di Ilvio Pannullo La verità sui processi che disciplinano la creazione della moneta da parte delle banche centrali, facenti capo all’area d’influenza anglo-americana, sta raggiungendo un numero sempre crescente di persone in tutto il mondo. Assolutamente straordinario, a tal proposito, l’ultimo intervento in ordine di tempo del ministro dell’economia e delle finanze Giulio Tremonti, intervistato dall’ex direttore Riotta, in diretta nazionale al TG1, la sera del venerdì 6 marzo 2009. Alla domanda “A che punto siamo della crisi?” il responsabile dell’economia italiana risponde: “Negli anni novanta, devo dire democratici e repubblicani sono dentro insieme, inizia una moneta diversa da quella buona. Lo Stato, gli stati rinunciano alla sovranità monetaria e acconsentono che a fianco della moneta buona, quella sovrana, nasca una moneta privata, commerciale, parallela, fondata sul nulla”. Non pago il ministro lancia l’ultimo colpo di cannone contro il muro dell’ignoranza concludendo: “Questo è quello che ha causato la crisi. Credo che abbia ragione il Presidente americano: quello che va fatto è più Stato. Decisamente”.
Occorre, dunque, una chiarezza assoluta nel puntualizzare il contenuto di detta dichiarazione. Primo punto: democratici e repubblicani in America, popolari e socialisti in Europa, sono stati complici nel permettere prima e nel non denunciare dopo. Punto secondo: si contrappone una moneta buona, emessa cioè direttamente dallo Stato senza indebitamento della collettività attraverso la stampa di titoli del debito pubblico, ad una moneta cattiva, commerciale, di proprietà di privati e cioè di quelle banche che sono proprietarie degli istituti di emissione. Punto terzo: la nuova moneta si fonda sul nulla perché priva dal 1971 in poi – anno in cui si conclude la convertibilità in oro del dollaro americano – di qualsiasi valore reale.
L’autorevolezza della fonte, resa indiscutibile dalla carica pubblica rivestita, obbliga, finalmente, tutti coloro che fino ad oggi hanno insistito nel tenere gli occhi chiusi o, peggio ancora, ad osteggiare quanti si sono battuti per la riaffermazione di una piena e totale sovranità monetaria in capo agli Stati democraticamente eletti, a ricredersi. La crisi attuale - viene così pubblicamente ufficializzato - è figlia di un sistema marcio sin dentro le ossa. Per capire le ragioni del disastro economico in atto é dunque necessaria una maggiore e più diffusa consapevolezza dei meccanismi che regolano l’emissione della moneta. Questo perché la moneta e non altro è il necessario presupposto dell’economia. Se non vi è la prima, infatti, la seconda non può essere neanche immaginata. Logica impone che se la moneta è marcia, anche l’economia sarà marcia. Ma come si è potuti arrivare fino a questo punto? Com’è stato possibile? Come sempre un buon esempio vale più di mille parole.
Anticamente per generazioni i popoli usavano il sistema del baratto per acquistare o vedere beni e servizi. Una per¬sona manteneva la sua famiglia provvedendo a tutti i suoi bisogni, oppure si specializzava in un particolare tipo di commercio e scambiava con altri le eccedenze per procurarsi i beni che non produceva direttamente. I giorni di mercato erano sempre rumorosi e allegri. La gente gridava le proprie merci e le persone avevano occasione di fare nuove conoscenze. Presto però fu evidente a tutti che accorreva troppa gente al mercato e vi era troppa confusione. Non c'era più tempo per scambiare due chiacchiere - bisognava escogitare un nuovo sistema. Si ponevano dei problemi da risolvere: quanto valeva un coltello? Uno o due sacchi di grano? Una mucca vale più di un carro? Quante uova servono per acquistare un cavallo? Nessuno aveva pensato ad un sistema migliore.
Già, ora non si può più comprare un cavallo con delle uova. I rapporti commerciali si sono tanto infittiti da rendere la sola idea paradossale e ridicola. Anticamente, però, quando tutto era diverso, si faceva così. Quando fu inventata la moneta quello che accadde fu semplicemente lo scambio di beni primari – uova, cavalli, case, utensili – contro monete d’oro coniate dall’autorità locale, il signore delle terre sulle quali s’intendeva commerciare, donde il termine signoraggio: aggio del signore. La moneta serve dunque da tabella di conversione. Oggi le cose non sono poi tanto diverse. Adesso abbiamo solo bisogno della moneta per comprare quello che non produciamo: latte, carne, macchine oltre a tutti quei bisogni indotti dal sistema mediatico di cui, in situazioni di equilibrio mentale, nessuno sentirebbe mai l’esigenza. Infine, per semplificare, possiamo immaginare che la persona che ha inventato il sistema abbia un luogo dove immagazzina la moneta e dove i cittadini possono riscuotere quanto vi hanno depositato: la banca centrale.
Il banchiere, al principio, appare come una persona molto generosa: non vuole vendere la moneta, gli basta prestarla. Dà, ad esempio, 10 monete al contadino del luogo e gliele lascia in prestito per un anno. In cambio chiede solo un semplice interesse: diciamo del 10%. Il banchiere rischierebbe, così, tutto il suo oro mentre il contadino assolutamente nulla. Per tutelarsi dall’eventualità di un inadempimento del contadino richiederà una garanzia affinché l’accordo venga stipulato. Il contadino dovrà, dunque, ipotecare il suo orto per avere le sue dieci monete d’oro. Il contadino continuerà a disporre del suo terreno e continuerà il suo commercio facilitato dalla moneta, salvo dover restituire alla fine dell’anno 11 monete. In caso contrario la banca si prenderà il suo orto. Sembrerebbe tutto normale. Dov’è, dunque, il problema?
Mettiamo, ad esempio, che la banca possieda in totale 100 monete. 100 monete è la quantità di moneta esistente, nulla di più. Immaginiamo una comunità composta da soli 10 soggetti, dove ognuno svolge la sua propria mansione: chi il sarto, chi il fabbro, chi il contadino, chi il poliziotto e così continuando fino ad esaurire le esigenze della comunità. Tutti hanno bisogno della moneta, ma l’unico a poter battere moneta è il banchiere. Tutti quindi chiederanno un prestito: 10 monete ciascuno per un totale di 100 monete. Il banchiere con assoluta generosità farà credito a chiunque gli chieda un prestito, in cambio solo di un misero interesse: tutto il suo oro contro il 10% d’interesse, con un guadagno netto, dunque, di una sola moneta per ogni 10 prestate. Sembrerebbe molto onesto, ma purtroppo nessuno si accorge che per la fine dell’anno tutti i membri della comunità dovranno collettivamente al banchiere 110 monete a fronte dell’esistenza di sole 100 monete. Dove prenderanno, dunque, le rimanenti 10 monete dovute al banchiere in qualità d’interesse sul prestito fatto? Vi sono 10 monete d’interessi che la comunità non riuscirà mai a pagare, qualunque cosa accada, perché semplicemente non esistono.
Ovviamente – si disse – è inutile fare allarmismi perché la banca fu inventata per facilitare le cose e non certo per complicarle. Ecco che splendidamente il banchiere viene nuovamente incontro alle esigenze della comunità proponendo una deroga nel pagamento del debito. I membri della comunità pagheranno, ancora una volta, il solo interesse procrastinando all’anno venturo il pagamento del capitale. Tutti pagano dunque la moneta d’interesse e felici e contenti continuano i loro commerci per l’intero anno a venire. Se però tutti pagano la sola moneta d’interesse al banchiere, rimarranno nella comunità 90 monete e l’anno venturo si ripresenterà la medesima situazione. La comunità si ritroverà ad avere lo stesso debito di 100 monete con, in aggiunta, l’aggravio di disporre di una minore quantità di denaro. Nell’economia della comunità, infatti, girano ora 90 monete, non più 100 come l’ano precedente. Nella terminologia accademica questa situazione prende il nome di rarefazione monetaria. Nel tempo di dieci anni – sempre che continui a richiedere il pagamento del solo interesse – il banchiere sarà rientrato nel possesso di tutte le sue monete e il debito della comunità non si sarà estinto. La banca acquisirà, dunque, tutte le proprietà date a garanzia dell’iniziale prestito e la comunità non avrà più nulla. Sarà diventata, dunque, schiava della banca. Il tutto per nulla e in cambio di nulla.
Un’ultima doverosa considerazione: essere costretti ad aspettare le dichiarazioni di Giulio Tremonti per smascherare l’usurocrazia che domina oggi l’Europa, gli Stati Uniti ed il Giappone è la prova provata del tradimento, compiuto da tutta la sinistra parlamentare, degli ideali di giustizia, uguaglianza e libertà previsti, nero su bianco, nella nostra costituzione. Il crollo elettorale è stato forse un bene, una salutare doccia di umiltà, ma ora, con la crisi che fagocita intere classi sociali, è tempo di ricominciare. Magari con un occhio prima alla moneta e poi all’economia.
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