venerdì 10 dicembre 2010

Eredità oscure della Destra Illuminata

Eredità oscure della Destra Illuminata



di: Ugo Gaudenzi, Rinascita, 09 Dicembre 2010

Chissà se i seguaci della disciolta An, quelli di Fini o quelli dei colonnelli rimasti nel Pdl, lo ricordano...
Un sabato del 1995, per l’esattezza l’11 febbraio, il Corriere della sera pubblicava un trafiletto in due colonne titolato: “Proposta di legge An: La moneta al popolo”.
L’organo del liberistume filo-atlantico vi descriveva con una certa spocchiosità e con un po’ di satira a basso costo il disegno di legge sulla “proprietà popolare della moneta” appena presentato il giorno prima da sedici parlamentari dalla quasi neonata Alleanza Nazionale.
Secondo i parlamentari di An - vi si leggeva - “il popolo è come la pecora che non sa di produrre lana”. L’uomo, aggiungevano i relatori del ddl, “non si accorge di creare valori monetari e, come il pastore tosa la lana, le banche centrali tosano il gregge umano della sua lana monetaria”.  E ricordavano che la moneta non è altro che la misura del valore creato dal popolo, al quale dovrebbe esserne attribuita dunque la titolarità. Ogni volta che la Banca d’Italia emette moneta, questa dovrebbe essere accreditata allo Stato e su questa attività i cittadini dovrebbero percepire un reddito di cittadinanza. A occhio e croce, secondo i firmatari del disegno di legge, fan cinque milioni di lire l’anno a testa.
Tali sacrosanti principii venivano più o meno commentati dall’illustre articolista anonimo come le seguenti frasi: “Dall’esproprio a opera della Banca d’Italia all’esproprio proletario”; “Al popolo, al popolo: la moneta deve tornare a chi ne è effettivamente titolare; “un pamphlet situazionista (anarchico) o “il sommario di un bollettino delle Brigate rosse”.
A memoria ricordiamo che gli autori di quel disegno di legge - finito com’è ovvio nei faldoni delle norme mai discusse e mai emanate dal nostro cosiddetto “potere legislativo” - erano dei parlamentari exMsi guidati (si fa per dire) da Antonio Parlato. Questi, con l’occasione del nuovo corso politico nazionale - quella che chiamavano “seconda repubblica”, oggi risultata assai peggio della prima - avevano ritenuto corretto riprendere il frutto di una battaglia ventennale di un docente di Diritto, Giacinto Auriti, ora scomparso, che aveva dedicato gran parte della sua attività all’analisi storica, economica e sociale sulla proprietà della moneta dalla nascita della Banca d’Inghilterra - e degli Lloyds - ai nostri tempi.
Il professor Auriti aveva così scoperto che gradualmente agli inizi, con forti accelerazioni poi, la moneta - emessa quale controvalore di scambio delle produzioni, delle braccia e della mente, dell’uomo (e quindi strumento di base economico e sociale di una qualunque istituzione statale o comunque collettiva, comunitaria) - era stata sottratta dalla proprietà di tutti ed era diventata una banconota, una sorta di cambiale, che le banche centrali prestavano ai legittimi proprietari, i cittadini, lucrandoci un interesse pazzesco, chiamato “tasso di sconto”.
Un interesse usuraio (al cui riguardo l’unico lavoro della Banca d’Italia - e oggi della Bce - ad esempio è quello di emettere (stampare e distribuire alle banche) dei fogli di carta chiamati banconote). Un interesse che da solo, quantomeno, azzererebbe tutto il deficit pubblico nazionale, quello per cui dai primi Anni Novanta ad oggi siamo tutti soggetti alle cure da cavallo lacrime e sangue, distruzione dello stato sociale e del lavoro incluse.
Ohps. C’è qualcuno che discetta, in queste ore, sulla bontà della linea “laica e moderna” anti-Cavaliere dei finioti.
Mettiamoli alla prova. Approvino quell’antico ddl.

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