciamo niente a nessuno e, nel caso in cui qualcuno se ne dovesse accorgere, ci facciamo fare causa e a distanza di tempo restituiremo quello che spettava a questa ditta, o società, o cittadino.
Ebbene, dalle carte che noi abbiamo esaminato, la scelta fatta dalle banche è stata proprio questa: un cartello che ha deciso di non parlare con il cittadino, di non rinegoziare e di accettare, invece, la possibilità che qualche cittadino o impresa intervenisse o facesse causa e, conseguenzialmente, si facesse restituire il maltolto.
Ma facciamo un'altra considerazione, ancora più grave. Tutte le banche tengono questo comportamento, ma qualche imprenditore, che per una serie di circostanze è venuto a conoscenza della modifica del testo unico bancario e dell'articolo 117 in particolare, ha fatto causa alla banca. E, facendo causa la banca, cosa è successo? Cosa è successo, dicendo alla banca: attenzione mi avete preso dei soldi che non erano vostri ma erano miei?
Ma facciamo un passo indietro, perché per capire meglio dobbiamo fare un passo indietro e spiegarlo con chiarezza, per far capire cosa è successo nel periodo ante e dopo il 1993. Non si tratta solo ed esclusivamente del problema del danno materiale, che è stato arrecato e che è stato inflitto nei confronti di queste imprese: il danno più rilevante è quello morale che è stato creato nei confronti di queste imprese.
Un'impresa, dopo il 1993, viene richiamata a causa di un assegno di duemila euro che non è riuscita a pagare e quella stessa impresa fornisce della documentazione per dimostrare che la banca ha tenuto un atteggiamento di grande scorrettezza e dunque non è l'impresa debitrice Pag. 74di duemila euro verso la banca ma la banca debitrice verso la stessa impresa di 150 mila euro a causa dei tassi di interesse extralegali che ha applicato scorrettamente. Il cittadino si ribella all'impresa ma il magistrato, in base a una sola dichiarazione scritta su un pezzo carta - qui entra in discussione l'articolo 50 che si dovrebbe rivedere e ridiscutere, ma è altro argomento - immediatamente interviene, dispone la procedura e dopo qualche giorno anche l'immediata esecutività.
Dunque l'impresa, cui la banca ha rubato 100 mila euro, nega quanto affermato dalla banca ovvero di dover restituire duemila euro alla banca e afferma che, a giudizio suo e dei suoi periti, è la banca che deve dargliene 80 mila o 100 mila. Un funzionario della banca prepara un foglio di carta nel quale dichiara che l'impresa deve alla banca 5 mila euro e di conseguenza chiede l'atto aggiuntivo.
Non finisce qui perché l'impresario si ribella ma il magistrato ne respinge l'istanza perché la banca è un'istituzione forte, è qualcosa di sacro e perciò ha ragione e pertanto concede l'immediata esecutività e tutto ciò che ne viene a seguire: pignora la casa dell'impresario, la mette all'asta, lo distrugge e lo umilia davanti ai suoi concittadini dei quali per vent'anni, grazie all'industria creata, era stato punto di riferimento. La moglie lo lascia perché si vergogna, il figlio lo odia perché pensa che sia un truffaldino. Dopo sedici anni che cosa scopriamo? Che quel signore che aveva impugnato il decreto ingiuntivo aveva ragione.
Signor rappresentante del Governo, dobbiamo riflettere su argomenti seri di questo Paese e, oltre ad occuparci dell'opportunità o meno di andare a casa o restare all'interno di quest'Aula, il che è un fatto marginale, dovremmo lavorare seriamente e concretamente nell'interesse degli italiani. Facciamo altri discorsi, ma non ci occupiamo di quanti vengono giorno dopo giorno martoriati e distrutti.
Dopo sedici anni la giustizia ha riconosciuto che effettivamente quell'impresa aveva ragione e la banca le deve dare 70 mila euro, altri 20 mila per gli interessi e 10 mila infine per una serie di circostanze. Nel frattempo però la moglie dell'impresario è andata in ospedale per neoplasia e di conseguenza l'hanno accompagnata al cimitero, perché si vergognava a uscire, perché il comportamento di quelle banche, per tornare indietro, non è stato un comportamento corretto né distratto ma doloso. Infatti tutti insieme hanno stabilito di attuare una determinata procedura perché per loro la cosa fondamentale era quella di ottenere un ritorno economico, anche a costo di distruggere non solo l'economia di quella società e di quell'impresa, ma la famiglia di quei concittadini che avevano veramente creato una realtà e un punto di riferimento nell'area dove vivevano.
Voglio fornire qualche dato: oggi in Italia ci sono 25 milioni di cittadini. Si tratta di 25 milioni di cittadini e non di due milioni e mezzo che sono dichiarati «appestati» dalle banche. Nel 2008, si sono suicidate 1200 persone per atteggiamenti scorretti da parte delle banche e il 60 per cento - abbiamo fatto una statistica - alla fine aveva ragione e non torto.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
DOMENICO SCILIPOTI. Allora quando noi chiediamo che s'intervenga energicamente, che s'intervenga veramente, non è che vogliamo creare un problema con il Governo, non è perché sono appassionato e accalorato nel mio intervento e voglio screditare qualcuno. Vorrei che si facesse veramente giustizia, ma più che giustizia vorrei che si mettessero delle regole. Queste regole dovrebbero essere anche rispettate dalle banche, perché le banche non possono pensare che tutto deve essere lucro, e che il lucro possa realizzarsi molte volte anche attraverso la distruzione dell'impresa e attraverso la distruzione della vita.
PRESIDENTE. Deve concludere.
DOMENICO SCILIPOTI. Ecco perché oggi - concludo - poniamo alla sua attenzione questa nostra riflessione con grande calore. Ma la prenda come amore, Pag. 75come amore che viene dall'interno, per dire che c'è qualcosa che non funziona in questo nostro Paese, che andrebbe rivisto, e che è arrivato il momento di uscire dagli schieramenti di «maglietta» per prendere posizione nell'interesse vero e reale di questo Paese, e di avere il coraggio di non essere pecoroni l'uno dietro l'altro e di fare delle battaglie nell'interesse del popolo italiano (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Carlo Giovanardi, ha facoltà di rispondere.
CARLO GIOVANARDI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, davanti ad un intervento così appassionato e accalorato capisco che le risposte di tipo tecnico sono insufficienti. Del resto gli argomenti usati vanno al di là del Governo e del Parlamento e s'inseriscono all'interno di un meccanismo di costume - se vogliamo - culturale, economico, di rapporto tra banche e cittadini, che fortunatamente non è sempre così, perché nell'esperienza quotidiana ci sono banche e istituti che sono stati capaci in alcune aree del Paese di costruire un rapporto virtuoso con la piccola impresa, artigianato e commercio, banche molto vicine ai risparmiatori e agli investitori.
Ci sono state altre banche che invece non si sono comportate nella stessa maniera. C'è un problema principale che non è tanto quello delle regole perché l'interpellante riconosce che il Parlamento le regole le ha fatte, quindi le leggi ci sono.
Vi è l'annoso problema del rispetto delle leggi e soprattutto, se non vengono rispettate, di quale risposta la giustizia offre, rispetto alla violazione di norme e magari all'interesse del soggetto forte a farsi fare causa e a resistere in giudizio alle pretese giuste da parte dei clienti.
Mi posso solo limitare a dare una risposta di tipo tecnico, di tipo giuridico, perché la domanda è: quali iniziative normative siano volte a rafforzare la disciplina della trasparenza bancaria, anche con un adeguamento del sistema sanzionatorio, per questo comportamento denunciato delle banche che non rinegoziano i contratti bancari stipulati prima della legge del 1992. La segreteria del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio, sentita la Banca d'Italia, ha ribadito che per le banche è vietato il rinvio agli usi nella determinazione delle condizioni contrattuali (cosa che dovrebbe essere pacifica).
A tal fine, nell'ambito della più generale azione di controllo a salvaguardia dei diritti dei clienti bancari e finanziari, e di sensibilizzazione degli intermediari per un sostanziale miglioramento dei rapporti con la clientela, la Banca d'Italia provvede a verificare, tra l'altro, il rispetto della citata disposizione effettuando ispezioni presso le direzioni generali degli intermediari, effettuando ispezioni specifiche e mirate, svolgendo attività di vigilanza a distanza, nonché esaminando gli esposti che vengono presentati.
In particolare, nell'ambito delle verifiche a distanza svolte per accertare l'osservanza della disciplina in tema di trasparenza, la Banca d'Italia a partire del 2010 esamina anche i moduli contrattuali predisposti dagli intermediari per verificarne la conformità rispetto alla complessiva disciplina in materia. Uno specifico campo d'indagine riguarda proprio l'eventuale inserimento di clausole di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi d'interesse.
In esito a tali controlli, qualora emergano profili d'anomalia, la Banca d'Italia interviene richiedendo ai soggetti vigilati l'adozione delle iniziative necessarie a ristabilire una sana e prudente gestione, nonché la correttezza dei comportamenti.
Sempre nell'ambito dell'azione di tutela dei diritti dei clienti bancari e finanziari opera l'arbitro bancario e finanziario quale strumento di veloce soluzione delle controversie. Inoltre la normativa in materia di trasparenza e correttezza dei comportamenti prevede, tra l'altro, che le banche si dotino delle procedura organizzative volte a garantire la tempestiva (sottolineo Pag. 76l'aggettivo «tempestivo») restituzione delle somme illecitamente addebitate al cliente al dettaglio.
Per quanto riguarda l'eventuale adozione di iniziative di carattere normativo, di cui si fa cenno nell'interpellanza, si fa presente che, a seguito della modifica introdotta all'articolo 144 del Testo unico bancario, dal decreto legislativo n. 141 del 2010, la Banca d'Italia può sanzionare l'inserimento nei contratti bancari di clausole nulle quali, ad esempio, quelle che rinviano agli usi.
Per quanto riguarda, infine, le considerazioni formulate nel documento parlamentare in merito all'articolo 50 del Testo unico bancario, la Banca d'Italia ha precisato che la finalità di tale disposizione può essere individuata nell'esigenza di dotare gli intermediari di strumenti volti ad agevolare il veloce recupero delle somme contenendo gli immobilizzi e le perdite sui crediti. La disposizione si basa sull'affidabilità delle procedure contabili e sulla correttezza dei comportamenti degli intermediari. In relazione a ciò, la disposizione esonera gli intermediari dalle formalità che sarebbero, altrimenti, necessarie per usare la contabilità di impresa ai fini dell'ingiunzione, quali il ricorso al notaio o ad altro pubblico ufficiale per la certificazione dell'estratto (l'articolo 643 del codice di procedura civile applicabile alle imprese in generale). Peraltro, l'autentificazione notarile, anche quando avviene, si limita a verificare formalmente la regolare tenuta delle scritture contabili, in quanto non compete una valutazione nel merito da parte del pubblico ufficiale.
Secondo la giurisprudenza, comunque, in caso di opposizione al decreto ingiuntivo da parte del debitore, l'estratto conto certificato dal dirigente della banca offre solo indizi sulla consistenza della pretesa della banca medesima, che dovrà essere avvalorata nel corso del giudizio attraverso ulteriori elementi. Ma ribadisco quello che ho detto all'inizio, ossia che, al di là della normativa e delle motivazioni tecniche dei controlli della Banca d'Italia, è importante un corretto rapporto fra il mondo degli intermediari, gli istituti di credito e la clientela, sia nell'ambito della raccolta del risparmio, sia nell'ambito del suo utilizzo, tenendo conto anche della complessità delle normative di Basilea e del modo in cui le banche oggi sono costrette a certificare gli incagli e delle difficoltà non soltanto a recuperare debiti, ma anche a dare credito laddove ve ne sia bisogno.
È indispensabile che il rapporto fra banche e imprenditori sia leale, corretto e costruttivo, affinché questo Paese possa avere anche la speranza di una ripresa economica robusta.
PRESIDENTE. L'onorevole Scilipoti ha facoltà di replicare.
DOMENICO SCILIPOTI. Signor Presidente, rappresentante del Governo, mi perdoni, voglio virgolettare questa mia riflessione, ma lo faccio veramente con il cuore. Lei è una persona squisita, una persona per bene, ma i funzionari che hanno preparato la risposta la prossima volta dovrebbero prepararla in maniera più dettagliata, più completa e più chiara, cioè dire quello che si suole dire in gergo popolare, con chiarezza, per far capire a chi ascolta.
Lei parla di arbitrato bancario e i suoi funzionari, «suoi» nel senso del Governo, si sono scordati di mettere un fatto importantissimo che è accaduto il giorno 2 novembre 2010 a Napoli. Nella seduta del collegio arbitrale, è stato esaminato un ricorso per l'accertamento dell'applicazione di interessi usurari a carico dell'azienda da parte della Banca popolare di Novara. Questo collegio, questo gruppo di persone che dovrebbe essere al di sopra delle parti, che dovrebbe garantire il cittadino, che dovrebbe essere quello che tutela il più debole, che dovrebbe essere quello che è un punto di riferimento della giustizia e della legalità, non soltanto nel campo delle banche, ma anche come un super partes, che cosa fa? Ascolti, signor rappresentate del Governo interpellato: nonostante la perizia e gli atti dimostrassero che la banca, con l'aggiunta delle commissioni di massimo scoperto, ha praticato tassi usurari, secondo la previsione Pag. 77dell'articolo 644, quarto comma, del codice di procedura penale e sentenze confermative della Corte di Cassazione, II sezione penale, n. 12028 del 19 febbraio 2010 e n. 28743 del 24 maggio 2010, il collegio è dissidente e non condivide quello che è stato detto dall'orientamento giurisprudenziale e tanto meno la prescrizione del quarto comma dell'articolo 644 del codice di procedura penale.
Cioè a dire, in sintesi, per farci capire, di fronte a quello che era stato detto da un magistrato che aveva accertato che erano stati praticati tassi usurari, che c'erano stati comportamenti maldestri da parte della banca, si chiama un collegio arbitrale per decidere, e quel collegio arbitrale dice in sintesi che quello che stabiliva il magistrato non aveva alcun significato e alcun ruolo, perché il magistrato poteva dire anche cose non corrette. Voglio dire: che senso ha avere un collegio arbitrale che viene «gestito» e «comandato» da coloro i quali dovrebbero essere invece d'altra parte della barricata? Per essere più semplici: non sono sicuro, ma la decisione presa dal collegio arbitrale significa che è una decisione di parte, perché sono persone che potremmo avere il dubbio che siano corrotte e pagate dalle banche, non per garantire ed essere superiori in una determinata questione ma per essere a servizio di alcuni che rappresentano lobby di potere.
Vengo ad un'altra riflessione: quando si parla e si citano tutte queste considerazioni, ci sono 1 milione 250 mila nuclei familiari che sono in procinto di vedersi espropriata la casa e sa perché? Per non aver pagato assegni o per non aver avuto la possibilità di pagare una rata del mutuo che avevano contratto. Vale a dire non aver pagato 5 mila, 6 mila, 7 mila euro e per questi 7 mila euro debbono poi pagarne 47 mila. La casa che avevano di proprietà va ad essere espropriata, venduta per un valore che effettivo sarebbe di 250-300 mila euro, ma che potrebbe essere venduta per 70-80 mila euro. Ma non abbiamo ancora finito. Ci sono ancora altri passaggi.
Sappia che 1 milione 300 mila piccole e medie imprese sono a rischio di fallimento. E sa perché? Perché sono state denunciate e segnalate come appestati da qualcosa che si chiama centrale rischi per 300 euro! Questo dovevano dirle i suoi funzionari e dovevano chiedere alla Banca d'Italia o a coloro i quali dovevano rispondere, per quale motivo se un operatore su questo territorio nazionale, dopo vent'anni di sacrifici, non ha pagato 300 euro, non avendone avuto la possibilità perché aveva la moglie ammalata, una banca o gli istituti di credito si permettono di denunciarlo, di segnalarlo alla centrale rischi, di farlo diventare appestato e consequenzialmente di farlo restare in quelle liste per trent'anni o per quarant'anni cioè a dire non uscirne mai o uscirne soltanto con una soluzione, di andarsi a suicidare come è accaduto ultimamente a Pescara dove una madre con due bimbi si è suicidata da un ponte, perché è stata vittima di alcune banche!
Quando viene riconosciuto da parte di un magistrato che quell'impresa o quel cittadino è stato vittima dell'usura bancaria e gli restituisce quello che gli ha preso con l'interesse del 10 o del 15 per cento, come puoi ridare la vita a ad una persona che si è suicidata? Come puoi ridare la vita a coloro i quali in precedenza ti avevano detto che non era così?
Per ritornare a quell'articolo 50, che i suoi funzionari non dovevano soltanto citare ma sul quale dovevano entrare nel merito, non si dovrebbe dare la possibilità ad un magistrato, senza entrare nel merito, di consentire alle banche con un foglio di carta e con una firma, facendo una dichiarazione degli ultimi tre mesi, di riavere i 2 o 3 mila euro di scopertura senza entrare nel merito e fare un'analisi attenta per verificare se nel passato ci sono stati comportamenti illegali.
Dunque, non bastano soltanto gli ultimi tre mesi ma si dovrebbe operare una verifica sugli ultimi dieci anni per vedere se i tassi di interesse sono stati corretti o scorretti. Nel caso in cui si dovesse verificare che sono stati scorretti, si dovrebbe immediatamente limitare e dare la possibilità Pag. 78al cittadino di difendersi e consequenzialmente prendere e assumere determinati atteggiamenti. Non come si fa oggi, applicando quell'articolo 50 che dà la possibilità di richiedere quanto non pagato attraverso una documentazione non documentata, vale a dire che basta un foglio di carta con gli ultimi tre mesi per dire che tu hai sforato di 2 mila euro.
Ti chiedono di rientrare immediatamente nel giro di qualche giorno, altrimenti passano la pratica immediatamente al magistrato e conseguenzialmente ti denunciano a quella associazione che ti dichiarerà appestato; il magistrato dice di rientrare; tu dici che non è vero, perché hai fatto un esame attento degli ultimi dieci anni attraverso i tuoi periti e i tuoi periti dicono che non è così, che non devi restituire i 2.000 euro, ma ne devi avere 20.000; il magistrato va avanti e cosa fa? Dà l'immediata esecutività, sequestra i beni, li mette all'asta, li vende e dopo 14 anni invece che cosa vediamo? Che quel cittadino e quell'impresa avevano perfettamente ragione. Allora come poi ripagare tu questi cittadini che sono stati massacrati sotto il profilo materiale, ma sono stati massacrati anche sotto il profilo umano e qualche volta hanno perso la vita?
Allora noi che cosa chiediamo, signor rappresentante del Governo (e la ringraziamo)? Di vedere attentamente questa situazione e di far sì che le leggi che vi sono vengano applicate seriamente e che la Banca d'Italia non sia una banca privata, ma sia una banca a tutela dei cittadini, a garanzia di quello che è lo Stato italiano! Oggi lei lo sa che la Banca d'Italia non è Banca d'Italia, ma è banca dei privati: ecco perché questo comportamento di grande scorrettezza. E qui dovremmo entrare nella discussione, sia a destra sia a sinistra, e parlare di argomenti seri, per riformare determinati atteggiamenti che sono atteggiamenti di scorrettezza nei confronti dei cittadini e non parlare per giorni, giorni e giorni di argomenti che non interessano i cittadini e che non sono sicuramente argomenti che potrebbero tutelare i miei figli.
Allora a questo la invito, signor rappresentante del Governo: ad intervenire energicamente su questi argomenti, ad entrare nel dibattito vero e reale e a far rispettare le regole a chi le deve rispettare, anche se dall'altra parte vi sono dei poteri forti. Infatti, si deve avere il coraggio di prendere consapevolezza e di scontrarsi, costi quello che costi. Oggi io, come parlamentare, sono disponibile a rischiare la mia sedia, ma per battermi per dei principi, nell'interesse del popolo italiano (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
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