Traduzione dal francese per www.resistenze.org a cura di C.T. del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
Repubblica democratica del Congo: la Banca mondiale al centro degli «affari»
di Renaud Vivien
01/03/2010
Il bilancio di Stato 2010 della Repubblica Democratica del Congo (RDC) è stato reso noto lo scorso 25 gennaio. Ammontando a 6,2 miliardi di dollari (ossia 77 volte meno che quello della Francia |1| per una popolazione equivalente), tale bilancio è tagliato su misura per soddisfare i creditori e gli investitori stranieri a discapito dei bisogni fondamentali della popolazione. Mentre le spese sociali si limitano alle sole remunerazioni del personale della funzione pubblica, la voce di bilancio destinata alla restituzione del debito si attesta in buona posizione. Lo Stato congolese ha previsto di destinare quest’anno circa 430 milioni di dollari al pagamento del suo debito pubblico estero, malgrado la crisi economica e la natura illegale di questo debito. Infatti, il popolo congolese continua a pagare ancora nel 2010 gli arretrati lasciati in eredità dal dittatore Mobutu con la complicità dei creditori occidentali. Nel diritto internazionale, si qualifica "debito odioso". La dottrina giuridica del "debito odioso" costituisce una delle eccezioni al principio di continuità dello Stato che impone l'obbligo in capo ai governi di onorare gli impegni finanziari dei loro predecessori. Il governo congolese potrebbe quindi legalmente rifiutare di rimborsare questo debito e risparmiare così centinaia di milioni di dollari ogni anno.
Perché non lo fa? La spiegazione risiede essenzialmente su un calcolo economico di breve periodo: l’«aiuto» internazionale rappresenta non meno del 46,3% delle entrate totali del bilancio 2010 e la RDC spera di ottenere quest’anno una riduzione del suo debito attesa dal 2003! Di fronte a tale dipendenza, il governo congolese decide quindi di piegarsi alle ingiunzioni dei suoi donatori, riuniti in seno alle Istituzioni finanziarie internazionali (IFI) e al Club di Parigi, un gruppo informale che riunisce 19 paesi ricchi creditori tra cui il Belgio.
Il prezzo di questa docilità è molto elevato: la RDC deve rinunciare alla sua sovranità impegnandosi a seguire alla lettera le riforme strutturali dettate dalle IFI nel Documento Strategico di Crescita e di Riduzione della povertà (DSCRP). Conformemente a questo programma triennale, pallida copia dei piani di aggiustamento strutturale (PAS) imposti dal FMI e dalla Banca mondiale ai paesi del Sud del mondo all’indomani della crisi del debito nel 1982, il governo congolese deve obbligatoriamente migliorare il «clima degli affari». In altre parole, il governo deve adoperarsi per il benessere delle multinazionali accelerando la svendita delle sue risorse naturali e privatizzando i settori strategici. Questa politica di privatizzazione non ha solamente delle conseguenze importanti sul piano economico, dal momento che genera automaticamente meno entrate per lo Stato, ma anche sul piano umano con dozzine di migliaia di posti di lavoro soppressi.
I futuri «ex-lavoratori» congolesi non potranno contare su nessun sistema di protezione sociale perché questo rischierebbe di rovinare il «clima degli affari». Infatti, la Banca Mondiale incoraggia gli Stati a eliminare la protezione sociale dei lavoratori nel Sud ma anche nel Nord |2|, soprattutto avvalendosi della pubblicazione del suo rapporto annuale Doing Business dove stabilisce una graduatoria dei paesi in base alla facilità di «farci affari». Più la legislazione di un paese favorisce i licenziamenti e meglio è quotata! A titolo di esempio, il Ruanda registra nel 2009 la più grande progressione, poiché i datori di lavoro non sono più tenuti a procedere a consultazioni preventive (riguardanti le ristrutturazioni) con i rappresentanti dei lavoratori né ad avvisare l’ispettorato del lavoro. Al contrario, il Portogallo è declassato per aver allungato di due settimane il periodi di preavviso di licenziamento.
Non stupisce quindi di ritrovare la Banca Mondiale in prima fila nell’operazione «dimissioni volontarie» nella RDC. Tra il 2003 e il 2004, un piano di licenziamento illegale ha tagliato 10.655 lavoratori della Gécamines (l’impresa pubblica mineraria situata nella regione di Katanga), che non venivano più pagati da molti mesi. È in questo contesto che la Banca mondiale è intervenuta finanziando i licenziamenti, su domanda del governo congolese, ma prendendosi la libertà di imporre in anticipo le sue condizioni illegittime: la banca ha stabilito il limite massimo delle indennità secondo una forma di calcolo a saldo con stralcio di ogni altra spettanza che violenta il diritto del lavoro congolese e le norme dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL). Mentre l’offerta caldeggiata dalla Gécamines era di 120 milioni di dollari contro i 240 milioni reclamati dai lavoratori, il consulente incaricato dalla Banca mondiale di calcolare il montante dell’indennizzo propone un forfait di soli 43 milioni di dollari!
Oggi gli ex-lavoratori della Gécamines non hanno ancora ricevuto le indennità spettanti di diritto e la Banca mondiale continua a far pesare tutta la responsabilità sul Governo e la Gécamines. Le 10.655 vittime non intendono subire e si sono rapidamente organizzate creando il Collettivo degli ex-lavoratori della Gécamines. Molti di loro chiedono che la Banca mondiale si assuma le sue responsabilità e hanno costituito un Gruppo d’Indagine sulle violazioni che la Banca mondiale avrebbe commesso nei progetti in cui è coinvolta, il cui operato non ha però alcuna forza vincolante. Solo un giudizio espresso da un tribunale ordinario potrebbe costringere la Banca a riparare i danni causati alle popolazioni. Tuttavia un processo contro la Banca mondiale per tali violazioni, possibile dal momento che non gode di immunità e, secondo i suoi stessi statuti può essere perseguita dalla legge in tutti i paesi nei quali ha una rappresentanza, costituirebbe un precedente.
I lavoratori congolesi sono vittime della stessa logica capitalista che prevale al Nord dove i diritti del e sul lavoro sono calpestati. La solidarietà internazionale deve quindi rafforzarsi contro le politiche anti-sociali degli IFI e a favore dell’annullamento totale e senza condizioni del debito del Sud.
Uscito il 23 febbraio sul quotidiano francese L’Humanité, il24 febbraio sul quotidiano congolese Le Potentiel e il 26 febbraio sul quotidiano belga La Libre Belgique e sul sito di CADTM (http://www.cadtm.org/).
Note
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2| Eric Toussaint, Un coup d’œil dans le rétroviseur : L’idéologie néolibérale des origines jusqu’à aujourd’hui, éditions Le cerisier, 2010
2| Eric Toussaint, Un coup d’œil dans le rétroviseur : L’idéologie néolibérale des origines jusqu’à aujourd’hui, éditions Le cerisier, 2010
Renaud Vivien è un collaboratore di Mondialisation.ca. Articles de Renaud Vivien publiés par Mondialisation.ca
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