Spring meetings per la Banca mondiale e il Fmi
AprileOnline, Luca Manes, 23 aprile 2010, 17:10
Mondo Gli incontri di Primavera di Banca mondiale e Fondo monetario, in programma fino a domenica a Washington, costituiscono per le Ong e i gruppi di base l'ennesima occasione per protestare contro l'operato deficitario delle due istituzioni, World Bank in primis. Proprio l'istituzione guidata da uno dei fedelissimi di George W. Bush, quel Robert Zoellick già ministro del Commercio con l'Estero Usa, sta provando l'ennesima mossa all'insegna del trasformismo che tanto l'ha contraddistinta nei quasi sei decenni dalla sua creazione
Adesso i banchieri di Washington sono in prima fila nella gestione della finanza per il clima e nella lotta al surriscaldamento globale, oltre farsi paladini per una nuova governance globale che tenda in debita considerazione le istanze dei suoi più affezionati clienti, ovvero i Paesi più poveri del globo. Il tutto a parole. Poi nei fatti le cose cambiano, e non poco.
Nel fine settimana i ministri delle Finanze del Pianeta sigleranno un accordo per rivedere le quote di governo interno dei singoli Paesi nel consiglio direttivo della Banca, ed in pratica l'"ex terzo mondo" beneficerebbe di un mero tre per cento in più. Alcune realtà più povere perderebbero addirittura potere e la Cina, come prevedibile, guadagnerebbe di più. Nel frattempo gli esecutivi europei continuano ad avere più del 30 per cento delle quote e ben 8 dei 24 posti disponibili nel Consiglio Direttivo. Non un dettaglio, se si vuole rendere multipolare e più democratica la struttura di governo della Banca.
Ma le dolenti note peggiori arrivano dall'attività quotidiana dell'istituzione, dal suo operato sul campo. Per denunciare questo stato di cose l'italiana CRBM, insieme ad altre realtà della società civile internazionale quali Christian Aid, il Bretton Woods Project, ActionAid, Eurodad e Third World Network hanno lanciato il loro nuovo rapporto "Bottom Lines, Better Lives?". La pubblicazione, che si concentra sulle banche multilaterali di sviluppo e in particolare sulla Banca mondiale, evidenzia come tali organismi favoriscano in maniera enorme gli interessi delle compagnie private del ricco Nord del mondo che agiscono nei Paesi in via di sviluppo. Si è passati da finanziamenti per quattro miliardi di dollari l'anno nel 1990 agli attuali 40 miliardi, in buona parte per progetti guidati dai privati che non riescono a tenere in debita considerazione le implicazioni socio-ambientali e di lotta alla povertà legati alla loro realizzazione.
Secondo le Ong, l'approccio di questi supposti organismi di sviluppo come la Banca mondiale si basa troppo sull'attrarre investimenti diretti esteri, piuttosto che aiutare l'economia locale dei Paesi del Sud del mondo, mentre la selezione, il monitoraggio e le valutazioni tecniche dei progetti hanno reso prioritari i ritorni commerciali rispetto a quelli socio-ambientali. Non a caso le analisi interne delle varie banche di sviluppo confermano con regolarità l'inadeguatezza di tale approccio. Inoltre nel rapporto si critica senza mezzi termini l'esteso utilizzo di intermediari come istituti di credito privati o compagnie di private equity da parte delle stesse banche. Per altro, i medesimi attori finanziari che sono stati tra i principali responsabili della grave crisi finanziaria e poi economica, con pesantissimi impatti sui Paesi più poveri.
Come se non bastasse le Ong contestano un altro grave difetto alla World Bank, tanto da chiedere a gran voce ai governi donatori di non accordare un l'aumento di capitale di 58 miliardi di dollari richiesto da Zoellick: la tendenza a finanziare progetti per l'estrazione di combustibili fossili. Altro che guerra alle emissioni di CO2! Non a caso a inizio aprile i direttori esecutivi della Banca hanno approvato un finanziamento di 3,75 miliardi di dollari alla Eskom per la costruzione di una mega centrale a carbone a Medupi, in Sudafrica. Un'opera alla cui realizzazione si oppongono le popolazioni locali e almeno 200 gruppi sparsi per il Pianeta e che ha creato dei malumori anche all'interno della stesso board, visto che Italia, Stati Uniti, Regno Unito, Olanda e Norvegia si sono astenute al momento della votazione.
Ciò nonostante la World Bank continua a sbandierare l'importanza del suo ruolo nella gestione della cosiddetta finanza climatica e il suo impegno contro il surriscaldamento globale. Eppure tra il 2007 e il 2009 circa la metà del portafoglio energetico dell'istituzione è andato a progetti per l'estrazione dei combustibili fossili e oltre sei miliardi per impianti a carbone, la risorsa più inquinante attualmente a disposizione. Soli il 16 per cento dei fondi a disposizione sono andati alle fonti rinnovabili e il 20 a opere per l'efficienza energetica. Insomma, la Banca mondiale è come sempre "fedele" al vecchio adagio: predica bene e razzola male.
Nessun commento:
Posta un commento