Fonte: tesi di laurea discussa alla Facoltà di Giurisprudenza di Napoli dalla dottoressa Daniela Capone ( ) sul tema: "Profili dell’usura e della polemica antiebraica nel Rinascimento. Il mercante di Venezia di Shakespeare".
Il fenomeno dell’usura è andato di recente dilagando in Italia in modo preoccupante a tal punto che avviare una lotta efficace contro l’usura significa colpire il più delle volte gli interessi della Mafia e della criminalità organizzata.
L’usura, che per i cristiani era un peccato multiforme e molteplice, una specie di idra a sette teste, come fenomeno criminale è per la società civile un reato tentacolare, una sorta di piovra dalle mille connessioni, essendo collegata all’estorsione, al riciclaggio del denaro sporco, alla speculazione finanziaria ed edilizia, al narcotraffico, alla prostituzione.
Anche coloro che si macchiano di questo reato appartengono alle più svariate classi sociali e talora rivestono le qualifiche professionali più insospettabili.
Secondo una recente indagine del CENSIS [1] il ricorso all’usura si intensifica nei periodi di recessione economica quando diventa più arduo accedere alle fonti ufficiali del credito [2]. Per molti aspetti il ricorso all’usura appare una strada obbligata per quanti non riescono ad ottenere credito dalle banche, a causa delle eccessive e onerose garanzie richieste nonché dei lunghi tempi di istruttoria per accedere al credito [3].
La suddetta indagine del CENSIS ha inoltre riconosciuto quattro categorie di usurai, e cioè: l’usuraio parassita, una sorta di dilettante dell’usura, che si contenta di un interesse non troppo esoso; l’usuraio semiprofessionista, che, per così dire, esercita l’usura come “secondo lavoro”, per impiegare proficuamente quella parte del suo reddito che nasconde al fisco; il gruppo usurario di quartiere, un’organizzazione che opera quasi scientificamente specializzandosi per settori d’attività; l’usuraio investitore, collegato con la criminalità organizzata e che dispone di ingenti capitali e di società insospettabili.
Nel mercato “nero” del credito si possono distinguere tre forme fondamentali del prestito ad usura: il cosiddetto prestito “a strozzo”; il mercato illegale dei titoli; il prestito “esoso.” Il primo tipo d’usura, quello tradizionale, si può suddividere in prestito a interesse, la forma più diffusa, e il prestito “a fermo”, appetibile per i commercianti o chiunque abbia bisogno immediato di liquidità per l’acquisto di grosse partite di merce sottocosto.
Il mercato illegale dei titoli consiste nella commercializzazione di assegni post-datati, le tratte, le cambiali. Esso è tanto diffuso, specie nei rapporti con i fornitori e i grossisti, che malgrado gli interessi elevati, molte volte non si ha neppure la consapevolezza che si tratti di varianti al prestito ad usura [4].
Il prestito “esoso” viene generalmente esercitato da società che svolgono un’opera di intermediazione finanziaria e che prendono soldi dalle banche a tassi normali per rivenderli poi a tassi notevolmente più alti a coloro i quali non possono avvalersi dei canali ufficiali del credito, come i soggetti con assegni protestati [5].
Il triste fenomeno dell’usura sembra essere distribuito equamente in tutto il territorio nazionale, benché colpisca di preferenza le città rispetto alle campagne, e il Mezzogiorno piuttosto che il resto del paese.
Quanto al modo di considerare il fenomeno usurario, sembra esserci fra la gente un atteggiamento generale di severa condanna. Quanto alle misure e ai provvedimenti con i quali combatterla, è purtroppo invalso un diffuso pessimismo sulla praticabilità e l’utilità delle iniziative rivolte ad assistere le vittime dell’usura anche mediante l’istituzione di fondi per il risarcimento dei danni subiti.
Dell’usura come reato se ne occupa non solo il codice penale agli articoli 644 e 644 bis e da ultimo la legge 7 marzo 1996 n. 108, ma anche il codice civile italiano.
L’articolo 1815 recita: “Salvo diversa volontà delle parti, il mutuatario deve corrispondere gli interessi al mutuante. Se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e gli interessi sono dovuti solo nella misura legale”.
Alcune sentenze di Cassazione hanno stabilito che per l’ipotesi del mutuo con interessi usurari ricorre solo quanto sussistano tutti gli elementi costitutivi del reato d’usura, e cioè non solo l’esorbitanza degli interessi convenuti, ma anche lo stato di bisogno del mutuatario, del quale abbia approfittato il mutuante.
Stabilita la nullità degli interessi usurari, resta aperto, come si diceva, il problema di determinare la misura degli interessi stessi.
Per quanto riguarda l’usura nel diritto canonico del nostro secolo, dobbiamo dire che il periodo repressivo della Chiesa contro l’usura ebbe fine con la bolla di Leone X, la quale apriva la strada ai prestiti dei Monti di Pietà; ma abbiamo anche notato come ancora nel tardo Settecento chi difendeva la liceità dell’interesse potesse incorrere nella condanna dei canonisti e nelle ire della Santa Inquisizione. Sino a tutto l’Ottocento, la legislazione canonica rimase sostanzialmente fedele alla condanna del prestito a interesse di denaro e cose fungibili [6].
Nel codex iuris canonici del 1917 resta ferma la riprovazione dell’usura anche sul piano giuridico dal momento che tale comportamento si pone come espressione di avarizia e di lesione del comandamento cristiano fondamentale della carità [7].
La situazione è radicalmente cambiata con l’entrata in vigore del codex iuris canonici del 1983, con il quale il diritto canonico non si occupa più dell’usura come reato: l’esercizio del prestito a interesse viene lasciato alla sfera della coscienza individuale, come questione d’ordine morale più che giuridico.
Nella codificazione canonica del 1983 non esiste una normativa specifica riguardante l’usura e lo stesso termine scompare sia nella trattazione riguardante i beni temporali della Chiesa che nella parte penalistica del nuovo codice.
Ottima idea questa pubblicazione.
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