Comandano le banche: per Obama solo ricatti
Loretta Napoleoni, Caffè.ch
Il mondo intero continua a interrogarsi sui motivi che portarono al fatidico lunedì nero della finanza globale. Perchè la Lehman Brothers, la quarta banca d’affari mondiale, con un giro d’affari superiore al Pil di molti paesi, è stata lasciata fallire. Questa settimana fiumi d’inchiostro sono stati versati a riguardo e le grandi firme del giornalismo finanziario hanno raccolto l’opinione degli “esperti”, dai politici ai grandi banchieri. Ebbene le opinioni sono molte, ma nessuna sembra mettere in dubbio la professionalità del tesoro americano e della Riserva Federale di fronte alla crisi.
Proviamo invece un’altra interpretazione. E se la Lehman fosse fallita non perchè la sua caduta faceva parte di un piano magistrale, razionale e ancora in piedi per disciplinare l’alta finanza, ma piuttosto perchè chi ne tiene le redini si è mosso a tentoni, senza sapere bene cosa fare, nel buio che ormai caratterizza l’opera dei controllori?
Rileggendo “gli atti del processo”, che si è svolto nelle 72 ore dalla chiusura di New York di venerdì fino all’apertura di Tokyo il 14 settembre, ci si domanda perchè la crema di Wall Street è stata convocata solo allora, quando la nave era quasi sommersa dalle acque. Perchè escludere Fuld, il timoniere della Lehman, dagli incontri avvenuti nel quartier generale della Fed a New York. E ancora: che senso ha riunire le grandi banche per trovare una via d’uscita al fallimento della Lehman, senza denaro pubblico, quando nessuna di queste ha i muscoli per salvarla, anzi, tutte quante sono prossime alla bancarotta?
Molti hanno visto in queste “anomalie” la resa dei conti tra due banche d’affari rivali: da una parte c’è la Lehman e dall’altra c’è Goldam Sachs, da dove proviene Paulson l’allora capo del tesoro. E attribuire lo scoppio della più grande crisi economica del dopoguerra all’antipatia e rivalità reciproca tra Fuld e Paulson sarebbe decisamente meglio che imputarlo all’arroganza del primo ed all’incompetenza del secondo.
Eppure è proprio questo che è avvenuto. Fuld ha perso alcune occasioni d’oro per salvare la banca, l’ultima nell’estate del 2008, quando i coreani l’avrebbero comprata a un ottimo prezzo. Il tesoro e la Fed, con tutto il potere conferito loro dal governo americano non sono stati capaci di forzargli la mano. E quando ormai non c’era più nulla da fare, nè il tesoro nè la Fed hanno saputo evitare il crack o attutire il colpo.
A un anno di distanza ritroviamo arroganza ed incompetenza ai lati opposti della barricata politico finanziaria. Da una parte c’è l’alta finanza che si sta ristrutturando intorno ad un ristrettissimo gruppetto di superbanche, da Goldam a Morgan Stanley, che hanno largamente guadagnato dalla crisi. Data la minore concorrenza, i nuovi titani della finanza sono ormai un oligopolio, e quindi in grado di imporre tassi sempre più elevati in un mercato dei capitali vicinissimo a tasso zero. Dall’altra parte c’è lo Stato che non è in grado di alterare questa situazione e come ha fatto Obama nel suo discorso a Wall Street, si appella all’onore dei banchieri perchè si autodisciplinino e per intimorirli gli ricorda che la prossima volta i soldi del contribuente non ci saranno. Ma nessuno sembra ascoltarlo, tutti sanno che le superbanche, proprio per la loro dimensione, saranno sempre salvate. Sono loro che controllano la finanza non la Casa Bianca.
2009-09-20
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