BENIGNI LEGGE DANTE
Repubblica — 29 dicembre 2008 pagina 32 sezione: CULTURA
Quando si parla di Dante, mi si rigirano subito il corpo e l' anima; è un poeta eterno, che ho sempre sentito come un amico. Il mio vuole essere solo un omaggio: quello che dico non ha carattere scientifico, ma personale. Del resto, qualsiasi cosa si dica su Dante va sempre bene, perché è un contributo che diamo alla poesia, alla bellezza e alla gioia del vivere. Questo Dante Alighieri, ma chi era? In passato ho fatto tanti incontri nelle università per parlare di lui, e una volta anche in America, quando m' hanno tenuto là mesi e mesi per tutti i giracci che mi facevano fare prima dell' Oscar. Mi hanno voluto all' Università di Los Angeles perché ne parlassi addirittura in inglese. Naturalmente stavo tranquillo perché di quello che dicevo non capiva niente nessuno: andavo a ruota libera. Su Dante si sa davvero poco. Di lui non è rimasta neanche una firma, un'orma, il numero di scarpe, la taglia del vestito... In ogni caso, non bisogna immaginarselo così come l' hanno raffigurato nelle statue o nei quadri, col cipiglio serio, la palandrana lunga e il cappuccio in testa: era un ragazzo di trentacinque anni quando scrisse la Divina Commedia, uno giovane giovane, che portava perfino dei bei pantaloni allegri e colorati. Perché si usavano molto i colori, nel Medioevo, che a torto viene descritto come un periodo buio e tremendo. In verità era un' epoca spettacolare. Firenze era la Wall Street del Duecento e il fiorino era una moneta fortissima. Tutti volevano venire in Italia, e Firenze era la meta più ambita. Erano tirchi, i fiorentini.
Avevano inventato le banche: i Peruzzi, gli Spini, i Valdi... Facevano prestiti al sessanta-settanta per cento di interessi, e siccome la Chiesa condannava l' usura, questi banchieri dicevano: - Sì, però noi s' è fatta la ditta... la ditta non ha mica l' anima... Se volete mandare all' Inferno la ditta è un discorso, ma noi non c' entriamo nulla. E la Chiesa: - Mah... forse hanno ragione loro...
Comunque, applicavano sui prestiti dei tassi così alti che in punto di morte si pentivano di aver praticato l' usura. Oggi è rimasto tutto uguale, eccetto che i banchieri non si pentono più in punto di morte. La vita a Firenze era bellissima. (...) E si praticava il sesso sfrenato. I tantissimi bordelli erano tollerati, solo non dovevano stare nei pressi delle chiese, e alle prostitute era vietato andare con i malati per non diffondere contagi. In compenso ai magnaccia tagliavano le mani e li castravano. A un certo punto era stato chiamato un certo fra' Giordano da Pisa, un sant' uomo, il quale raccontò di aver sentito una ragazza in chiesa pregare così: - O Madonnina bella, tu che sei rimasta incinta senza fare l' amore, fammi fare l' amore senza rimanere incinta! Preoccupato, il frate decise di correre ai ripari. Si diceva che Firenze fosse la città delle undicimila vergini, e dal momento che i costumi erano assai licenziosi, fra' Giordano cominciò a confessarle. In capo a un mese e mezzo le aveva confessate tutte e undicimila. Arrivato all' ultima disse: - Non ce n' è più neanche una... Sopra i diciassette anni, scordatevele... E non solo non c' è più una vergine, ma peccano anche contronatura! L' omosessualità infatti era molto diffusa, tant' è che, nel mondo, "omosessuale" si diceva florenzen, "fiorentino". Ma era un segno di grande civiltà, di apertura mentale. Pensate che in tempi recenti, quando vennero a Roma, quelli della Lega Nord organizzarono una delle solite manifestazioni: «Romani ladroni! Roma terrona!» I romani, per tutta risposta, un giorno che andarono a Milano per assistere a una partita di calcio, si portarono dietro uno striscione con sopra scritto: «Quando voi eravate ancora sugli alberi, noi eravamo già froci!».
Quanta differenza di civiltà... Tempo fa, il professor Umberto Eco ha consigliato agli studenti di imparare un' altra volta le poesie a memoria. In questo modo, oltre alla parola, ti viene dentro anche il suono, che è come una musica bellissima. A me la mia mamma lo diceva sempre: - Impara a memoria! Lo vedi Dante? Era tremendo. Devi diventare come lui, che sapeva tutto a memoria. Conosceva ogni cosa! E mi raccontava il famoso aneddoto del sasso... Dante è seduto su un sasso davanti al Duomo di Firenze. Arriva un signore e gli dice: - Qual è il miglior boccone? E Dante: - L' ovo! E l' altro se ne va. Un anno dopo, lo stesso signore ritorna nello stesso posto dove Dante è seduto sullo stesso sasso, e gli chiede a bruciapelo: - Con che? E Dante: - Col sale! Quest'aneddoto la mia mamma me lo ripeteva sempre, per farmi capire che Dante aveva una memoria di ferro e che anch' io dovevo avere la memoria di ferro che aveva Dante. E pure il mio babbo voleva che sviluppassi la memoria, così mi buttava sul palco con i cantori d' ottave, per farmi fare a gara con loro a improvvisare in rima. Dante Alighieri ci ha lasciato l' apice di tutte le letterature. Io sono un uomo di spettacolo, e come tale vengo dalla narrazione, perché per stare sul palcoscenico devo essere capace di raccontare. Quindi sono anche un uomo di lettere, e pure piuttosto esigente, nel senso che quando leggo mi piace godere della lettura. Dunque, quando dico che la Divina Commedia è la vetta delle letterature, lo dico proprio perché è un piacere leggerla, e chissà cosa abbiamo fatto di straordinario per meritarci un dono così bello. È come se Dio avesse detto: «Guarda, sono stati talmente bravi e buoni che li voglio premiare; gli do uno che gli scrive la Divina Commedia!». È un poema che narra non solo delle passioni, ma dei ramarri, della brina, di come guarda un uomo dall' occhio pigro, di come ci si gratta il capo, di cosa si pensa quando si sta sdraiati sul letto a pancia sotto. Dante ha detto praticamente tutto, e nemmeno Shakespeare è al suo livello: Shakespeare ha abbracciato tutti gli uomini, ma non ha sfiorato il divino. E Dante non ha scritto la Divina Commedia solo perché Dio esiste, ma anche perché Dio esista. La Commedia è ambientata nel 1300. Sono passati settecento anni da allora, ma sono niente... Settecento anni equivalgono a dieci persone di settant' anni. Uno muore a settant' anni, e dopo di lui nasce subito un altro: mettete dieci persone di quell' età una dietro l' altra e arriverete a Dante. Solo dieci persone! Il capolavoro dantesco è uno dei racconti più cristallini, più semplici che siano stati scritti; bisogna avvicinarcisi con l' innocenza di un bambino, e solo in seguito impegnarsi a capire le allegorie e le metafore, quando si faranno le seconde letture, le terze, le quarte, e così via. Ma all' inizio non dobbiamo privarci del piacere di leggere questo libro, di godere di un racconto dove ci sono il canto, la musicalità, la narrazione e, naturalmente, la poesia. E la poesia, come si sa, va letta ad alta voce, perché viene dalla tradizione orale. Si dice che sant' Agostino sia rimasto molto colpito il giorno in cui andò a trovare sant' Ambrogio e lo trovò intento a leggere mentalmente; una cosa mai accaduta prima, che lasciò sant' Agostino stralunato. In ebraico, addirittura, «leggere» e «gridare» si dicono nella stesa maniera. Segno, dunque, che tutta la grande poesia deve essere letta ad alta voce. Umberto Eco ha detto anche questo: oltre che imparare a memoria, bisogna leggere ad alta voce. Ma come mai la Divina Commedia resiste da così tanto tempo? Un libro che resiste così tanto, o è erotico o è religioso. Prendiamo la Bibbia: non esiste opera più erotica e mistica della Bibbia, è il libro più venduto e più letto, anche perché è facile, quando si sanno i gusti dei lettori... La Bibbia infatti è l' unico caso in cui l' autore del libro è anche l' autore dei lettori. La Divina Commedia è estremamente erotica, ma più che erotica è sensuale. Non solo: c' è dentro tutto lo scibile umano. Dante ha scritto per redimere le anime future in una lingua futura, che dura tutt' oggi, che è viva, palpitante, voluttuosa. Non basta: ci ha messo dentro l'anatomia, la veterinaria, l' astronomia, l' ingegneria, la fisica, la matematica. Nella Commedia c' è una cartina dell' Italia che sembra fatta coi satelliti. C' è la musica, c' è la poesia, c' è la teologia, e non si può fare a meno di chiedersi: ma chi è questo Dante? Da dove è venuto? Le cose che dice sembrano premonizioni... Va rimarcato che in duemila anni di poesia cristiana, teologica, erotica, critica, Dante non è mai stato superato. Nessuno è stato capace di eguagliare tanta scandalosa bellezza. Il suo è un libro in cui si volta pagina e si applaude.
- ROBERTO BENIGNI
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Post in evidenza
The Great Taking - The Movie
David Webb exposes the system Central Bankers have in place to take everything from everyone Webb takes us on a 50-year journey of how the C...
-
Questo è Cefis. L’altra faccia dell’onorato presidente - di Giorgio Steimetz, Agenzia Milano Informazioni, 1972 01 Le due potenze occulte d...
-
Secret Data Centres including GCHQ's Tempora and NSA's PRISM projects Permalink (where you can find location links) Perhaps ...
-
VENICE and LEIBNIZ: The Battle for a Science of Economy By Michael Kirsch LaRouchePAC If citizens knew that between Isaac Newton, Rene...
Dante si avvia allora verso la terza categoria dei dannati del diciassettesimo girone, quello dei violenti contro Dio e contro natura. Ha già incontrato un bestemmiatore (Capaneo), diversi sodomiti (Brunetto Latini e i tre fiorentini), ma ancora nessuno usuraio, cioè nessuno di quei violenti contro natura e arte, che, come spiegato particolareggiatamente nel Canto XI, non traggono il loro guadagno né dal sudore né dall'ingegno, ma dal denaro stesso (in pratica tutti i banchieri, secondo la definizione medievale di usura). Essi sono a metà strada tra la pena dei violenti contro Dio (sdraiati in terra, sotto la pioggia infuocata), la peggiore, e quella dei sodomiti (in corsa senza sosta sotto la pioggia di fiammelle), la più lieve. essi devono infatti stare seduti e con le loro mani si sventolano e cercano incessantemente di spegnere le fiammelle appena cadute. In questa attività Dante li paragona ai cani che si grattano con le zampe per scacciare le punture "o da pulci o da mosche o da tafani", con un ripugnante sentimento sottolineato dalla similitudine tutta animalesca. Inoltre Dante nota che essi hanno una borsa ciascuno al collo con disegni sopra, alludendo molto probabilmente alle borse che prestatori e cambiatori portavano sempre al collo durante i loro affari e che più li contraddistingueva assieme al libro dei conti. Su queste borse sono impressi gli stemmi familiari, che serviranno a Dante per indicare le famiglie di usurai, piuttosto che i singoli peccatori. Non ne indica il nome, ma il solo stemma all'epoca doveva essere più che sufficiente per un chiaro riferimento.
RispondiEliminaContinuando la serie di figure bestiali, non dev'essere un caso che in tutti gli stemmi che Dante nomina ci sia un animale impresso. Il primo dannato che vede ha un leone azzurro in campo giallo: è uno dei Gianfigliazzi di Firenze. Il secondo ha un'oca bianca in campo rosso (come sangue): ancora una famiglia fiorentina, quella degli Obriachi. Il terzo ha una scrofa azzurra in campo bianco: è degli Scrovegni di Padova e questo dannato, probabilmente il notissimo usuraio Reginaldo degli Scrovegni, inizia a sbraitare verso Dante, che ascolta e registra senza pronunciare una parola.
Chiede che ci faccia un vivo all'inferno, però, con quel tono infamante che troveremo sempre più spesso nel basso inferno, non perde l'occasione per dire anche qualche ospite futuro del cerchio: gli siederà vicino Vitaliano del Dente (di Vicenza), mentre tutti questi fiorentini che ha intorno (lui dopotutto è padovano) non fanno che rimbombargli le orecchie con l'attesa di quel "cavalier sovrano" che ha sullo stemma tre caproni, tre becchi, un usuraio non ancora morto, il cavalier Giovanni di Buiamonte de' Becchi.
i like it.. this blog
RispondiElimina