mercoledì 17 febbraio 2010

Euro Exit Strategy: l'emigrazione dei pensionati

Assoprevidenza punta il faro sul nuovo trend

Sono in pensione e me ne vado in Sudamerica

di Sergio Corbello
l'Occidentale, 16 Febbraio 2010
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Sono ormai alcune migliaia i pensionati italiani che hanno deciso di trascorrere la terza età all’estero. Una scelta che presumibilmente verrà presa da un sempre maggior numero di persone alla ricerca di paesi dove il potere di acquisto della pensione possa permettere di vivere, magari non nel lusso, ma almeno senza affanni.

Al momento non sono disponibili statistiche ufficiali, ma la tendenza è evidente. Sono in molti ad aver deciso di “ottimizzare” la propria situazione andando a vivere all’estero, magari in paesi dal clima caldo e dagli incantevoli paesaggi naturali. Del resto, strumenti come Internet e Skype, piuttosto che le compagnie aeree low cost, favoriscono una “scelta di vita” di questo tipo, senza dover interrompere del tutto il legame con l’Italia.

Le mete preferite sono il Sudamerica (soprattutto il Brasile, Cuba e il Costarica), gli stati del bacino del Mediterraneo (Tunisia e Marocco) e il Sudafrica, che sta raccogliendo crescenti simpatie.

Ad accendere i riflettori su questo fenomeno, non più marginale, è stata Assoprevidenza – il centro tecnico nazionale di previdenza e assistenza complementare – ponendo in evidenza, attraverso la pubblicazione del Quaderno 17 ( I Profili Internazionali della Previdenza Complementare, a firma di Federico Rasi), alcune problematicità di natura fiscale. In particolare, tra le criticità considerate, emerge che i pensionati che si trasferiscono stabilmente all’estero debbono fare i conti con i numerosi ostacoli tributari che si frappongono alla libera circolazione delle rendite previdenziali. La questione riguarda con maggior intensità la previdenza complementare, atteso che essa opera in regime tecnico di capitalizzazione

Nonostante gli sforzi compiuti negli ultimi anni per eliminare le maggiori barriere fiscali alla libera circolazione degli assegni pensionistici, ancora oggi le legislazioni nazionali di fatto contrastano la possibilità dei lavoratori di aderire a forme pensionistiche estranee al paese di residenza o di trasferire la propria posizione previdenziale accumulata tra forme previdenziali appartenenti a stati diversi. Per non parlare delle incertezze che si determinano al momento di maturazione della prestazione previdenziale, laddove esista una divergenza anagrafica fra lo stato di residenza della forma previdenziale e quello di residenza dell’individuo.

Si tratta di problemi di non facile soluzione. Salvo i paesi con cui l’Italia ha sottoscritto appositi accordi bilaterali, il rischio per gli intraprendenti pensionati è di subire una doppia imposizione fiscale delle pensioni di base e delle forme complementari. La soluzione può essere trovata solamente grazie ad accordi di “reciprocità” fra i vari stati, intese che, a livello di Unione, trovano realizzazione, sia pure non esclusiva, all’interno di strumenti legislativi comunitari, mentre a livello extra-comunitario debbono necessariamente divenire oggetto di negoziazioni bilaterali.

Per sua natura, la disciplina fiscale della previdenza complementare ha un orizzonte temporale di riferimento molto ampio e questa circostanza permette ai legislatori nazionali di concentrare la tassazione del risparmio previdenziale anche in una sola delle tre fasi (contribuzione, accumulazione, prestazione) in cui la vicenda previdenziale si articola.

Può accadere che qualora il lavoratore si sposti da uno Stato che applica il sistema E-E-T (Esenzione – Esenzione – Tassazione), a un altro fondato sul modello T-E-E (Tassazione - Esenzione – Esenzione) o viceversa, subisca una disparità di trattamento rispetto ai soggetti che continuano ad aderire a un unico sistema. Il trasferimento dell’interessato, in altri termini, può determinare il verificarsi di casi di doppia imposizione.

La scelta di uno stato di riservare un regime fiscale di favore ad una delle fasi del piano previdenziale complementare, si fonda, infatti, sul presupposto del rinvio della tassazione a una fase successiva (la concessione del vantaggio fiscale della deduzione dei contributi, a titolo di esempio, è correlata alla successiva tassazione delle prestazioni, lontana nel tempo dalla prima). Il trasferimento di un iscritto da uno stato a un altro modifica tale simmetria, con effetti ora favorevoli ora sfavorevoli per l’interessato.

Considerato che la maggior parte degli ordinamenti adotta lo schema di tassazione E-E-T (Esenzione – Esenzione – Tassazione), l’espatrio è svantaggioso ove non vi sia la rinuncia all’imposizione da parte del paese che ha concesso l’esenzione nella fase di accantonamento e/o di accumulo, a favore del paese presso cui si realizza il momento impositivo sulla prestazione.

Entrando più nello specifico delle problematiche trattate da Federico Rasi nel Quaderno n.17 della Collana di Assoprevidenza, i principali ostacoli fiscali alla realizzazione di un sistema omogeneo di previdenza complementare a livello internazionale sono dovuti all’esistenza di asimmetrie tra gli ordinamenti coinvolti, riguardanti i diversi step dell’iter previdenziale:

• contribuzione: si tratta dei casi in cui la deducibilità o altra agevolazione riconosciuta in caso di adesione ai fondi pensione residenti non sia invece riconosciuta in caso di adesione a fondi pensione non residenti;
• accumulazione: si tratta dei casi in cui la tassazione eventualmente subita dai fondi pensione nella fase di accumulazione, e per la quale non siano previsti rimborsi in capo ai non residenti, riduca la loro competitività nei confronti di istituzioni residenti in paesi in cui tale fase sia esente da imposta;
• prestazione: si tratta dei casi in cui si generano fenomeni di doppia imposizione dovuti alla circostanza che il paese della fonte e quello della residenza non si accordino circa l’attribuzione della potestà impositiva.

E’ utile ricordare che già nel 1999 la Commissione Europea evidenziava come le diversità negli schemi di previdenza complementare potessero causare un impedimento all’esercizio delle libertà fondamentali garantite dal diritto comunitario. “La diversità, complessità e specificità dei sistemi fiscali nazionali sviluppatisi negli ultimi anni sono considerati il maggior ostacolo per l’esercizio della libera circolazione delle persone e la libertà di prestazione di servizi in materia di pensione complementare ed assicurazione sulla vita”. Così si esprimeva la Commissione Europea nella COM 134 “Verso un mercato unico per i regimi pensionistici integrativi” dell’11 maggio 1999. Da allora le istituzioni comunitarie si sono impegnate per rimuovere tali ostacoli, ma non si può certo dire che il lavoro sia stato completato.

La situazione è ancora oggi particolarmente complessa per via della mancata applicazione negli Stati Membri del principio di reciproco riconoscimento dei sistemi pensionistici complementari e delle normative fiscali che li connotano.

Per porre rimedio a questa realtà la Commissione Europea, oltre ad avviare procedure di infrazione nei confronti degli Stati Membri, ha cercato di offrire soluzioni con la Direttiva 2003/41/CE che, accogliendo l’ottica della specificità del fenomeno previdenziale, ha individuato condizioni e procedure in base alle quali un ente pensionistico costituito in uno Stato Membro può offrire servizi previdenziali in un altro a condizioni di parità.

Dall’esame della Direttiva emerge tuttavia la cautela con la quale la Commissione ha affrontato il problema della previdenza complementare, arrivando alla conclusione che, diversamente da altri settori, quello previdenziale potrebbe anche tollerare differenze nelle diverse legislazioni.

In conclusione, il maggior ostacolo alla mobilità transnazionale dei lavoratori è la miopia degli Stati, troppo attenti a disciplinare solo taluni aspetti, dimenticando il quadro di insieme.

Secondo l’analisi effettuata dal Quaderno di Assoprevidenza, “Sarebbe opportuno che fosse predisposta una legislazione di coordinamento a livello comunitario che permetta un reciproco riconoscimento degli schemi di previdenza complementare di tutti gli Stati membri, che detti norme in grado di prevenire la doppia imposizione fiscale. Almeno a livello comunitario sarebbe preferibile un approccio che affrontasse in maniera diretta il problema della previdenza complementare avendo in mente le diverse fasi in cui si articola”. I singoli Stati sono chiamati, a loro volta, a recuperare una visione di insieme e dettagliare meglio le convenzioni bilaterali.

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