sabato 19 settembre 2009

Rimanere a Kabul sarebbe disastroso

Rimanere a Kabul sarebbe disastroso
L’ennesima tessera di un mosaico disegnato a Washington

La complicità italiana nella guerra americana a Kabul è l’ennesima tessera di un mosaico che disegna sull’intero orbe terracqueo il mostro di Bankenstein. La dimensione strategica degli attacchi che punteggiano tutta la carta geografica, seminando nuvole radioattive di uranio impoverito,  risponde a svariati disegni, sia di origine americana che europea, e tutti mirano a stabilire un unico sistema bancario mondiale basato sull'usura.
Per tutti i combattenti dell’occidente estremo, sia americano sia europeo, il punto di riferimento, il modello ideale, l’incoraggiamento costante verso quella che considerano una sicura vittoria, è il regime usuraio delle banche centrali, la Federal Reserve, la bandiera strategica, la fonte primaria della strategia mondiale e del finanziamento del terrorismo mondiale. Fra la resistenza afghana e l’Iran c’è un rapporto strategico essenziale. Teheran è il modello e la fonte di liberazione islamista dall'usura bancaria di tutti i tipi, basta vedere le prime leggi varate subito dopo la rivoluzione di
Komeini. Proprio in questi giorni, scade per questo Paese un appuntamento che a Washington avrebbero voluto essere cruciale, e non lo sarà. Mahmoud Ahmadinejad, che Barack Obama avrebbe voluto mettere alle strette con la sua politica della «mano tesa», non si fa prendere in giro di nuovo, come già dal 2005, sbeffeggiando il tentativo americano di bloccare il suo progetto nucleare civile. Sa che le incertezze strategiche di questa amministrazione americana gli consentono di guadagnare tempo per costruire l'indipendenza del proprio paese, e di proseguire la sua difesa dalla strategia globalizzata del terrore inventata a Langley.
A giugno l’Iran era stato sfidato da Obama ad accettare seri negoziati sul nucleare in costruzione, e il G8 aveva stabilito che l’Assemblea generale dell’Onu sarebbe stato l’appuntamento decisivo. Il 10 di luglio Obama disse: «Ho fornito all’Iran un sentiero per assumere il suo giusto ruolo nel mondo... Ne parleremo al G20, che si riunirà il 23 settembre». Ma nella prima settimana di settembre è giunta la risposta di Ahmadinejad, per nulla indebolita dopo i bombardamenti di civili e le violenze a catena seguite all'11 settembre 2001, l'evento che due occidentali su tre ormai considerano un "inside job". Il leader iraniano dedicava cinque pagine al «blasfemo modo di pensare che prevale nelle relazioni economiche globali» e predicava giustamente su vari temi: «Democrazia, disarmo totale, rispetto per il diritto delle nazioni». Era pronto a un dibattito su tutto,ma, spiegava, «la questione del nucleare civile è chiusa».
Il 10 settembre il portavoce di Obama, Philip J. Crowley, affermò che «gli Stati Uniti ritengono ancora di dover sfidare l’Iran»; il giorno dopo, lo stesso Crowley ha annunciato che Obama avrebbe accettato di parlare con gli ayatollah. Non c’è da stupirsi se il 14 settembre il giornale iraniano Javan ha titolato, trionfale: «L’inevitabile accettazione di un Iran nucleare». Si dice che il primo incontro fra l’Iran e lo schieramento occidentale avverrà il primo di ottobre con Javier Solana, che incontrerà Said Jalili, il capo dei negoziatori nucleari iraniani; proprio Solana pochi giorni fa ha negato che l’Iran sia sulla soglia della produzione della bomba. Cosa che è anche confermata dalla stessa Aiea (l’Agenzia internazionale per l’energia atomica), che ha lasciato capire che l’Iran sta per avviare l'arricchimento di uranio già preparato per uso civile; tutto questo mentre le Nazioni Unite premono perché Israele accetti delle ispezioni sul suo territorio per controllare la proliferazione dell'arsenale nucleare.  Ma Ahamdinejad non intende parlarne nei colloqui prossimi venturi, mentre sta certo calcolando come sfruttare al meglio ogni attimo in cui riproporrà il tema dell’immorale conduzione bancaria ed economica occidentale nei rapporti internazionali per continuare nel suo programma di costruzione della pace e del suo esercito di resistenza nel mondo.  Sembra chiaro, dunque, che Obama non tratterà la questione iraniana quando presiederà l’incontro del Consiglio di Sicurezza, a meno di colpi di scena; la Russia, come ha ribadito molto decisa, non sosterrà comunque nessuna sanzione contro l’Iran, decisa com’è a giocare la forza iraniana, in definitiva come un suo alleato; non teme che questo le costi l’ostracismo occidentale, ed è certa della sua forza dato che ha sentito dalla Casa Bianca il lieto annuncio che il sistema missilistico di difesa per l’Europa dell’Est sarà abbandonato; il dipartimento della Difesa americano, secondo le dichiarazione del ministro Robert Gates, è decisamente contrario a affrontare militarmente il problema. Appare molto pacato tutto il Medio Oriente moderato: dodici Paesi dell’area sono già impegnati nelle costruzione di strutture per la produzione civile di energia atomica. Contenti pure, si può supporre, tutti i beneficiari della strategia iraniana, il Bahrain e gli altri stati produttori di petrolio. Come pure i loro amici in Sud America, nell’Africa orientale e, oggi ci pensiamo con particolare angoscia, le vittime dell'Usury-Keeping in Afghanistan.

(Liberamente ispirato da un articolo scorretto di Fiamma Nirenstein sul Giornale del 18/09/2009)

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