lunedì 6 luglio 2009

Nicola Bombacci, un rivoluzionario purissimo

Nicola Bombacci, un rivoluzionario purissimo


Michele Falcone, Rinascita, 24 Giugno 2009

Nicola Bombacci, un rivoluzionario purissimo



Gli anni socialisti (1879-1920).
Nicola Bombacci nacque a Civitella di Romagna, in provincia di Forlì, il 24 ottobre 1879. Dopo una breve esperienza in seminario, divenne insegnante elementare. Fin da inizio secolo fu attivo nel mondo sindacale operando tra Crema, Piacenza e Cesena e venendo eletto nel 1911 membro del Consiglio Nazionale della Confederazione Generale del Lavoro (CGdL). A Modena, durante il primo conflitto mondiale, ebbe il suo trampolino di lancio, divenendo il leader indiscusso del socialismo locale, tanto che lo stesso Mussolini lo definì il Kaiser di Modena. Tra le guerre balcaniche e la rivoluzione russa fu contemporaneamente segretario della Camera del Lavoro, segretario della Federazione socialista provinciale modenese e direttore del periodico socialista “Il Domani”. Nel luglio 1917, Bombacci venne nominato membro della Direzione del Partito Socialista Italiano (PSI), affiancando il segretario Costantino Lazzari nella redazione della famose circolari dirette alle sezioni del partito e il direttore del periodico socialista Giacinto Menotti Serrati nell’opera di conquista del movimento operaio da parte della corrente socialista massimalista. Nel 1918, con gli arresti di Lazzari nel gennaio e di Serrati nel maggio, rimase praticamente solo alla guida del Partito. Fautore di una politica fortemente antiriformista, centralizzò e verticalizzò tutto il socialismo italiano: le federazioni provinciali del partito e il Gruppo Parlamentare Socialista (GPS) diventarono dipendenti direttamente dalla Direzione del PSI, alla quale si collegavano anche le organizzazioni sindacali e cooperativistiche rosse. Nel 1919 redasse con Serrati, Gennari e Salvadori il programma della frazione massimalista, vincente al XVI Congresso Nazionale del Partito Socialista Italiano (Bologna, 5-8 ottobre 1919); fu eletto segretario del Partito (11 ottobre 1919) e, il mese seguente, nelle prime elezioni politiche generali del dopoguerra (16 novembre 1919) deputato nella circoscrizione di Bologna con oltre centomila voti; fu una delle figure più potenti e visibili del socialismo massimalista nel biennio rosso. Nel gennaio 1920 presentò un progetto di costituzione dei Soviet in Italia, che ottenne pochi consensi e molte critiche, contribuendo però ad aprire un acceso dibattito teorico sulla stampa di partito. In aprile, fu il primo socialista italiano ad incontrare dei rappresentanti bolscevichi a Copenaghen, mentre in estate fu uno dei membri della delegazione italiana che andò nella Russia sovietica, partecipando anche al II Congresso dell’Internazionale Comunista.
Fondatore nell’autunno della Frazione comunista insieme ad Antonio Gramsci, Amadeo Bordiga, Egidio Gennari e Antonio Graziadei, oltre che direttore del periodico “Il Comunista”, al XVII Congresso Nazionale del PSI (Livorno, 15-21 gennaio 1921) optò decisamente per la scissione, non esitando ad entrare nel Partito Comunista d’Italia, Sezione Italiana della III Internazionale (PCd’I), nel quale divenne membro del Comitato Centrale.

Gli anni comunisti (1921-1927).
Rieletto deputato nelle elezioni politiche generali della primavera del 1921 nella circoscrizione di Trieste, Bombacci, non avendo una sua corrente nel nuovo partito, si trovò piuttosto isolato rispetto al gruppo ordinovista di Gramsci, Togliatti, Terracini e Tasca e agli astensionisti di Bordiga. Si situò nell’ala destra del PCd’I con Francesco Misiano, propenso ad un riavvicinamento coi massimalisti e contrario al partito settario e ideologizzato voluto dal Bordiga. Fu presto estromesso dai centri direttivi comunisti, cominciando dal CC del Partito. Come ha evidenziato, poi, sua nipote Annamaria Bombacci nell’opuscolo “Nicola Bombacci rivoluzionario, 1919 – 1921”, ediz. Santerno, Imola, 1983) questa eslcusione fu decisa da “compagni poco compagni”.
Ciò non impedirà a Nicolino di perfezionare la sua collaborazione con Vladimir Illjc Uljanov, (Lenin) fondatore dell’URSS, il quale, adottando la NEP (Novaja Ekonomiceskaja Politika), a partire dal 1923 favorì i rapporti economici soprattutto con il governo italiano di Mussolini.
D’altronde già l’11 novembre del 1922, alla delegazione di comunisti italiani – guidata da Bombacci – in vista al Kremlino per un incontro col capo del bolscevismo, Lenin aveva dichiarato: “In Italia c’era un solo socialista capace di fare la rivoluzione: Benito Mussolini! Ebbene, voi lo avete perduto e non siete stati capaci di recuperarlo!”. L’eco della “Marcia su Roma” del movimento fascista – avvenuto qualche giorno prima – aveva scatenato in Lenin il compatimento e la commiserazione per quei “compagni” d’Italia soltanto illusi di poter captare gli adepti socialisti fanaticamente indaffarati nelle scissioni, ma incapaci di comprendere le potenzialità di quel nuovo movimento politico italiano.
La polemica dell’espulsione di Bombacci dal PcdI arrivò fino alle alte sfere sovietiche nel novembre 1923, quando il Comitato Esecutivo del PCd’I ne decise unilateralmente l’espulsione senza consultare l’Internazionale Comunista. Si accusava Bombacci, allora segretario del Gruppo Parlamentare Comunista, di aver fatto riferimento ad una possibile unione delle due rivoluzioni – quella bolscevica e quella fascista – in un intervento alla Camera dei Deputati il 30 novembre 1923. In particolare, Bombacci, su indicazione dell’ambasciatore russo in Italia, Jordanskij, aveva prospettato un trattato economico italo-russo, fortemente voluto dal Cremlino.
Nel gennaio del 1924, Bombacci fu dunque richiamato a Mosca, dove rappresentò la delegazione italiana ai funerali di Lenin. Grigorij Zinov’ev ne decise il reintegro nel PCd’I, in quei mesi decimato dalla campagna di arresti decretata dal governo di Mussolini.
Al suo ritorno in Italia, però, Bombacci iniziò a lavorare all’Ambasciata russa a Roma, al servizio del commercio e della diplomazia sovietica. Nel 1925 fondò la rivista “L’Italo-Russa”, poi una omonima società di import-export, che ebbero entrambe vita breve.
L’avvento di Stalin, nel 1927, alla guida dell’URSS, con il conseguente allontanamento di Trotshij, Zinoviev e Kamenev dalla politica del Kremlino, chiuse l’appartenenza di Bombacci al partito comunista e promosse l’ulteriore avvicinamento a Mussolini
Dinanzi a suo distacco dal Partito, ormai palese, nel 1927 i dirigenti comunisti in esilio ne decretarono l’espulsione definitiva.

Gli anni dell’inattività politica e poi dell’avvicinamento al Fascismo (1927-1945).
Negli “anni del silenzio”, Bombacci continuò a vivere a Roma con la famiglia. La collaborazione con l’Ambasciata sovietica sembra che non si prolungo più in là del 1930. Le necessità economiche e le gravi condizioni di salute del figlio Wladimiro, che abbisognava di costose cure, lo indussero a chiedere aiuto a gerarchi del regime, che conosceva da tempo – Leandro Arpinati Dino Grandi, Edmondo Rossoni –, e poi allo stesso Benito Mussolini, con il quale aveva avuto rapporti politici nel periodo giolittiano. Il Duce gli concesse alcune sovvenzioni in denaro per le cure del figlio e gli trovò un impiego all’Istituto di Cinematografia Educativa della Società delle Nazioni a Roma.
Dal 1933 Bombacci si avvicinò poco a poco sempre più chiaramente al Fascismo, tanto che con il 1935 si può parlare di una vera e propria conversione.
Mussolini, all’inizio del 1936, gli concesse di fondare “La Verità” (la Pravda in italiano), una rivista politico-sociale, che, a parte alcune interruzioni dovute all’opposizione di alcuni gerarchi burocrati, durò fino al luglio del 1943. Al progetto collaborarono svariati altri ex-socialisti come Alberto e Mario Malatesta, Ezio Riboldi, Walter Mocchi, Giovanni e Renato Bitelli ed Angelo Scucchia.
Bombacci non ebbe mai la tessera del Partito Nazionale Fascista (PNF), per opposizione di qualche stupido gerarca, sebbene egli l’avesse richiesta ripetutamente proprio al capo del Fascismo, al quale scriveva sovente.
Bombacci fu anche tra i sostenitori dell’autarchia perché l’ostruzionismo del capitalismo anglo-americano significava soltanto d’impedire all’Italia e all’Europa il proprio riscatto dalle imposizioni schiaviste del trattato di Versailles del 1919.
Dopo la caduta del governo, il 25 luglio 1943, e, in settembre, la liberazione di Mussolini dal Gran Sasso e la creazione della Repubblica Sociale Italiana (RSI), Bombacci decise volontariamente di andare a Salò, dove divenne una specie di consigliere di Mussolini.

Da allora l’ex-fondatore del Partito Comunista d’Italia ebbe più spazio e visibilità. La sua innata capacità oratoria e la sua vicinanza alle classi lavoratrici furono messe a frutto; pubblicò pure alcuni opuscoli sui pericoli del bolscevismo e la degenerazione staliniana dei principi comunisti.
Proprio a Bombacci si attribuisce il progetto di “socializzazione”, che caratterizzò il “terzo Fascismo” (cioè quello repubblicano degli anni ’43-45, che seguiva il primo Fascismo rivoluzionario degli anni 1915-1922 e quello “istituzionale o regime” del ventennio).
Il Decreto Legislativo sulla “socializzazione delle imprese”, che dava attuazione alla Carta di Verona del novembre 1943, fu approvato dal consiglio dei ministri della RSI nel febbraio del 1944.
Negli ultimi mesi di guerra (settembre 1944 – marzo 1945) Bombacci non smise di propagandare la causa del Fascismo come unica vera rivoluzione sociale in grado di realizzazione il trionfo del lavoro, dando conferenze e facendo comizi tra gli operai nelle piazze del Nord della penisola.
Il memorabile discorso di Genova.
A Genova, nella centrale piazza De Ferrari, il 15 marzo 1945 Nicola Bombacci, che era uno straordinario oratore, illustrò ad una folla di oltre tremila persone (una moltitudine – in quei momenti tormentati dai bombardamenti nemici), composta principalmente dagli operai delle industrie navali del principale porto dell’Italia settentrionale insieme a quelli delle fabbriche siderurgiche e meccaniche delle delegazioni popolari di Sampierdarena, di Cornigliano, di Sestri Ponente, di Pegli e di Voltri, nonché della Valbisagno e della Valpolcevera, il significato del Decreto Legge sulla Socializzazione delle imprese, emanato dal governo della Repubblica Sociale Italiana il 12 febbraio 1944, che il ministro dell’Economia corporativa ing. Angelo Tarchi, coadiuvato dal sottosegretario Prof. Manlio Sargenti, s’impegnarono a renderla ovunque operante.
Con quel Decreto il Fascismo repubblicano mostrava il vero volto del Fascismo, cioè quello socialista, che per troppo tempo, durante il ventennio, era stato offuscato dai massoni e dagli altri opportunisti della burocrazia, i quali avevano congelato l’istituzione corporativa in una cronica condizione d’inefficienza e limitato le funzioni della confederazione dei Sindacati di categoria in un ruolo secondario.
Nicola Bombacci, affascinante nella sua eloquenza, quel 15 marzo si rivolse ai produttori genovesi dicendo, tra l’altro: “Compagni! Guardatemi in faccia, compagni! Voi ora vi chiederete se io sia lo stesso agitatore socialista, il fondatore del Partito comunista, l’amico di Lenin che sono stato un tempo. Sissignori, sono sempre lo stesso! Io non ho mai rinnegato gli ideali per i quali ho lottato e per i quali lotterò sempre…”.
Poi aggiunse: “Ero accanto a Lenin nei giorni radiosi della rivoluzione (quella dell’Ottobre rosso del 1917 in Russia), credevo che il bolscevismo fosse all’avanguardia del trionfo operaio, ma poi mi sono accorto dell’inganno…” e, spiegando i motivi della sua adesione alla RSI, aggiunse: “Il socialismo non lo realizzerà Stalin, ma Mussolini che è socialista anche se per vent’anni è stato ostacolato dalla borghesia che poi lo ha tradito… ma ora Mussolini si è liberato di tutti i traditori e ha bisogno di voi lavoratori per creare il nuovo Stato proletario…”.
Nel contempo, tra lo stupore di tutti per quel linguaggio senza indugi, l’operaio metallurgico Paolo Carretta – presente nel pubblico – salì spontaneamente sul palco e volle testimoniare della sua esperienza drammatica di comunista esule nell’URSS staliniana. Questo fatto consentì a Bombacci di esortare gli operai al riscatto dell’onore nazionale dopo il tradimento dei Savoia, di Badoglio e dei massoni, ed a partecipare attivamente alla formazione dei consigli di gestione nelle aziende perché si trattava di “conquiste che, comunque vada, non devono andare perdute”. Ed aggiunse che la socializzazione si sarebbe presto realizzata ovunque: “Presto tutte le fabbriche saranno socializzate e sarà esaminato anche il problema della terra e della casa perché, tutti i lavoratori devono possedere la loro terra e la loro casa…”.
Il discorso di Nicola Bombacci a piazza De Ferrari a Genova il 15.3.1945 e quello di Mussolini al Teatro Lirico di Milano (15.12.1944) possono essere considerati un unico testamento politico-sociale, destinato alle generazioni future, in attesa di un mondo nuovo, in cui finalmente possano affermarsi i principi della “Civiltà del Lavoro” di Gentile.
Tocca a noi raccogliere quel testamento morale e non lasciarlo nel dimenticatoio in cui vorrebbero confinarlo i nemici dell’Idea e i traditori imborghesiti.

Lo scrittore Arrigo Petacco, nel volume “Il Comunista in camicia nera - Nicola Bombacci tra Lenin e Mussolini” (ediz. Mondadori, 1996), evidenzia – a conferma di quanto segnalarono il 16.3.1945 i cronisti dei quotidiani genovesi “Il Secolo XIX” e “Il Lavoro” – che il discorso di Bombacci fu il migliore discorso pronunciato durante la RSI dinanzi alle maestranze delle più importanti fabbriche di Lombardia, Piemonte, Emilia, Veneto ecc., tra le quali le aziende editoriali Mondadori, Garzanti, “Corriere della Sera”, “La Stampa”.
La socializzazione ebbe applicazione alla FIAT, alla Venchi Unica e alla “Gazzetta del Popolo”. Inoltre, alla Dalmine – nonostante le incalzanti minacce dei comunisti tra le maestranze – gli operai votarono per il consiglio di gestione il 7 aprile e, dei 3253 elettori, vi furono 2272 votanti, con 1765 schede valide, 957 nulle e 531 di astenuti.
Nel dopoguerra, lo studioso Salvatore Francia, nell’opera “L’altro volto della Repubblica Sociale Italiana” (ediz. Barbarossa, 1988), ha documentato l’equilibrio e l’azione di sviluppo vantaggioso della produzione maturato già all’inizio dell’applicazione del D.L. del febb. 1944, dimostrando altresì con l’intervista in extremis concessa dal capo della RSI a G.G. Cabella nel palazzo della Prefettura (20.4.1945) che il Duce, con tale colloquio-testamento, indicava l’esigenza urgente di un “piano di socializzazione mondiale”, rammentando nel contempo con quanta fiducia Bombacci credeva in tale realizzazione politica ed economica.
Lo confermò anche Giovanni Dolfin – segretario particolare del capo della RSI a Gargnano – nello scritto “Con Mussolini nella tragedia” (ediz. Garzanti, 1949 – pag. 118), indicando che, alla vigilia del 1° congresso del Partito Fascista Repubblicano a Verona nel novembre 1943, Mussolini gli disse: “Bombacci, che vive giorni di passione, è in prima linea tra coloro che si battono per una vera rivoluzione sociale”.
Nel volume “Uomini e scelte della RSI” (ediz. Bastogi, 2000) il curatore F. Andriola affidò a Guglielmo Salotti il compito di illustrare la figura di Nicola Bombacci e l’opera da lui svolta tra i protagonisti della repubblica di Mussolini e, anche in questa appassionata analisi, emerge con chiarezza che egli fu all’altezza del compito, contribuendo a far vibrare nel Manifesto di Verona (quello del PFR e approvato nel novembre 1943) lo spirito appassionato di Alceste de Ambris, il quale, nel 1919, nell’impresa di Fiume con Gabriele D’Annunzio e per la reggenza di quella Città, approntò la “Carta del Carnaro” ovvero lo “Statuto della Perfetta Volontà Popolare” in cui fu delineato un primo abbozzo di “socializzazione delle imprese”, poi ripresa nella Carta di Verona del1943.
Vittorio Mussolini ricorda la fedeltà di Nicola Bombacci al suo “compagno” Benito Mussolini fino alla morte.
Bombacci rimase al fianco di Mussolini fino all’ultimo momento: i partigiani lo catturarono, in fuga per la Svizzera con il Duce, e lo fucilarono sulle rive del lago di Como il 28 aprile del 1945.
Nicola Bombacci, sempre fedele, sempre sereno, aveva accompagnato Mussolini al suo ultimo e drammatico viaggio verso la morte.
Il racconto di Vittorio Mussolini del suo ultimo incontro col padre, in compagnia di Bombacci, ci indica la sua integrità morale: “Ho pensato al destino di questo uomo, un vero apostolo del proletariato, un tempo nemico accanito del fascismo e ora a fianco di mio padre senza alcun incarico né prebenda, fedele a due capi diversi fino alla morte. La sua calma mi è servita di conforto”.
Quando Bombacci fu posto di fronte al plotone di esecuzione, c’erano accanto a lui, Barracu, un valoroso ex-combattente, mutilato di guerra, Pavolini il poeta segretario generale del Partito, Valerio Zerbino, un intellettuale. Di fronte al plotone tutti gridarono: “viva l’Italia!”, mentre per un paradosso, fedele riflesso della controversa personalità di Bombacci, egli gridò: “Viva il Socialismo!”.
Poi lo appesero per i piedi al distributore di Piazzale Loreto, a Milano, insieme a Mussolini, Claretta e gli altri, con la scritta “Supertraditore”.

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