UN CASO IN ITALIA ?
Di fronte alla resistenza passiva dei c.d. “Poteri forti”, forti e prepotenti coi deboli, dell’attuale Stato che si autodefinisce democratico senza esserlo veramente, un cittadino italiano qualunque, l’autore di questa iniziativa, sul filo della logica stringente e di argomentazioni giuridiche difficilmente contestabili e non più eludibili, si ribella, nel modo più civile e non violento possibile, come è nel suo stile, al rifiuto, pervicace e protervo, opposto col silenzio ostruzionistico a una larga fetta di cittadini italiani di esercitare il sacrosanto diritto di costituirsi in partito.
Nelle pagine che seguono si troverà il crescendo delle iniziative tenacemente intraprese per combattere una ennesima battaglia, che qualcuno potrebbe definire folle, altri temeraria, altri ancora molto coraggiosa, ma che è soltanto il consapevole e coerente esercizio di un diritto; che, paradossalmente, trae la sua forza e la sua motivazione proprio dalla stessa costituzione italiana, vigente dal I° gennaio 1948, e creata dal regime al potere, costituito dai governi e dalle opposizioni che si sono succeduti in oltre sessant’anni.
SALVATORE MACCA
CONTRO
PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
ON. GIORGIO NAPOLITANO
ISTANZA DI MESSA IN STATO D’ACCUSA
(Art.90, comma I°, ipotesi 2^, comma 2° Costituz.)
Avv.Salvatore Macca RACC. A. R.
Presidente Emerito della Corte d’Appello di Brescia
Presidente On.Agg. della Cassazione
Cavaliere di Gran Croce
Brescia, 4 aprile 2008
RICHIESTA AL PRESIDENTE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI PRO TEMPORE, NELLA VESTE DI PRESIDENTE DEL PARLAMENTO RIUNITO IN SEDUTA COMUNE, A NORMA DEGLI ARTICOLI 90, COMMA 2°, IPOTESI 2^, E 63 DELLA COSTITUZIONE, DI METTERE IN STATO D’ACCUSA IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA PER ATTENTATO ALLA COSTITUZIONE
Lo scrivente, Salvatore Macca, con raccomandata del 13 febbraio 2008, n.13407250999-8, spedita il 16 stesso mese dall’ufficio postale di Brescia centro, Piazza Vittoria, operazione n.0029, inviava al Presidente della Repubblica un messaggio per chiedere: “E’ in corso un attentato alla Costituzione?”, che si allega alla presente e ne costituisce parte integrante. Tale istanza, ad oggi, non ha avuto alcun seguito.
Va premesso che già in passato lo scrivente si era rivolto alle autorità dello Stato ritenute competenti (Pres. Camera Dep., Pres. Senato, Pres. Affari costituzionali, on. Violante, Presid. del Consiglio, Ministro Giustizia, Presid. Cons. Sup., e, per conoscenza, Capo dello Stato) per chiedere l’abrogazione della XII disposiz. transitoria della Costituzione, là dove la stessa, al comma 1, letteralmente dispone che “E’ vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista.” La collocazione del divieto da parte del legislatore del tempo, dimostra, né poteva essere diversamente, se non altro perché l’Italia era, ed è, definita, nell’art.1, comma I°, della Costituzione, “una repubblica democratica”, e perché, all’art.49, sin da allora, disponeva che “tutti i cittadini ( tutti, e dunque anche quelli di fede fascista!) hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”, dimostra, si diceva, che il divieto era, e doveva essere, temporaneo.
Già questo richiamo basterebbe per confermare che il legislatore era consapevole che il divieto doveva essere provvisorio, essendo inserito nelle disposizioni transitorie, che, per loro natura, sono, devono essere, limitate nel tempo, avendo, nel nostro ordinamento giuridico, la funzione di coordinare, per certe materie, la vecchia normativa che tali materie governava, con la nuova, destinata a governare la mutata situazione. E forse era pure consapevole che le idee, e la forza che le anima, sono incoercibili.
D’altronde, il legislatore dell’epoca era consapevole che se nel 1948 non fosse stato stabilito il divieto, un partito fascista in giuoco avrebbe certamente vinto subito e clamorosamente le elezioni, sia per liberarsi di autentici carnefici e persecutori, che avevano fatto strame dei cittadini di fede fascista, sia per riscattare la Patria dai nemici esterni ed interni. Era inevitabile che una grande e significativa vittoria sarebbe scaturita; anche a dimostrazione della forte consistenza, allora, del partito fascista, per comprensibile reazione ai torti atroci e alle odiose e ingiuste persecuzioni subite dai cittadini che in esso avevano creduto e ancora credevano. Senza dire che la massa dei reduci dalla prigionia non avrebbe certo votato per i responsabili del tradimento, della disfatta della Patria e della guerra civile. E dunque, allora era inevitabile che l’antifascismo al potere disponesse il divieto. Ma l’antifascismo successivo, quello che ancora perdura, fanatico, radicalizzato e fazioso oltre ogni misura e ogni limite di ragionevolezza, in un certo senso peggiore del primo, non si può permettere di fare il pesce in barile fingendo di dimenticare che è ancora vigente la famigerata XII disposizione transitoria, in pieno conflitto col citato articolo 49 della costituzione. Né sono servite a cambiare le cose le numerose istanze, sempre più pressanti, di quegli Italiani, anche delle nuove generazioni, che devono subire ancora un inammissibile divieto, retto e sostenuto artificiosamente da una disposizione transitoria, in pratica ormai divenuta quasi norma stabile di merito, con la grossolana astuzia e la spregevole malafede dell’attuale antifascismo perenne, che non osa (né potrebbe osare, grazie proprio all’art. 49 della costituzione), pretendere la perpetuità del divieto, e che preferisce far finta di niente, lasciando le cose come stanno nell’illusione che nessuno ne avrebbe mai parlato.
Nel mio messaggio 13-16 febbraio c.a., ultimo di altri, ho esplicitamente prospettato la illiceità, o comunque la inammissibilità, della vigenza della XII disposiz. transit. della Costituzione, che si protrae da oltre sessant’anni, ma che, per sua natura, non dovrebbe superare i due-tre anni. Come ho già rilevato, è vero che non è compito del presidente della repubblica quello di abrogare le leggi, ma è vero altresì che quando la vigenza di una norma transitoria che ponga un divieto sia anomala, dato che si protrae in modo ingiustificato e inammissibile oltre un termine ragionevole, diventa uno strumento vessatorio palesemente diretto a impedire ai cittadini l’esercizio di un diritto previsto e tutelato dalla costituzione, il Presidente della repubblica , quando ne sia informato, e qui lo è stato, e lo è, ha il potere, anzi, il dovere, di intervenire per ristabilire i diritti violati facendo cessare lo scandalo e il sopruso.
Questo, però, il Capo dello Stato non l’ha fatto, violando così l’obbligo di osservare la costituzione, nonostante che, al momento dell’investitura, avesse solennemente giurato di osservarla avanti al Parlamento riunito in seduta comune.
Né si dica che l’abrogazione della XII d.t. sarebbe insufficiente, essendo ancora in vigore altre leggi ostative alla riorganizzazione del partito fascista, come le famigerate leggi Scelba e simili, in quanto, venuta meno la citata disp. trans., perderebbero ogni ragion d’essere le altre leggi liberticide, proprio perché la XII d.t. è la base, la radice, la premessa indispensabile di esse. Senza dire che nulla vieta la espressa abrogazione anche delle leggi liberticide.
P.Q.M.
Visti gli articoli 90, comma 2°, ipotesi 2^, 63, 134, ipotesi 3^, 135, ult.comma, Costituzione, nonché l’art.12 legge costituzionale 11 marzo 1953 n.1, 17 legge 25 gennaio 1962, n.20, capo II (secondo), legge 5 giugno 1989, n.219, l’istante chiede che il Parlamento in seduta comune metta in stato di accusa il Presidente della repubblica italiana pro tempore per attentato alla Costituzione.
Salvatore Macca,Brescia
Avv.Salvatore Macca
Presidente emerito della Corte d’Appello di Brescia
Presidente On.Agg. della Corte di Cassazione
Cavaliere di Gran Croce
Brescia, 19 maggio 2008
ATTO DI SOLLECITO AL PRESIDENTE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
1-Al Presidente della Camera dei Deputati nella veste di Presidente del Parlamento riunito in seduta comune, a norma degli articoli 90, comma 2°, ipotesi 2^, 63, della Costituzione, On.Gianfranco Fini;
2-Al Presidente del Senato On. Renato Schifani;
e per doverosa conoscenza
3-Al Presidente del Consiglio dei ministri On. Silvio Berlusconi
E per opportuna conoscenza
4-Al Capo Gruppo del P.d. L. On. Maurizio Gasparri
5-All’On.Umberto Bossi, Pres. Lega Nord
6-All’On. Walter Veltroni, Pres. del P.D.
7-All’On. Pierferdinando Casini, Pres. della “Unione di centro”
8-All’On. Antonio di Pietro, Pres. dell’ “Italia dei valori”
E per doveroso atto di riguardo, nonché per conoscenza e informazione,
9-All’On. Giorgio Napolitano, Presidente della Repubblica
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Informo le SS.LL. che, con ricorso del 4 aprile c.a., spedito a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno del giorno successivo, ho formulato al Presidente della Camera dei deputati del tempo, nella veste di Presidente del Parlamento riunito in seduta comune a norma degli articoli 90, comma 2°, ipotesi 2^, e 63 della Costituzione, istanza di messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica, istanza che ora è giacente agli atti, in attesa di decisione. Un sollecito esame di essa s’impone, sia per l’importanza e la delicatezza della questione, sia perché, come credo di aver dimostrato con esauriente motivazione in fatto e in diritto, sono convinto della sua fondatezza.
L’istanza è basata sul da me ritenuto attentato, da parte del Presidente della Repubblica, alla Costituzione, e sulla simultanea violazione del giuramento solennemente prestato avanti alle Camere riunite nell’assumere le funzioni, per l’inosservanza dell’art.49, il quale testualmente recita: ”Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.” Il Presidente, infatti, con atti omissivi continuati, non si è attivato per l’abrogazione di una norma, la XII disposizione transitoria della costituzione, che, pur avendo, per sua natura, una vigenza limitata nel tempo,(V.istanza 4 aprile), è in vigore da oltre sessant’anni, e cioè dal I° genn.1948, data di entrata in vigore della costituzione, ed è ostativa alla riorganizzazione del Partito Fascista. Ciò costituisce grave pregiudizio, per vari motivi, per i cittadini di fede fascista che, da ultimo, non hanno potuto partecipare alle recenti elezioni del 13-14 aprile 2008, oltre che a numerose altre competizioni degli anni passati, per l’inerzia del Parlamento e dei Capi dello Stato del tempo, che non hanno operato per far cessare l’inerzia delle Camere.
Più volte, ma inutilmente, ho fatto istanza al Presidente della Repubblica di spiegare il suo impegno e le sue iniziative perché il Parlamento si attivasse per l’abrogazione della citata disposizione transitoria, gravemente e palesemente liberticida. Si producono, a prova, i seguenti documenti.
1-Istanza di messa in stato d’accusa 4-5 aprile 2008, a mezzo di raccomandata a.r.
2-Lettera di accompagnamento 25.5.2007 dell’omaggio al Capo dello Stato delle “Linee programmatiche del costituendo Partito Fascista Repubblicano” scritte da Salvatore Macca.
3-Lettera 23 ottobre 2007 di S.Macca al Presidente dal titolo: ”Il giuramento del Capo dello Stato dinanzi al Parlamento in seduta comune” (art.91 Costituzione).
4--Come ha reagito il Capo dello Stato all’invio delle “Linee” (articolo 2.1.08 a vari giornali)
5-Lettera aperta di S.Macca al Presidente della Repubblica dal titolo :”E’ in corso un attentato alla costituzione?” (Raccom. 13-16 febbraio 2008)
6- Una copia delle “Linee programmatiche”.
7-Il Presidente Napolitano e la festività del 25 aprile
8-Le due giustizie
Gli ultimi due documenti, il n.7 e il n.8, non sono direttamente connessi all’istanza di messa in stato d’accusa, non potendo, il loro contenuto, essere oggetto di addebito. Tuttavia riguardano due temi che, per presunzione grave, precisa e concordante, dimostrano che il Presidente non è un interprete fedele e sensibile dei sentimenti e degli stati d’animo della maggioranza degli Italiani. Infatti, anche se la Costituzione non sancisce, per il Capo dello Stato, un obbligo del genere, lo stesso non può ignorare gli umori dominanti del suo popolo. Per andare al concreto, la maggioranza degli Italiani non considera, e non può considerare, il 25 aprile come una data festiva, come ufficialmente imposto dal regime (maggioranza e opposizione) antifascista perenne al potere, ma luttuosa, coincidendo con la disfatta, meglio dire la debellatio, della Patria. Di tutta la Patria, nel suo insieme, senza distinzione tra fascisti e antifascisti, come risulta, senza possibilità di dubbi, dato che “in claris non fit interpretatio”, dal “diktat” di Parigi del 10 febbraio 1947. Né si può ignorare il genocidio di alcune centinaia di migliaia di Italiani fascisti (o anche solo “presunti tali”, come stabilito dal criminale agente comunista sovietico in Italia Palmiro Togliatti ), uomini e donne, militari e civili, ad opera della c.d. “esarchia” partigiana, formata dai partiti comunista, socialista, sardo d’azione, repubblicano, della democrazia cristiana (!!) e liberale, che resse e autorizzò, o non impedì con la dovuta determinazione, i tragici eventi di quegli orribili tempi, inondando di sangue innocente la nostra Terra. Ci vuole un bel coraggio e una sorprendente disinvoltura, a pretendere che gli Italiani considerino festiva una simile ricorrenza!
Quanto al documento n.8, sono certo che la maggioranza del popolo italiano, tolti alcuni fanatici forcaioli, che non fanno né testo né storia, non ritiene ammissibile che, dopo 63 anni dalla fine della guerra, la giustizia del regime antifascista perenne, amministrata però in nome di esso popolo, tenga in carcere, meglio sarebbe dire in stato di sequestro, due vecchi soldati per fatti risalenti al tempo in cui erano militari in tempo di guerra e quindi obbligati ad eseguire gli ordini ad essi impartiti dai superiori.
E allora? Quale la conclusione? La seguente. Tenuto conto del fatto che “il Presidente della repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale”, (art. 87, comma I° cost.), e che la sua sensibilità sembra ben lontana da quella media del nostro popolo, si deve affermare che il contenuto dei due citati documenti, anche se non attinente alla istanza di messa in stato d’accusa, offre utili elementi integrativi del giudizio instaurando. Non senza rilevare che l’attuale Capo dello Stato, (come peraltro tutti i suoi predecessori), lungi dal rappresentare l’unità nazionale, rappresenta, invece, la separazione (o la frattura, la discordia nazionale), distinguendo faziosamente i vincitori dai vinti, i presunti “buoni” dai presunti “cattivi”.
Con distinta osservanza.
Salvatore Macca
Via Solone Reccagni,3, 25121 Brescia
Sarebbe meglio chiedere l'impeachment per l'outsourcing a privati della funzione sovrana dell'emissione della moneta di stato.
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