mercoledì 17 febbraio 2010

Dalla "Gladio" alla "DC2"...

SENZA CENSURA N.13

FEBBRAIO 2004

Il “Pompiere” va alla guerra?

Spunti da una lotta contro la militarizzazione.


Abbiamo deciso di pubblicare alcuni stralci dell’opuscolo realizzato dai Vigili del Fuoco delle RdB /Cub sul tema della Difesa Civile. Il materiale da loro prodotto rappresenta il frutto di una lotta che da tempo li vede impegnati contro la militarizzazione di settori della protezione civile, portando davanti agli occhi di lavoratori appartenenti ad altri settori quanto, alla luce della oramai strutturale “emergenza terrorismo”, si tenda a ricondurre a ruoli di polizia e controllo del territorio molte figure lavorative.
Pensiamo che gli elementi contenuti al suo interno facciano parte di un lavoro ed un analisi che da tempo come rivista cerchiamo di affrontare, cercando di inquadrare in senso ampio quella che definiamo controrivoluzione e i passaggi pratici e formali da essa dipendenti.
Abbiamo più volte affermato che la componente civile riveste ormai un ruolo fondamentale nelle attività militari, nelle guerre ed in particolare per quanto riguarda ciò che comunemente è definito peacekeeping.
Durante la terza riunione del NATO and Multinational Concept, Development and Experimentation (CD&E) del Novembre 2003 è stato affermato che la Cooperazione Civile Militare (CIMIC) ha rappresentato la soluzione migliore per le operazioni di stabilizzazione. Il personale CIMIC viene definito personale preparato in grado di lavorare nei territori di crisi per creare legami tra forze militari e popolazioni locali.
Nel 1997 a seguito delle esperienze condotte nelle operazioni di supporto alla pace i Comandi NATO hanno individuata la necessità di dotarsi di una rinnovata capacità di cooperazione Civile Militare (CIMIC) a causa della crescente esigenza di interfacciarsi con la popolazione civile, le autorità Civili e le Organizzazioni Internazionali, ai fine di creare un “ambiente” favorevole all’assolvimento delle missioni della forza NATO.
Questo ha comportato la revisione della politica CIMIC con una nuova dottrina, un nuovo concetto di formazione e con la costituzione di Unità di specialisti che siano in grado di assolvere al meglio tale funzione.
Ogni “Strategic Command” si doveva dotare di assetti multinazionali a livello “Regional Command”.
A livello Europeo è stata stabilita la isituzione di tre reggimenti, da costituire assegnandone la responsabilità ad Italia, Olanda e Regno Unito.
Il progetto ha già avuto avvio con la costituzione dell’unità nazionale dal 1 gennaio 2002.
La tipologia delle attività CIMIC sul terreno, spesso simile alle attività del Genio, ha indotto ad agganciare l’unità CIMIC al COMFOTER attraverso il Comando Brigata Genio, che comunque ha solo compiti di approntamento, essendo demandato al Comando Operativo di vertice Interforze (COI) ed AFSOUTH l’impiego operativo dell’unità.
I lavori del gruppo di lavoro interforze internazionale sono iniziati il 2 novembre 2001 e comprendono i rappresentanti di tutti i paesi della Regione Sud della NATO (PORTOGALLO - SPAGNA - FRANCIA - ITALIA - GRECIA - UNGHERIA - TURCHIA), per la definizione dei livelli di partecipazione di ogni paese e per l’emanazione dei documenti occorrenti per l’operatività del CIMIC GROUP.
L’Unità non ha compiti diretti negli interventi di pubbliche calamità sul territorio nazionale.
Il CIMIC Group South è un reparto multinazionale della NATO a guida italiana, in grado di ricercare addestrare e proiettare unità di specialisti nel soccorso e nella ricostruzione di aree sconvolte da conflitti.
Basato nella citta di Motta di Livenza (TV) il Gruppo è in fase di completamento.
Prendendo come esempio quanto riportato, sono quindi legittime le preoccupazioni che investono la categoria dei Vigili del Fuoco, ma le preoccupazioni dovrebbero investire una più ampia fetta di lavoratori e soggetti del cosiddetto movimento, troppo inclini agli eventi ma molto poco attenti alle pesanti trasformazioni che lo Stato Democratico sta attuando, al di là dei girotondi contro le televisioni Mediaset o a salvaguardia di uno pseudo servizio di “propaganda” pubblico (o meglio a disposizione di tutte le forze istituzionali).

La Difesa Civile
L’organizzazione del progetto “Servizio di Difesa civile” venne originariamente realizzato nel settembre del 1951, quando il Consiglio dei Ministri istituì presso il Ministero dell’Interno la “Direzione Generale dei servizi di Difesa civile”. Nel 1949 l’allora Ministro dell’Interno Scelba offrì la direzione della difesa civile al conte Edgardo Sogno Rata del Vallino.
Sogno, protagonista di molti misteri italiani, intraprese in quegli anni, ufficialmente, la carriera diplomatica. Impiegato presso il Ministero degli Affari Esteri, lavorò anche al Ministero dell’Interno: è un soldato “dell’armata invisibile”, preparato a combattere l’opposizione. Sogno non darà la sua disponibilità per un impegno diretto nell’ambito del progetto “difesa civile”, rifiutando l’incarico di “distaccato” presso il Viminale. Le motivazioni di questo rifiuto si possono evincere dal fascicolo della Divisione Affari Riservati del Ministero dell’Interno, La difesa civile doveva entrare in azione soltanto nel caso in cui i comunisti tentassero un’azione di forza e (secondo le sue opinioni, n.d.r.) non si possono galvanizzare gli uomini soltanto per un’occasione sola, che potrà anche non verificarsi. I Ministri dell’Interno Scelba, Tambroni e Taviani tenteranno di portare in Parlamento la legge sulla difesa civile, la quale non otterrà mai l’approvazione definitiva per l’opposizione della sinistra, per la quale il vero scopo di quelle politiche sarebbe stato l’intervento contro i comunisti, contro le manifestazioni di piazza, contro gli scioperi. Nel corso degli anni ’50 e ’60 il dibattito politico si concentrò in particolare su un articolo contenuto in vari disegni di legge: esso dava il potere ai prefetti e al Ministro dell’Interno di effettuare requisizioni di prestazioni personali, contro la volontà della cittadinanza. Tale disegno fu sconfitto dalle stagioni di lotta che caratterizzarono gli anni ‘70. Il Governo però non si arrese e il progetto di legge, respinto in Parlamento, per via democratica, troverà attuazione, sotto una nuova veste, in programmi segreti e senza copertura parlamentare, come “Stay Behind” (1951), “Demagnetize” (1952), oltre che tramite organizzazioni come “Gladio” (1956).

La Difesa Civile Oggi
Il progetto “difesa civile” trova comunque nell’arco degli anni una sua realizzazione, e si presenta oggi come parte integrante della difesa nazionale (1). In sostanza, la difesa nazionale prevede una componente militare (difesa militare) e una componente civile (difesa civile). Le attività di difesa civile si realizzano attraverso e secondo vere e proprie strategie militari. In questo contesto la protezione civile, da sistema autonomo, diviene, ambiguamente, un settore della “difesa civile”. La legge 996 del 1970, denominata “Norme sul soccorso e l’assistenza alle popolazioni colpite da calamità – Protezione civile”, non scioglie l’ambiguità esistente tra protezione civile e difesa civile. La legge definisce in modo riduttivo la “gestione delle emergenze” e, in particolare, non specifica il tipo di calamità cui ci si riferisce, utilizzando in modo generico il termine “emergenza” (2).
La legge 225 del 1992, che istituì il Servizio Nazionale di protezione civile, sembrò archiviare l’equivoco tra attività di difesa civile e attività di protezione civile. La legge, infatti, circoscrivendo in modo esplicito il concetto d’emergenza, definisce e distingue la tipologia degli eventi e i relativi ambiti di competenza, prevedendo lo stato d’emergenza proclamato dal Presidente del Consiglio dei Ministri solo in caso di calamità naturali e catastrofi ambientali. Dopo un oblio di circa 50 anni, il progetto “difesa civile” riemerse tramite i processi di riforma dello Stato, nel decennio 1990/2000. (3)

(…) Il Governo di centrosinistra, con il Ministro Bianco agli Interni, sostituì la Direzione Generale Servizi Antincendio e Protezione civile, con sede presso il Ministero dell’Interno, con il Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del Soccorso pubblico e della Difesa civile (4). Fu questa una delle prime avvisaglie di un ministero in grande trasformazione. Il clima di minaccia per attacchi terroristici favorisce un substrato culturale, del resto costantemente presente nel nostro Paese, mirante a costituire sul territorio nazionale strutture di difesa civile perfino comunali, come quelle indicate dal manuale “La cooperazione civile-militare Dc-2”, indicate dal Centro Militare Studi per la difesa civile.
L’egemonia degli apparti militari su alcuni settori di natura civile si afferma recentemente, in occasione dell’attacco all’Iraq, quando il Presidente del Consiglio dichiara lo stato d’emergenza in considerazione della crisi internazionale, attribuendo al Capo Dipartimento della Protezione civile la funzione di Commissario delegato per l’assunzione di tutte le iniziative necessarie per ridurre al minimo le possibilità di danni alle popolazioni in conseguenza di eventi di natura terroristica” (5).
In sostanza, attraverso la protezione civile, il Presidente del Consiglio si arroga tutti i poteri del caso, creando, da un punto di vista giuridico, un vero e proprio “stato d’eccezione”, in cui in forza dell’esercizio delle proprie funzioni è legittimato a violare o prevaricare qualsiasi tipo di legge ordinaria e costituzionale.
Le attività previste dallo stato d’emergenza investono in primo luogo il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, oltre agli operatori sanitari operanti accanto alle forze dell’ordine, sia nel l’ambito dell’area interessata, sia in sede di Commissione interministeriale tecnica della difesa civile, sovraordinati dal Nucleo Politico Militare.
La catena di comando e controllo del territorio è così operativa. Attraverso il Nucleo Politico Militare (NPM), deputato ad avvalersi della Commissione interministeriale per la difesa civile, operante presso il Ministero dell’Interno, si definisce, a livello centrale, l’organizzazione e la gestione delle politiche di difesa civile.
Il territorio è sottoposto al controllo delle ex prefetture, oggi Uffici territoriali del governo, che, proprio attraverso i prefetti, coordinano e pianificano i “contributi” delle diverse amministrazioni, sia rispetto alla pratica ordinaria, che a quella “emergenziale”, nel campo delle attività relative alla difesa civile.
Sono previsti “obblighi di cooperazione” tra gli UTG e le autonomie territoriali e regionali, oltre alle strutture sanitarie e i servizi oggi privatizzati, si considerino a titolo di esempio le telecomunicazioni.

(…) L’apparato della difesa civile prevede complesse e quanto mai sconosciute strutture.
Purtroppo nulla, o poco più, è dato sapere delle strutture di difesa civile presenti o progettate per il nostro paese, tranne il fatto che attualmente il Ministero dell’Interno sia impegnato fortemente in un’operazione di potenziamento di detti organismi, in effettiva sinergia con gli altri paesi dell’Unione europea e con vari organismi internazionali (Nato, Commissione europea, Gruppo Schengen, etc.) (6). Lo strumento della difesa civile è stato sostenuto dall’Italia in particolare nell’ambito dell’Alleanza Atlantica, in sede Nato, in quanto ritenuto necessario per rispondere ai possibili rischi che derivano dalla posizione geostrategica del nostro Paese, situato al centro del Mediterraneo.

(…) Nel giugno 1992 il Consiglio Europeo approvò le politiche previste per le missioni umanitarie e di soccorso, di attività di mantenimento della pace, e le missioni di unità da combattimento per la gestione della crisi, comprese le missioni di peacekeeping, in cui anche la protezione civile è chiamata ad operare. Tali politiche prendono il nome di “compiti di Petersburg”, il luogo ove si è tenuto il Consiglio ministeriale dell’Unione europea in questione. La conferenza ministeriale dell’Unione europea, del novembre 2002, ha stabilito i settori considerati prioritari nel corso della gestione delle crisi internazionali. Gli Stati membri devono poter fornire, per il Corpo di Polizia 5.000 agenti, nel settore dello stato di diritto 200 esperti, nel settore dell’amministrazione civile un pool di esperti, e nel settore protezione civile 2 o 3 squadre da mobilitare entro le 3-7 ore, nonché fino a 2000 unità per le squadre d’intervento schierabili con breve preavviso.

La Militarizzazione delle Funzioni dello Stato
Gli effetti di questo processo si possono riscontrare nella vita sociale e quotidiana del nostro Paese e, in particolare, nei comportamenti delle forze dell’ordine durante le manifestazioni del movimento di lotta contro le politiche economiche e sociali dichiarate dal G8, in occasione degli incontri internazionali a Napoli e Genova. La gestione dell’ordine pubblico in quelle occasioni ha segnato una svolta nel nostro paese a partire dalla presenza in piazza della Guardia di Finanza in tenuta antisommossa e del Corpo Forestale dello Stato con gli idranti ad alta pressione. In occasione del G8 si è tentato di utilizzare anche il personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco in attività di ordine pubblico. Nell’ambito delle azioni di difesa civile, il Governo ha predisposto l’invio a Genova di automezzi antincendio, dislocati, per il soccorso alle persone, presso gli aeroporti. I lavoratori del Corpo nazionale, fortemente contrari a tale ipotesi, si mobilitano contro la disposizione impartita dal Ministro dell’Interno, e aderiscono allo sciopero nazionale indetto dal sindacalismo di base il 20 luglio 2001. La mobilitazione della RdB-CUB è volta a scongiurare l’ipotesi di utilizzo dei Vigili del Fuoco, ed infatti il Governo è costretto ad impiegare il Corpo forestale dello Stato, dotato di mezzi antincendio, nelle attività di ordine pubblico. Nel marzo 2000, dopo oltre due anni di dibattito parlamentare, viene approvata in via definitiva la legge (7) che dà delega al Governo (di centrosinistra) in materia di riordino dell’Arma dei carabinieri, del Corpo Forestale dello Stato, del Corpo della Guardia di Finanza e della Polizia di Stato.
I decreti legislativi successivi metteranno fine al processo di smilitarizzazione, avviato e mai completato dalla legge 121/81, riguardante la Polizia di Stato. I Carabinieri divengono quarta forza armata dello Stato, si cancella ogni ipotesi di smilitarizzazione, per favorire un controllo del territorio in base al nuovo modello di difesa europeo, ormai in via di definizione.

(…) Il processo di militarizzazione della società civile subisce un escalation senza precedenti. In sostanza: si riporta indietro l’orologio agli anni ’50/60, si rimilitarizza la funzione di polizia, si muta il sistema di sicurezza interna e di difesa dello Stato. Questi elementi ripropongono una “nuova” centralità del Ministero dell’Interno, come superministero che amplia le proprie competenze a funzioni di difesa nell’ambito dei servizi civili, indossando una veste che lo caratterizza come ministero di polizia, in grado di rafforzare e difendere il potere del Governo. Il Ministero dell’Interno assume così una funzione centrale di controllo del territorio, attraverso un’idea di società in cui la difesa civile rappresenta lo scudo per garantire la continuità delle attività di governo, prescindendo dalle istanze locali e territoriali. Per realizzare questi obiettivi è necessario tornare indietro, e annientare qualsiasi opposizione dei lavoratori.
Si avvia, come nel caso dei Vigili del Fuoco, la trasformazione del rapporto di lavoro, attraverso l’imposizione di norme contrattuali previste dal “comparto sicurezza”, che di fatto li equipara alle forze di polizia. A questo proposito il Consiglio dei Ministri ha predisposto un disegno di legge specifico che delega all’esecutivo l’emanazione di uno o più Decreti legislativi sulle funzioni, sui compiti, nonché sul rapporto d’impiego del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco. In questo quadro l’intero sistema di protezione civile verrebbe nei fatti smantellato: il soccorso alla popolazione sarebbe delegato al mondo del volontariato, differenziato da regione a regione, con tempi e modalità d’intervento direttamente proporzionale alle risorse economiche dei singoli enti territoriali.
Il progetto di legge, se dovesse ottenere l’approvazione del Parlamento, produrrebbe l’effetto immediato di assorbire nelle file del sistema della sicurezza e del controllo oltre 30 mila lavoratori, invalidando tutti quei diritti conquistati nel corso di anni di lotte. Una ricaduta effettiva di queste politiche l’abbiamo potuta constatare in occasione delle emergenze radioattività nei territori del nostro paese, sedi di basi militari americane o Nato, nel corso dell’attacco all’Iraq. In quell’occasione il Viminale fece circolare lo statuto degli impiegati civili dello Stato del 1957 (8), ricordando ai lavoratori il proprio dovere del “segreto d’ufficio” ed elencando, in una circolare ministeriale dai toni minacciosi, le sanzioni disciplinari previste in caso di un’eventuale violazione.
Anche il personale civile viene ricondotto a logiche proprie del settore militare. La polizia di Stato conta in organico 115 mila unità, i carabinieri 120 mila, la guardia di finanza 65 mila, per un totale di circa 300 mila unità. Se poi aggiungiamo gli altri corpi militarizzati come le guardie carcerarie - 45 mila, le guardie forestali – 8 mila, si ha un rapporto, rispetto alla popolazione, di circa un agente ogni 117 abitanti. È stato calcolato che tale rapporto è di 1 a 215 per la Spagna, 1 a 250 per la Francia, 1 a 275 per il Belgio, 1 a 300 per la Germania, 1 a 365 per i Paesi Bassi, 1 a 400 per il Regno Unito. Da questi dati emerge come attraverso gli organi di controllo e repressione il Governo metta a forte rischio i diritti civili fondamentali di tutti i cittadini, oltre a impedire ogni possibile sviluppo democratico all’interno della società, in un Paese che conta il più alto numero di corpi militarizzati al mondo, sia in rapporto alla popolazione, sia in cifre assolute.
Questo processo di riorganizzazione passa anche attraverso esercitazioni e addestramenti, al fine di ottenere la standardizzazione dei comportamenti e delle operazioni prevista dalle strategie militari rivolte alle diverse amministrazioni civili dello Stato. Gli apparati civili e militari sono già al lavoro per presentare in Parlamento, attraverso un disegno di legge del Governo, una proposta secondo la quale tutte le amministrazioni pubbliche dovranno fornire risorse umane e strumentali per la gestione delle attività di difesa civile, fuori e dentro l’area NATO: in sostanza siamo di fronte alla sottomissione di moltissime funzioni dello Stato ad esigenze di tipo militare.


Note degli autori dell’Opuscolo “Difesa Civile”

Note:


1) La Cooperazione Civile Militare, ed. dello Stato Maggiore della Difesa,1983.
2) Francesco Santoianni, Protezione civile: pianificazione e gestione dell’emergenza, ed. Noccioli, 2003.
3) Vedi: “Riforme Bassanini” (in particolare Decreto legislativo 112/98 e decreto legislativo 300/99).
4) D.P.R. 398 del 7 settembre 2001
5) Stato d’emergenza n. 3275 del 28 marzo 2003.
6) Si veda la rivista ufficiale dei vigili del fuoco, “Obiettivo sicurezza”, maggio 2003.
7) Legge 78 del 30 marzo 2000.
8) Si veda il DPR n°3 del 10 gennaio 1957.

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