venerdì 4 marzo 2011

La vicenda della morte di Ippolito Nievo

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Ap – Teatro lirico

A “La Storia siamo noi”, condotta su RAI 3 da Gianni Micoli, alle ore 23,00 di domani
La vicenda della morte di Ippolito Nievo
In studio: Cesaremaria Glori, autore di “La tragica morte di Ippolito Nievo”, Ed. Solfanelli

ROMA, 3 Marzo ‘11 – Alle ore 23,00 di domani, Venerdì 4 marzo, la puntata del programma LA STORIA SIAMO NOI – condotta da Giovanni Minoli su RAI 3 – ricostruirà la vicenda della morte di IPPOLITO NIEVO. Tra gli altri, parteciperà lo storico Cesaremaria GLORI, autore del libro “LA TRAGICA MORTE DI IPPOLITO NIEVO – Il naufragio doloso del piroscafo Ercole”, edito recentemente dall’editore Solfanelli.

Del libro si è occupato recentemente la stampa nazionale poiché è stato copiato ed inserito, con qualche discutibile “ritocco”, nella più recente “opera” (si fa per dire) di Umberto Eco.

Ne riproduciamo la scheda: Ippolito Nievo, l’autore de Le confessioni, uno dei più bei romanzi italiani dell’Ottocento, partecipò alla Spedizione di Garibaldi del 1859. Nel corso della navigazione verso le coste siciliane gli fu affidato l’incarico di Vice Intendente, il che comportava la responsabilità dell’amministrazione del corpo di spedizione e, in seguito, dell’Esercito Meridionale. Un incarico pieno di responsabilità questo, suscettibile di critiche che divennero malevole e spesso calunniose nella lotta fra le fazioni che vedevano contrapporsi Cavour e Garibaldi. Fu proprio per difendersi da queste calunnie, che avevano trovato nella stampa dell’epoca una tribuna ascoltata e temuta, che Nievo fu costretto a redigere un Rendiconto nel quale dimostrava, con meticolosa precisione, l’operato suo e di tutta l’Intendenza. Fare ricorso a quella stesura fu una mossa corretta, tuttavia nel fascicolo erano contenute notizie riservate, della specie che non sarebbe stato opportuno rivelare.

Nievo partì da Palermo con il vapore Ercole la sera del 4 marzo 1861: a bordo c’erano ottanta persone tra equipaggio e passeggeri e, custodito in una voluminosa cassa, il Rendiconto con tutti i documenti giustificativi che lui aveva predisposto.
Il console amburghese Hennequin, che a Palermo curava gli interessi del Governo di Londra, aveva cercato di dissuaderlo dall’imbarcarsi su quella nave, ma il Vice Intendente non era uomo dall’abbandonare né il suo equipaggio né il prezioso carico, e non comprese il criptico messaggio del’annunciato disastro. Non sapeva che quel rendiconto non doveva vedere la luce, perché avrebbe rivelato l’ingerenza pesante del Governo di Londra nella caduta del Regno delle Due Sicilie. L’Intendenza aveva dovuto gestire un ingente finanziamento in piastre d’oro turche, che aveva favorito l’arrendevolezza di gran parte degli ufficiali e delle alte cariche civili borboniche: un’ immobilità che aveva paralizzato l’Esercito e soprattutto la Marina borbonica.

La reazione fu tardiva, lacunosa e minata dalla sfiducia aggravata dal tradimento di molti, senza il quale il più grande e agguerrito Stato della penisola italiana, con la terza flotta europea di quel tempo, sarebbe difficilmente caduto.
La mattina successiva la nave si inabissò, quand’era già prossima al golfo di Napoli.

Cesaremaria Glori,
LA TRAGICA MORTE DI IPPOLITO NIEVO

Il naufragio doloso del piroscafo Ercole
Presentazione di Vito Caporaso
Edizioni Solfanelli
[ISBN-978-88-89756-82-9]
Pagg. 168 - € 12,00

1 commento:

  1. Alfonso Hennequin era console commerciale della città anseatica di Amburgo, nominato grazie a un Concordato tra Stati, sottoscritto tra Amburgo e il Regno delle Due Sicilie, alcuni anni primma. (Vedi Decreti del Regno borbonico, pubblicati). Non era un agente di Londra. Sue lettere, alcune inedite, si conservano presso i discendenti di Romeo Bozzetti, amico di Nievo. Non diede a Nievo nessun criptico messaggio. Nievo fu nominato vice Intendente a Palermo, a fine giugno 1860. A Talamone era un semplice funzionario addetto all'Intendenza. Durante la navigazione custodì 16.000 lire, perché Acerbi, Intendente dei garibaldini, preferì distribuire le monete tra i funzionari, dicendo: "prendetele, un caso le due navi si perdessero di vista". Il rendiconto della gestione palermitana della Intendenza e vice Intendenza garibaldina fu regolarmente consegnato, mensilmente, su registri, come si usava allora nell'Esercito sardo cui i garibaldini intendevano conformarsi, con indicazione di entrate e uscite giornaliere. Consegnato al Comando garibaldino prima e al Comando della piazza di Palermo poi (per la gestione del periodo "piemontese"). Tutti i registri sono oggi all'Archivio di Stato di Torino. Il governo di Londra non ebbe ingerenze pesanti sulla caduta del Regno Borbonico. Le navi che protessero lo sbarco furono chiamate a Marsala dal ricco possidente inglese Ingham, che convinse il vice console inglese. Ingham sul porto aveva i suoi stabilimenti vinicoli e voleva proteggerli. Prestò a Garibaldi una somma, dietro la firma di una cambiale che Garibaldi onorò poi a Palermo. Mundy accolse sulla sua nave Garibaldi e Lanza che firmarono il primo dei tre armistizi, ma Mundy chiese in cambio la cessione all'Inghilterra del castello fortificato sul porto vecchio, cosa che Garibaldi rifiutò. Le calunnie sui Garibaldini, suggerite da La Farina, risalivano a fine giugno e inizio luglio 1860. A settembre ci fu una polemica sulla Società delle Strade Ferrate Siciliane, le cui azioni era in mano a Bertani e a Menotti Garibaldi. Ma l'Intendenza e la vice Intendenza non furono attaccate. Il rendiconto, dal 2 giugno al 31 dicembre 1860, pubblicato da Nievo il 31 gennaio 1861 su "La Persevderanza", non ebbe alcun eco sulla stampa del tempo. Nessun giornale dell'epoca ne parlò, né per lodarlo, né per vituperarlo. Vi prego, se volete fare affermazioni, citate date precise, fatti precisi. Le piastre d'oro turche sono una favola. Nessun documento dell'epoca ne parla. Solo voci, messe in giro nel 1988 e non sostenute da documenti originali, o presentati in fotocopia, o almeno in trascrizione. Le monete d'oro non avevano corso legale nel Regno borbonico e potevano essere cambiate solo da orafi o da cambiavalute. Nessuno poteva avere in casa una simile somma in ducati, perché il Banco a Palermo rimase chiuso dal 26 maggio al 25 giugno 1860. Gli orafi non potevano accedere ai loro conti correnti. Lanza lasciò Palermo il 12 giugno. Fu pagato? Si, ma con ducati provenienti da altra fonte, non dall'oro inglese.

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