Perché gli attuali bilanci delle banche sono sempre falsi ?
Da: Il Grande Mutuo - di Nino Galloni, Editori Riuniti, 2007
La banca, dunque, quando accorda un prestito (e anche se emette assegni circolari), si limita ad aspettare che il prenditore, alle scadenze prefissate, versi le rate corrispondenti al pagamento degli interessi e al rimborso del prestito stesso. Dunque, nel bilancio della banca si trovano, all'attivo dello stato patrimoniale, la partita relativa al prestito (considerandola giustamente, un credito) e, nel conto economico, il versamento delle rate previste durante l'esercizio (in genere, annuale). Nel passivo dello stato patrimoniale, invece, sono iscritti i depositi che sembrano rappresentare un debito; eppure si tratta di un debito che incide solo formalmente e che, comunque, costituisce una frazione del credito, grazie al meccanismo del cosiddetto moltiplicatore bancario. Quest'ultimo potrà crescere ulteriormente dopo l'introduzione degli accordi di Basilea 2 (pur a fronte di restrizioni per gli eventuali prenditori in termini di garanzie di patrimonio e di reddito). Per quanto riguarda i depositi, si tratta in fondo - più che altro - di una immobilizzazione tecnica, almeno per quanto riguarda l'obbligo per le banche di tenere riserve (poste a garanzia delle eventuali richieste di immediati rimborsi da parte dei depositanti). E non si tratta di un debito che comporti la ricerca di strategie e di operazioni concrete volte a recuperare o invenire somme che, altrimenti, darebbero luogo a procedure di recupero da parte dei creditori (i depositanti).
Ma anche a volerle considerare nel passivo perché somme "uscite" dalla disponibilità della banca stessa e destinate a operazioni "attive", esse arriverebbero, al massimo, a coincidere col valore del moltiplicatore bancario, vale a dire una frazione del totale dei prestiti.
Il concetto di debito, infatti, ha due diversi significati e, attorno a tale ambiguità, ruota la non rispondenza alla realtà dei bilanci della banca.
Se un soggetto presta una somma a un altro che la utilizza per le proprie esigenze, il primo si troverà nella condizione del creditore e il secondo del debitore; vale a dire che, ciascuno, nel proprio bilancio dovrebbe iscrivere la somma rispettivamente all'attivo e al passivo.
Ma se un soggetto affida a un altro la stessa somma e quest'altro la detiene senza utilizzarla (addirittura destinandola a un fondo di garanzia immediatamente liquidizzabile), si può sempre parlare di debito, ma con un significato molto diverso.
Infatti, chi custodisce la somma, non può considerarla al passivo del proprio patrimonio, mentre chi la ha consegnata, sa che essa fa parte del proprio attivo. La banca, quindi, è debitrice nei confronti dei depositanti, ma non ha senso catalogare nel passivo del suo stato patrimoniale tale situazione; diverso sarebbe se la banca, ad esempio, stornasse una parte dei depositi per comperare una nuova sede per sé: allora sì, che dovrebbe catalogare tale somma nel passivo (e il debito passerebbe dalla "partita di giro" iniziale a un debito vero e proprio) e, però, dovrebbe iscrivere all'attivo il valore dell'immobile acquisito.
Le banche non prestano i propri debiti (i depositi) e, quindi, se il loro stato patrimoniale rispecchiasse tale diversa e più realistica circostanza, comincerebbe a rivelare anche qualche malcelato mistero che, a sua volta, potrebbe venir accolto dal grande pubblico dei debitori con non poco sollievo: l'economia attuale è capace di produrre molte più risorse di quanto traspare dagli attuali bilanci bancari.
Si prenda, ad esempio, l'ultimo bilancio consolidato del gruppo Capitalia riguardante il 2006.
L'attivo è pari a 137 miliardi di euro e il passivo a 136; se da quest'ultimo si tolgono i depositi delle famiglie e delle imprese non finanziarie pari a circa 66 miliardi, si scende a soli 70 miliardi. Ma anche le altre due voci del passivo (attività di altre banche detenute da Capitalia per ulteriori 17 miliardi e le obbligazioni in possesso del gruppo per circa 31 miliardi) andrebbero - ai fini del presente ragionamento - neutralizzate. Il che vuol dire che, un primo bilancio lordo realistico, per quanto riguarda lo stato patrimoniale, evidenzierebbe attività per 137 miliardi e passività per 22 miliardi: con una differenza tra attivo e passivo pari non all'utile di esercizio di 1,2 miliardi portato a pareggio, ma si 115 miliardi; forse non a caso corrispondenti, grosso modo, al valore dei prestiti (96 miliardi verso famiglie e imprese non finanziarie, 12 verso altre banche).
Più realistico appare il conto economico dove sono registrati i flussi annuali e che riguarda, principalmente, tre voci: gli interessi (oltre 5,5 miliardi di attivo e meno di 3 di passivo per un saldo di circa 2,6 positivo); le commissioni (con un netto di 1,7 miliardi); i costi operativi (di poco superiori ai 3 miliardi). Ma se queste (interessi cosiddetti passivi, commissioni e costi operativi) sono le tre voci principali del conto economico, dove si trova il dato relativo al flusso del capitale che rientra?
Detto ciò, i prestiti non rimborsati (le cosiddette sofferenze), possono venir considerati alla stregua di mancati guadagni e non di perdite vere e proprie; se ne deduce che il bilancio di una banca differisce strutturalmente e qualitativamente da quello di un'impresa non finanziaria.
Il bilancio della banca, infatti, è strutturalmente squilibrato tra costo e ricavi, le passività e le attività, in quanto la voce principale dei costi corrisponde alla gestione (personale, affitti o ammortamenti di attrezzature e di altri cespiti, acquisto di materiali, pagamento di bollette varie), mentre la voce principale degli introiti corrisponde al versamento delle rate dei prestiti e dei mutui; parimenti, nello stato patrimoniale, al passivo risultano i vari impegni che l'istituto si assume per il personale e, in genere, il proprio funzionamento (fatta salva la parziale eccezione dei debiti verso la clientela che divengono tali quando tali somme - i depositi, per l'appunto - vengono stornato e nei limiti di detto storno); mentre all'attivo si trova il valore dei prestiti e dei mutui.
Per farla breve, per un'azienda industriale, in condizioni normali ovvero nella media, il margine operativo lordo (corrispondente alla differenza tra tutti i ricavi e tutti i costi) raramente supera il 20%; nel bilancio di esercizio di una banca, esso si aggira attorno all'80%. Ciò dipende, appunto, dal fatto che la concreta manifestazione monetaria collegata alle operazioni di credito è data dal pagamento delle rate da parte del prenditore; mentre l'erogazione del prestito costituisce - dal punto di vista della banca - un'operazione fittizia, la mera emissione di un titolo corrispondente al valore della somma richiesta dal prenditore e non un'uscita effettiva.
Conseguentemente, un abbattimento del debito residuo del 40% rappresenterebbe un evento del tutto trascurabile per la copertura dei costi della banca; ma, per le famiglie, un forte alleggerimento, corrispondente ad un aumento del reddito sempre del 40%.
L'abbattimento potrebbe prevedersi anche più consistente, fino al limite del livello dei costi gestionali per la banca, ivi comprese alcune immobilizzazioni tecniche e un eventuale margine operativo, pari al 20% del cash flow. In altri termini, sarebbe addirittura ipotizzabile un abbattimento dell'indebitamento delle famiglie attorno al 65%.
Ovviamente, le banche debbono premunirsi dal rischio di richiesta generalizzata di rimborso dei depositi o panico (dovuto anche al fatto che solo l'8% di essi potrebbe, comunque, venir esaudito); ma tale situazione è conseguenza dell'inganno circa il vero funzionamento del sistema bancario: se fosse detta la verità, tutta la verità, si capirebbe come le banche ben difficilmente avrebbero un danno per le cosiddette sofferenze. Queste ultime, infatti, non sono altro che parziali mancati guadagni, non perdite, capaci di influire sugli attivi dei risparmiatori o sulle loro reazioni psicologiche (il panico, appunto).
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