Fonte: Rinascita [scheda fonte]
La situazione catastrofica dei conti pubblici greci (un disavanzo del 12,7% rispetto al Prodotto interno lordo) non è stata la sola causa, nelle ultime settimane, del calo del 10% nella quotazione dell’euro nei riguardi del dollaro. Ad alimentare un calo, di per se stesso fisiologico, è stato, tra gli altri, anche un vecchio arnese della speculazione e cioè George Soros che ha scommesso a piene mani su un deprezzamento della valuta comunitaria. La speculazione si svolge su due binari paralleli e convergenti, vendendo cioè non solo euro ma pure titoli di Stato dei Paesi più deboli dell’Unione. Grecia appunto, ma anche Portogallo e Irlanda. E guardando sul lungo termine, Italia e Spagna. La speculazione è poi accentuata dalla impossibilità per la Banca centrale europea di tamponare le falle e calmierare i prezzi tramite l’acquisto dei titoli di Stato visto che il patto di stabilità glielo impedisce. Non si deve però fare l’errore di pensare che Soros sia l’unico finanziere speculatore a scommettere sull’andamento dei rapporti di cambio. Altri soggetti, forse meno noti ma dotati di maggiori risorse, compiono normalmente le stesse operazioni di Soros (ad esempio il fondo Brevan Howard) e come lui lo fanno al di fuori dei mercati regolamentati.
Non è la prima volta che il finanziere ungherese-statunitense con il suo Quantum Fund opera contro l’economia europea. Già nel 1992 speculò dapprima contro la sterlina e successivamente partecipò all’attacco contro la lira, obbligando entrambe ad uscire dallo Sme, il Sistema monetario europeo, un sistema “virtuale” che legava le principali monete europei grazie a meccanismi di cambio e a fasce di oscillazioni. Certo l’azione di Soros è come una pioggia che si abbatte sul bagnato se solo si pensa che il governo socialista di Atene, e quello conservatore precedente, hanno spudoratamente mentito alla Banca centrale e alla Commissione europea sull’entità del debito pubblico. Una situazione sicuramente imbarazzante per i tecnocrati di Bruxelles che hanno dovuto incassare anche le difficoltà crescenti di Paesi come Portogallo e Irlanda nei quali si sono concretizzate prima con consistenti deficit commerciali e successivamente con elevati deficit pubblici. La crisi finanziaria del 20008 presto trasformata in crisi economica ha peggiorato i saldi dei conti pubblici di tutti gli Stati membri del sistema dell’euro. La recessione ha causato infatti un calo del giro d’affari e di conseguenza per le casse statali un calo delle entrate fiscali e contributive. Tutti gli Stati membri del sistema dell’euro hanno abbondantemente sforato il tetto del 3% nel rapporto tra disavanzo e Prodotto interno lordo, il cosiddetto Patto di stabilità il cui rispetto è una delle basi dell’euro. L’altra, non meno importante, è che le singole economie abbiano dei valori di crescita non troppo distanti l’una dall’altra. La Grecia è diventata quindi, suo malgrado, l’esempio più macroscopico di una struttura nata debole perché legata alle troppe variabili dei suoi Paesi membri e nel quale la debolezza di uno, se permane cronica, può risultare devastante per tutti e provocare un crollo generalizzato. La forza di una moneta non è data solamente dai rapporti di cambio con le altre valute, dollaro Usa, sterlina, yen giapponese e yuan cinese, ma dalla forza dell’economia reale che ne sta alla base.
La Grecia dovrà fare sacrifici
Il presidente dell'Eurogruppo, il lussemburghese Jean Claude Juncker, ha ammesso che i ministri delle Finanze dell'Eurozona non hanno prestato sufficiente attenzione alla crisi economica che ha investito la Grecia. Da oggi quindi l'Eurogruppo monitorerà molto più seriamente e con intensità il lavoro dei suoi Stati membri. Non lascerà sola la Grecia che però dovrà fornire costantemente dati sui progressi dei conti pubblici e del suo programma di riforme. Una zona con una valuta comune non può durare a lungo se le differenze dei risultati tra le singole economie nazionali sono troppo grandi. Ma se alla Grecia venisse imposto di abbandonare il sistema dell’euro, ci sarebbe un terremoto incontrollabile con una reazione molta negativa dei mercati.
Il governo Papandreou si è però opposto alle richieste di ulteriori misure di rigore per risanare i conti, come avevano invece chiesto la Germania, come Paese guida, e la stessa Bce. Ad Atene si aspetta invece il primo rapporto della Commissione Europea e della Bce che uscirà a metà marzo. Ieri i ministri delle Finanze Ue hanno recepito le raccomandazioni della Ue affinché Papandreou riduca entro l’anno il deficit all’8,7%, invitandolo ad attuare tutte le misure necessarie in modo rigoroso e determinato. Misure in stile “lacrime e sangue” che la Germania e la Bce hanno indicato in un aumento dell'1 o del 2% dell'Iva e in tagli agli stipendi pubblici. Il tutto in funzione di piano di risanamento “credibile”. E dire che la Grecia aveva già annunciato un aumento delle accise sui carburanti e un taglio dell'1% degli stipendi pubblici.
Sul caso greco è intervenuto l’ex socialista Fabrizio Cicchitto, presidente dei deputati del Pdl, per ironizzare sulla richiesta definita “irresponsabile” di Pierluigi Bersani, segretario del Pd di finanziare la crescita aumentando dell’1% il disavanzo. Se avessimo seguito la ricetta di Bersani, ha accusato, oggi l'Italia sarebbe nelle stesse condizioni della Grecia e della Spagna
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