DIETRO IL GIALLO DI MONACO. La versione ufficiale sulla tragica morte del miliardario a Montecarlo contrasta con gli elementi in possesso del Dipartimento di Stato americano
Così Safra voleva difendersi dai russi
Ecco la denuncia del riciclaggio all' Fbi e il protocollo segreto del banchiere assassinato
DAI NOSTRI INVIATI GINEVRA - L' aria è ferma e ghiaccio è il freddo per la neve caduta nella notte. Il silenzio di pace del piccolo cimitero è spezzato, di tanto in tanto, dalle papere che starnazzano al di là del muro di pietra. Edmond Safra riposa all' ombra di un abete nano, in una tomba senza nome. La puoi trovare soltanto se conosci la sigla del loculo, A(00)Q, e la sigla del loculo puoi conoscerla solo se hai letto il libro delle sepolture alla porta del tempio. Le cose sarebbero andate in un modo, diciamo, elementare. Nella testa di Theodore Maurice Maher c' è qualche rotella lenta o arrugginita. Da cinque mesi Ted lavora a Montecarlo accanto a un uomo che vale, più o meno, 40 mila miliardi. Edmond Safra, 68 anni, ebreo sefardita, è il fondatore della Republic National Bank of New York, 30 mila clienti, depositi per 56,5 miliardi di dollari, 44 filiali nel mondo. Ted è un po' guardaspalle, un po' infermiere. È, soprattutto, un ragazzo fortunato. Per quel suo lavoro quieto, ai piedi della Rocca, guadagna come il segretario di Stato a Washington. Seicento dollari al giorno (poco meno di 1 milione e 200 mila lire). Potrebbero bastargli. Eppure no, il denaro non addolcisce il suo problema. Non si sente amato e Ted vuole essere amato, ammirato, desiderato, esaltato. È un' ossessione che gli psicofarmaci non attenuano. Nessuno si accorge di quella rotella lenta. Non ne avverte i pericoli un vecchio campione del gioco duro come Samuel Cohen, ufficiale dello Shin Bet e capo della sicurezza personale di Safra. «Ted è okay» anche per gli otto agenti segreti israeliani o americani che proteggono la vita del finanziere ebreo. Per strappare finalmente alla vita quel che la vita si ostina a non dargli, Ted pensa a una guasconata bizzarra. Inscena l' aggressione di un commando nell' attico blindato di Safra. Attizza con una candela un principio d' incendio in un cestino. Si ripromette di portare in salvo il suo boss tra gli applausi discreti dei monegaschi e la riconoscenza eterna del miliardario. Qualcosa non funziona. Edmond Safra si barrica in una toilette blindata e, dicono, rifiuta di uscirne a dispetto delle implorazioni telefoniche di Ted e della moglie Lily. Edmond Safra muore intossicato dal fumo e carbonizzato dalle fiamme poco dopo l' alba del 3 dicembre all' ultimo piano del lussuoso edificio che a Montecarlo chiamano Belle Epoque. UNA LUNGA STORIA - Se ascoltate il procuratore del principato Daniel Serdet, il «caso» si chiude qui. Se guardate la sua faccia allegra di «bon vivant», mentre vi racconta questa storia di cui egli stesso ride, sapete che è difficile berla. Soprattutto, dopo aver ascoltato l' avvocato ginevrino Marc Bonnat. Il pomeriggio di venerdì 11 l' avvocato è salito sulla Rocca del principato e ha infilato l' ingresso della Procura con in tasca la costituzione di parte civile firmata da Lily Safra e, quando ne è uscito, persino l' aplomb di chi le cause è abituato a vincerle, e non a discuterle, ha ceduto: «Siamo sorpresi dalla rapidità con cui le autorità monegasche hanno dato risposta ai molti dubbi. La storia che monsieur Safra avrebbe respinto le suppliche telefoniche della moglie, che gli chiedeva di uscire dal bagno dov' era barricato, è completamente falsa. Madame Lily Safra non ha mai avuto questa conversazione. Così come è falso che il capo della sicurezza Samuel Cohen si sia rifiutato di collaborare. Semplicemente, gli è stato impedito di raggiungere l' ingresso dell' appartamento. Eppoi, come è possibile che una candela in un cestino abbia potuto mandare in fumo tutto quell' appartamento?». Se così stanno le cose, alle Belle Epoque è stato scritto soltanto un altro capitolo di una lunga storia. Per rintracciarne il canovaccio bisogna allontanarsi di 555 chilometri verso nord. Andare in Svizzera, a Veyrier, un villaggio alle porte di Ginevra dinanzi al portale in pietra grezza del «cimitière israelite». L' AMERICANO - La tomba di Edmond Safra è una lastra di cemento stretta da quattro poverissime e provvisorie assi di legno. Il cemento sembra ancora umido e morbido. L' appuntamento è davanti all' ultimo rifugio di Edmond. L' uomo è già lì. È un ebreo americano. Lavora al Dipartimento di Stato di Washington. Ha inseguito in Occidente le orme, gli affari e il danaro della cleptocrazia di Mosca. Lo ha fatto con durezza. L' uomo è assorto come in una muta preghiera. Ha i pugni stretti schiacciati nelle tasche profonde dell' impermeabile e le spalle piegate in avanti. Siamo qui per fargli le domande che immagina. Come è morto davvero Edmond Safra? Si può credere all' «infermiere matto»? Perché Edmond Safra aveva paura di morire? Quali erano le ragioni del suo timore e quali le ragioni degli assassini, ammesso che ci siano davvero degli assassini? «Io non ho sempre ammirato Edmond Safra, al contrario...», comincia a dire l' uomo di Washington. Lo dice sottovoce, quasi per chiedere scusa a Safra, ora, qui, davanti alla sua tomba. «Più o meno ho sempre pensato che un banchiere privato come lui non facesse altro che favorire l' evasione fiscale. È quel che Edmond Safra ha fatto in America Latina per decenni. Proponeva ai suoi miliardari clienti di portar via i capitali da quei Paesi, di metterli al sicuro dall' iperinflazione, dall' incertezza di rivoluzioni e colpi di Stato. Lavorava e moltiplicava quei denari che non erano puliti, ma nemmeno i più sporchi in circolazione. Il mio pregiudizio, come tutti i pregiudizi, era sbagliato. Se si guarda agli ultimi cinque anni, l' Amministrazione non può rimproverare nulla a Edmond Safra. Anzi, per il contributo che ha fornito negli ultimi quindici mesi all' Fbi gli va detto un grazie...». TROPPA FRETTA - L' uomo ora passeggia lungo gli stretti sentieri del cimitero e, nel silenzio, si può ascoltare lo scricchiolio delle sue scarpe di cuoio nero sulla ghiaia bianca. Gli piacciono i nudi fatti, e solo quelli. Dice: «Lasciate perdere Montecarlo, l' attico, l' infermiere matto. È una storia che non sta in piedi dal principio alla fine, chi non lo capisce? Ted Maher era davvero un infermiere? Il suo passato ce lo dice, ma anche il passato si può inventare a tavolino, non è poi tanto difficile... Ted dice di aver appiccato una sola fonte di incendio e allora perché ce n' erano due in quell' appartamento? Chi ha attizzato l' altra? Perché i sistemi antincendio non hanno funzionato, anzi nessuno dei sistemi di allarme ha funzionato? E ancora, il più banale dei perché: perché Edmond Safra, uno dei pilastri della finanza ebraica internazionale, viene seppellito, in fretta, a Ginevra e non, con l' ossequio che avrebbe meritato, a Gerusalemme? Vi potrei dire che, come diciamo noi, c' è molto di «governamentale», di decisioni maturate all' ombra di governi, in questa morte. Ma sarebbe un' ipotesi. Cancellatela. A Montecarlo c' è una tale montagna di perché senza risposta da seppellire qualsiasi procuratore che non sia meno ironico di Serdet. Ma questa è una strada senza uscita. Troppe ipotesi, meglio lasciar perdere. Non vedete che il nome dell' assassino non interessa a nessuno? Che sia o no un delitto, che sia stato o no un «avvertimento» finito in tragedia, quel che contano sono gli interessi che minacciavano Edmond Safra. Per trovarli bisogna cercare altrove, tra i fatti che rivelano le decisioni di Edmond Safra e la sua fermissima volontà di onorare la fiducia dei suoi clienti, difendere la reputazione e il buon nome di una famiglia in affari da seicento anni. Da qui bisogna cominciare la storia. Dai buonissimi motivi che c' erano per volere Edmond Safra morto secco». PARLARE O TACERE? - Quando Edmond Safra doveva decidere, e la decisione era di quelle che lasciano un segno nel destino di un uomo, sedeva in solitudine davanti al grande ritratto del padre Jacob. «Da mio padre - diceva - ho imparato tutto quel che so degli affari. L' ho imparato standogli accanto da bambino nei mercati di tappeti osservando le estenuanti trattative dei venditori». «Si impara più lì...», concludeva con rammarico. È ragionevole pensare che anche quindici mesi fa, nel settembre del 1998, Edmond Safra si sia seduto in silenzio dinanzi al quadro del vecchio Jacob. Aveva due strade davanti a sé, Edmond. Doveva parlare o doveva tacere? Che fare, padre? In quei giorni, solo che lo avesse voluto, il banchiere avrebbe potuto toccare con mano il veloce flusso di denaro che stava abbandonando la Russia al ritmo di una transazione elettronica di 500 mila dollari ogni venti minuti. Quel che stava accadendo era ciò di cui egli stesso era stato accusato. Riciclaggio. Quel sospetto che lo aveva aggredito era come un ferita che ancora gli bruciava nel petto. Nel 1983 aveva avuto la dannatissima idea di allearsi con l' American Express. Ne aveva ricavato soltanto amarezza e un caso giudiziario di gran clamore. Alla fine, ce l' aveva fatta. Sei anni dopo, l' American Express, con una lettera di scuse pubblicata sulle pagine del Wall Street Journal, aveva dovuto ammettere che «un suo dirigente aveva diffuso notizie false e tendenziose» che indicavano Edmond Safra come il riciclatore di hot money del narcotraffico. Avrebbe potuto dirsi soddisfatto, ma quell' ombra non gli dava pace. Per togliersi dal cuore quel tormento, e dalla reputazione quella macchia, decide di agire. Edmond Safra ingaggia Ann Vitale. MILIONI DI DOLLARI - Ann Vitale, specializzata in riciclaggio, antidroga e crimine organizzato, era l' assistent Us Attorney al South District di New York. Lasciata la Procura distrettuale, diventata managing director e viceconsigliere generale della Republic National Bank of New York, Ann Vitale aveva fatto un buon lavoro, non c' è che dire. Aveva creato un software collegato all' intera attività di trasferimento elettronico del denaro e costantemente osservava due «famiglie» di transazioni: i conti di corrispondenza tra le banche e i conti tra banche a beneficio di terzi. Come dire, per la sola Republic, 58 mila clienti per un totale di 65 miliardi di dollari (117 mila miliardi di lire) di transazioni al mese. Il software di Ann analizzava tutti i dati in base a tre parametri di «allarme». Era sufficiente che una banca trasferisse a un beneficiario, per più di tre volte al mese, un bonifico superiore ai 500 mila dollari (900 milioni di lire). O che una banca trasferisse a differenti beneficiari, per più di dieci volte in un mese, una somma superiore a 500 mila dollari. O, infine, che diverse banche trasferissero a uno stesso beneficiario, per più di dieci volte in un mese, più di 500 mila dollari. Se uno dei tre parametri veniva «violato», l' informazione, automaticamente «catturata» da un archivio, era analizzata dalla squadra di investigatori della Republic. Che accertavano se la company o i beneficiari al centro dell' «allarme elettronico» avessero interessi congrui con i movimenti effettuati. Dietro uno di questi «allarmi», gli agenti della Republic finirono una mattina al 118-21 di Queens Boulevard, Forest Hills, New York. Non c' era uno straccio di «interesse congruo» in quel postaccio. C' era soltanto un ufficetto (due stanze, due computer) di una società di nome Benex (un solo uomo, proprietario e impiegato, Peter Berlin). Quell' ufficetto, nel settembre 1998, era diventato la stazione di transito elettronico di quattro milioni di dollari che stavano emigrando dalla Russia verso la Costa Atlantica. IL SACCHEGGIO - Edmond Safra, dinanzi al quadro del vecchio Jacob, decise di strappare il velo. Con discrezione, la notizia del lavoro di Peter Berlin finì, a Londra, agli agenti del Gchq (servizio di ascolto informatico) di sir Francis Richard e, a Washington, agli uomini dell' Fbi di Louis Freeh. È così che nasce il Russiagate, lo scandalo dello «storno» dei finanziamenti del Fondo monetario internazionale. Perché poi gli americani se ne stiano stati con le mani in mano per troppo tempo e si siano davvero messi al lavoro dopo l' arrivo dei dossier da Londra è un' altra storia. Questa è la storia di Edmond Safra e bisogna stare dietro alle sue mosse. Nell' arco in pietra del cimitero di Veyrier è inciso un versetto di Isaia. 26-19, «I morti resusciteranno e si risveglieranno, si risveglieranno con i canti della gioia». L' uomo di Washington si ferma sotto l' arco. Legge il verso mentre si toglie la kippah. La ripone poi lentamente nella scatola di legno accanto all' ingresso del tempio. Non c' è nessuno nel cortile dinanzi al tempio. Anche le papere hanno smesso di starnazzare lì intorno. Nel silenzio, l' uomo dice: «Safra ci svelò il sistema attraverso cui i cleptocrati di Mosca stavano saccheggiando il Paese. In qualche caso andò anche oltre. Ci indicò attraverso quali canali quel denaro era stato utilizzato per acquisire importanti patrimoni immobiliari nel distretto di Manhattan. L' Fbi lavora ancora all' inchiesta. Io non so se Edmond Safra abbia dato informazioni anche alla Cia. Se lo avesse fatto, quelle informazioni avrebbero un' importanza straordinaria. In ogni caso, nel furore di difendere il buon nome della sua famiglia, Edmond Safra scelse una via senza ritorno. Se fossi stato un suo cliente di Mosca, mi sarei chiesto: ha fatto anche il mio nome? Se capite quanta apprensione può dare una domanda del genere a chi ha il suo tesoro nascosto da qualche parte, comprenderete anche quale pericolo minacciava Safra». SENZA RITORNO - Edmond Safra sa che la sua vita è appesa a un filo, ma con ostinata lucidità muove un altro passo lungo la «via senza ritorno». Deve portare via gli interessi dei suoi clienti dalla palude del debito russo. Ci sono stati anni in cui in Russia si è guadagnato anche il 128 per cento del capitale investito in buoni del Tesoro (Gko), ma ora gli affari non vanno bene e quel tempo è finito. Nel 1998 la Republic ha lasciato sul terreno 180 milioni di dollari (350 miliardi di lire). «Si sa - continua il diplomatico del Dipartimento di Stato - che cosa Safra decide di fare». Si sa. Vende la Republic alla Hong Kong & Shangai Banking Corporation Holding Plc (Hsbc) per 3,3 miliardi di dollari (6 mila miliardi di lire). Cash. «Quel che non si sa - spiega ora l' uomo del Dipartimento di Stato, facendosi serio - è che il gesto di Safra ha una contropartita. Con un protocollo segreto, la Hsbc si impegna a consentire che, in una prima fase, a gestire e garantire il portafoglio clienti della Republic continui a essere lo stesso uomo che li porta in dote, il vecchio e ormai ex proprietario Safra. Lui li garantirà nei loro crediti, assicurandone la soddisfazione. Soprattutto quelli nei confronti della Russia. Non è una garanzia in senso tecnico, nel senso che Safra non si obbligherà con il suo patrimonio. Ma è l' impegno ad assistere i clienti in quelle difficili riscossioni. Perché dei patrimoni dei cittadini russi in Occidente Safra conosce perfettamente entità e collocazione. E, su quei patrimoni, eventuali clienti insoddisfatti potrebbero rivalersi». Più o meno, è il meccanismo delle lettere di patronage, in virtù delle quali le società capogruppo tutelano le controllate. Epperò, nel nostro caso, è un uomo con un nome antico di seicento anni, a cui tiene più della sua vita, che stringe un patto con i suoi vecchi clienti ai quali dice: «Ho venduto Republic, ma non abbandono i vostri interessi». DOSSIER SEGRETO - «Il nocciolo di questa faccenda è qui. Safra era convinto di dover muovere le cose in modo tale da poter ottenere il congelamento di quei conti. È un' idea pericolosa come una dichiarazione di guerra. Chiedetevi che cosa può accadere alla Russia se, come accadde per l' Iran nel gennaio 1981 durante la "crisi degli ostaggi"' , dovessero essere bloccati, in pochi giorni o in poche settimane, le decine di miliardi di dollari che, dal 1996, le oligarchie di Mosca hanno riciclato nel mondo. Potrebbe tenere il Paese? Si svolgerebbero davvero le elezioni presidenziali? E chi potrebbe pagarle? Sarebbero sufficienti i bombardamenti su Grozny per tenere insieme il popolo nell' orgoglio e nella fiducia? Fatevi dire dai russi quel che significherebbe una scelta di questo tipo». Ma a correre rischi non sarebbe solo la massa finanziaria volata dalla Russia in Occidente negli ultimi dieci anni. «Io vi posso dire - aggiunge grave l' uomo di Washington - che al Dipartimento di Stato c' è un dossier segreto...». Carlo Bonini Giuseppe D' Avanzo (1 - segue)
Bonini Carlo, D' Avanzo Giuseppe
Pagina 9
(15 dicembre 1999) - Corriere della Sera
Il finanziere morto nel rogo di Montecarlo: prima della tragedia la trattativa con il Club di Londra per il debito di 32,3 miliardi di dollari ereditati dall' ex Urss
Safra e la Russia, lo spettro del crac
Il magnate assassinato voleva congelare, come George Soros, i conti delle oligarchie all' estero. Una mossa che avrebbe spinto sull' orlo della bancarotta anche la «Sber bank», l' istituto pubblico che raccoglie gran parte dei risparmi dei cittadini
Il finanziere morto nel rogo di Montecarlo: prima della tragedia la trattativa con il Club di Londra per il debito di 32,3 miliardi di dollari ereditati dall' ex Urss Safra e la Russia, lo spettro del crac Previsione choc in un dossier del Dipartimento di Stato Usa
DAI NOSTRI INVIATI GINEVRA - Ginevra, Londra, New York. Sono queste le piazze dove Edmond Safra, come George Soros, si preparava a dare battaglia. In nome della sua reputazione, in nome della fedeltà al patto sottoscritto con i suoi clienti. Il «piano» del banchiere è elementare: recuperare le «sofferenze» degli investimenti in Russia con il congelamento dei conti in Occidente dell' oligarchia che sostiene Boris Eltsin, più o meno cinquecento persone. Chi, meglio di lui, poteva farlo? Chi, più di lui, avrebbe potuto indicare alle magistrature europee e statunitensi i luoghi dove è nascosto il tesoro di Mosca? Già aveva permesso ai servizi segreti di Londra di bloccare lo «storno» dei finanziamenti del Fondo Monetario Internazionale. La mossa successiva, già pronta, prevedeva il recupero dei crediti russi con un' azione giudiziaria. Se si chiede oggi al procuratore di Ginevra, Laurent Kasper Ansermet, se la scomparsa del banchiere ebreo pregiudica le inchieste svizzere, la risposta è: «La morte di Safra, per il nostro lavoro, rappresenta un' autentica tragedia...». Purtroppo, l' offensiva del fondatore della Republic National Bank of New York incrocia e infiamma come una nuova infezione tutte le debolezze della Russia di Eltsin. Una Russia prossima al tracollo, come racconta un dossier segreto del Dipartimento di Stato che annuncia «una nuova crisi interna per le prime settimane di gennaio 2000. Quando milioni di risparmiatori russi potrebbero scoprire che la Sber Bank non è sufficientemente liquida e che se non dovesse continuare a essere alimentata, come oggi, dalla Banca centrale...». IL RAPPORTO - Bisogna dire ora che cos' è la Sber e quanto spazio occupa nel legame che stringe i russi al loro governo. La Sber, che raccoglie buona parte del risparmio dei privati cittadini, è una banca pubblica, sostenuta dalla Banca centrale. È uno dei quattro istituti sopravvissuti alla crisi dell' estate ' 98 (insieme alla Vneshtorg bank, la Bank Moskvy, la Gasprom bank). In un Paese come la Russia, dove non esiste una legge di garanzia sui depositi dei privati, il ruolo della Banca centrale è decisivo. È lei la vera e ultima garante del risparmiatore. Intanto, può stampare rubli. Intanto, può decidere di assicurare la sopravvivenza di chi gestisce gli sportelli. E questo consente a banche come la Sber, tecnicamente insolvibili secondo standard occidentali, di continuare a operare. Ma la Banca centrale russa ha gia messo mano ai «gioielli di famiglia» vendendo, nell' ultimo mese, 80 tonnellate delle sue riserve auree per 765 miliardi di dollari. Vorrà e potrà, in queste condizioni, ancora sostenere la Sber? La previsione degli analisti del Dipartimento è nera come la notte. «Probabilmente, non oltre l' inizio del nuovo anno...». Jonathan Winer ha lavorato per cinque anni e mezzo al settimo piano del Dipartimento di Stato come vice di Strobe Talbott e Madeleine Albright. Ha lasciato l' amministrazione da poche settimane e oggi è uno degli avvocati del prestigioso studio di Washington Alston & Bird. Quel rapporto sulla Sber bank lo conosce. Lo ha letto prima di lasciare il Dipartimento. E ora da Washington spiega: «La notizia dell' insolvibilità della Sber e i rischi di un crac per i primi giorni del 2000, forse peggiore di quello del 1998, è stata portata a conoscenza di Londra e del Fondo Monetario Internazionale. Allo stato, quella banca non è in grado di garantire i depositi dei cittadini russi. È una situazione ad altissimo rischio, perché nessuno è in grado di prevedere le conseguenze del crollo di un istituto che la raccoglie la maggior parte del risparmio di un Paese». Ecco il motivo per cui chi ha letto il dossier segreto del Dipartimento di Stato americano, avrebbe voluto non leggerlo mai. In quelle pagine secretate, a dispetto degli incoraggianti indicatori economici degli ultimi dieci mesi russi, c' è l' annuncio di una tragedia. Il rapporto, nel dichiararsi pessimista sulla futura solvibilità della Sber Bank di Mosca, evoca un fantasma. Che il panico si possa impadronire delle 89 regioni della Federazione. Che l' insolvenza del Paese sui mercati internazionali si saldi a una nuova crisi di fiducia interna. Come nell' agosto del 1998 quando furono congelati i buoni del Tesoro (Gko), come nel 1992 quando il rublo precipitò da 20 a 80 per un dollaro e l' inflazione schizzò al 1000 per cento. SCELTA DIABOLICA - Gli analisti del desk russo di Washington sono sgomentati dalla prospettiva di trovarsi davanti a un' alternativa del diavolo. Se non rivelano le pessimistiche previsioni sulla Sber bank, confidando nel sostegno che riceve dalla Banca centrale russa, si rendono complici di una tragedia. Se le rivelano, accelerano la crisi di sfiducia nel Paese e dunque contribuiscono ad accorciare i tempi di un paventato nuovo melt down, di un nuovo crollo. Se questi sono i guai di Washington, ben peggiori sono i guai di Mosca. La sola via d' uscita, per Boris Eltsin e Vladimir Putin, è stretta e sdrucciolevole come un sentiero di montagna. Il Cremlino può fare a meno della sfiducia del mondo. Oggi ha bisogno, come l' aria per respirare, della fiducia dei russi. «La guerra in Cecenia serve a quello, non ad altro - dicono al Dipartimento di Stato -. Le minacce di Eltsin a Clinton sono destinate alle orecchie dei moscoviti, non agli americani o agli europei». Oggi il popolo russo ha bisogno di sentirsi governato da una classe dirigente forte, politicamente solida. Sono condizioni che per essere sostenute dalla fiducia dell' opinione pubblica hanno, come qualsiasi altra cosa in Russia, bisogno di soldi. Soldi, soldi, molti, tanti soldi. Senza soldi non c' è nulla al di là degli Urali. Non c' è Eltsin. Non c' è il Cremlino. Non ci sono i sette oligarchi, né l' élite dei cleptocrati che hanno saccheggiato le ricchezze del Paese. Non ci sono elezioni presidenziali. Non c' è la Russia. Epperò i soldi della Russia sono qui in Occidente. Quei soldi sono necessari alla conservazione del potere a Mosca. Forse Edmond Safra non era corrente delle drammatiche previsioni degli analisti americani. Forse, ne era al corrente e ha deciso di non curarsene. Certo, con un incombente default interno, quella minaccia al patrimonio esterno della nomenklatura, era più che una minaccia, era una dichiarazione di guerra. Sufficiente a firmare «un contratto di morte»? È giunto il tempo di rivolgere la domanda ai russi. L' ELEGANTONE - A James Woolsey, che fu direttore della Cia fino al 1995, piace ripetere che: «Se vi dovesse capitare di conversare con un bilingue russo e inglese, diciamo in una ristorante di Ginevra, e doveste notare che l' uomo veste un abito da 3.000 dollari e scarpe di Gucci e si presentasse come un executive di una compagnia che vi vuole proporre una joint venture, potreste concludere senza sbagliare che si tratta di un executive, o di un agente del Kgb sotto copertura commerciale o di un affiliato al crimine organizzato russo. Ma la cosa che non deve sorprendervi è che si potrebbe trattare di tutte e tre le persone insieme». Il ristorante di Ginevra ha alte boiserie e soffici tappeti e caraffe e calici di cristallo boemo e tovaglie di lino di Fiandra ricamate a mano. L' uomo che si è ordinato, con un carré d' agneau, uno Chateau Margot del 1993, troppo giovane in verità per essere sacrificato, parla quattro lingue. È a suo agio in un abito di Hugo Boss, vattelapesca di quante migliaia di dollari. Sfoggia scarpe di Ferragamo. Annusa, illanguidito, il Margot. Lo assaggia. Si lascia accarezzare le papille da quel nettare, con estrema lentezza. Ha gli occhi socchiusi e finalmente, ancora con gli occhi, fa cenno al sommelier di servire il vino ai suoi ospiti. Ai quali chiede: «Sapete che cos' è il Russia London Club Portfolio Managers Inc.?». I DEBITI CON IL «CLUB» - Alla grossa, il debito russo nei confronti del mondo, ereditato dall' ex Urss e gonfiato dalle presidenze Eltsin, tocca i 150 miliardi di dollari (270.000 miliardi di lire), senza interessi e senza tener conto dei crediti del Fondo Monetario Internazionale. Nel Club di Parigi si raccolgono i diciotto Paesi creditori di 40 miliardi di dollari (72 mila miliardi di lire) della stagione sovietica. Nel Club di Londra sono invece rappresentati le banche e i fondi di investimento che hanno in Russia «incagli» per 32,3 miliardi di dollari (oltre 58 mila miliardi di lire). Per i governi è più facile trattare e dilazionare i pagamenti. La ragion di Stato, si sa, è ben più dura dell' interesse economico. Al contrario, per le banche, la ragion di Stato può essere liquida a petto del solido interesse economico. E se per le grandi banche nazionali influenzate dai governi, questo a volte può non essere vero, è assolutamente vero per i fondi di investimento. Così, quando, dopo due cedole di 300 milioni (540 miliardi di lire) e 900 milioni di dollari (1620 miliardi di lire) non onorate, il comitato di negoziazione del Club di Londra (Deutsche Bank, J.P. Morgan, Banque National de Paris, Banca Nazionale del Lavoro, Dresdner Bank, Bank of Austria, Bank of Tokio Mitsubishi, le maggiori tra le banche rappresentate) tiene ancora corda lunga al ministro delle Finanze Mikhail Kasyanov proponendogli un' emissione di eurobonds garantiti dalla federazione a copertura del debito, i Fondi d' investimento statunitensi decidono che è giunto il tempo di tirare la corda per impiccare le oligarchie di Mosca. Il Russia London Club Portfolio Managers Inc. nasce il 2 giugno. Vi sono rappresentati Fondi di investimento che vantano un credito di 5 miliardi di dollari (oltre 9 mila miliardi di lire). Lo rivogliono indietro. «La Russia è in "default" tecnico, ma è chiaro che nessuno ha voglia di chiamarla a risponderne», dice Charles Blitzer della Donaldson, Lufkin and Jenrette (protagonista in Italia della scalata Telecom). E incalza Mark Helie, direttore di Gramercy Advisors e presidente del Portfolio: «A questo punto ritengo che molti altri creditori vogliano andare fino in fondo per accelerare il default russo». L' AVVERTIMENTO - Il cameriere ha servito il carré d' agneau e mesce altro vino. L' elegantone dice: «La strada scelta dal Russia London Club Portfolio Managers Inc. è la stessa individuata da Edmond Safra. E non è un segreto, nel mondo della finanza, che le sortite di Portfolio fossero ispirate da Edmond Safra. Vi piacciono i fatti, dite. Beh, io vi posso raccontare soltanto le coincidenze, per il momento. 11 maggio del 1999, Safra annuncia la vendita della Republic per 10.3 miliardi di dollari cash, è la più grande acquisizione straniera di una banca americana nella storia contemporanea. Pochi giorni dopo, arriva in Costa Azzurra Boris Berezovskij. Incontra Safra a Villefranche Sur Mer. Posso immaginare la fobia di Boris. Che ne sarebbe della Famiglia del Cremlino, dei cinquecento nomi dell' oligarchia che stanno impoverendo la Russia ingrassando i loro conti all' estero se davvero Safra decidesse, come George Soros, di scatenare contro gli oligarchi le magistrature di mezzo mondo? Se sapete che cosa è stato fatto al procuratore di Ginevra Laurent Kasper Ansermet nella sua visita a San Pietroburgo, potete valutare come quella gente tenga in considerazione i magistrati». SAN PIETROBURGO - Laurent Kasper Ansermet era a San Pietroburgo il 10 ottobre con una delegazione della magistratura ginevrina per una «messa a punto» delle comuni inchieste sul riciclaggio con la Procura di Mosca, orfana di Yuri Skuratov. Era stato sistemato in un albergo di fronte alla stazione, modestissimo, l' hotel Octyabrskaya. Lo invitarono a cena. Di quella notte Kasper Arsermet non ricorda nulla. Sa soltanto che la mattina si svegliò con il volto sfregiato dai tagli. Tagli sulle arcate sopraccigliari, sotto gli occhi, lungo il naso, in alto sulle guance e non una goccia di sangue o un livido da qualche parte. L' elegantone ridacchia ruotando il suo calice nella palma della mano. «Possono averlo ripreso con un paio di prostitute. Possono averlo drogato e interrogato sulle acquisizioni della sua inchiesta. Non possono avergli fatto nulla di tutto questo, se si sono accontentati di lasciargli sulla faccia un avvertimento che serva da lezione nel caso in cui non avesse voglia di lasciar tranquilli i soldi. Senza quei soldi, quella gente è perduta. Non potrà pagarsi le elezioni e quindi non potrà vincerle e, se non le vince, dovrà sloggiare in tutta fretta da Mosca verso l' Occidente. Ma che vengono a fare in Occidente se i loro conti sono freddi come cadaveri? L' incidente a Kasper Ansermet è soltanto una coincidenza. Ce ne sono altre di coincidenze. Dopo aver incontrato Berezovskij, Edmond Safra decide di vivere in un luogo più affidabile. Lascia Villa Leopolda a Villefranche Sur Mer e si rinchiude nella fortezza della Belle Epoque...». Coincidenze, dice l' elegantone. E tuttavia, annotiamole. 2 giugno: nasce Portfolio. Vuole fare sul serio. Basta trattative. Che i russi vadano al diavolo con i loro trucchi da giocatori di tre carte. Paghino o perdano il tesoro d' Occidente. 4 agosto: anche il Club di Londra interrompe le trattative con la delegazione russa. 23 settembre: Mosca ci riprova. Annuncia di aver pronto il piano per la ristrutturazione del debito. Il 16 novembre ne pubblicizza i dettagli: condono del 40 per cento del debito e restituzione di quanto resta dei 32,3 miliardi di dollari in 30 anni, i primi sette senza interessi, garantiti dall' emissione di nuove obbligazioni. 24 novembre: chi vuole chiudere i conti con i russi mette a segno, nel solco della strategia scelta da Safra, un punto decisivo per il futuro della contesa. Lo Sputnik Fund di Soros e la Bp Amoco, gigante anglo-americano del petrolio, che avevano perso 500 milioni di dollari (1000 miliardi di lire) nel crac della siberiana Sidanco, ottengono dalla Corte Suprema di New York una pronuncia che suona come monito ai russi: «Gli interessi dei cittadini americani possono essere tutelati negli Usa nel momento in cui risultino assenti effettive garanzie di giurisdizione nei Paesi in cui tali interessi sono messi in discussione». 1 dicembre: a Francoforte, il Club di Londra boccia la proposta russa. «La percentuale della riduzione del debito richiesta da Mosca è troppo alta e sono inaccettabili i tempi della restituzione del debito». 2 dicembre: per la terza volta consecutiva, Mosca non onora con il Club di Londra la scadenza della rata del debito (550 milioni di dollari). 3 dicembre: Safra muore. 7 dicembre: il Club di Londra ci ripensa e apre di nuovo la trattativa: «L' accordo con i russi è possibile entro l' anno». «Sono soltanto coincidenze, signori...». L' elegantone sorride. Dà una lunga boccata al Cohiba, chiama il cameriere e chiede un Lagavulin. Strologa per un po' sulla qualità dei single islay malt whisky e si decide a concludere. Sorride ancora. Dice: «Soltanto coincidenze. Non dovete pensare che qualcuno ha gettato sul tavolo della trattativa il cadavere di Edmond Safra e potrebbe gettare presto sullo stesso tavolo il corpo di George Soros. Non dovete pensare che di fronte allo spettro di un nuovo default interno c' è chi a Mosca ha già pronto un piano per isolare il Paese dal mondo cancellando la convertibilità del rublo. Mai, signori, credere alle coincidenze. Traggono in errore sempre. Meglio dire, quasi sempre». Carlo Bonini Giuseppe D' Avanzo (2- fine) L' OMICIDIO All' alba del 3 dicembre il banchiere ebreo Edmond Safra, ex proprietario della «Republic National Bank», muore nel rogo del suo appartamento di Montecarlo. Il suo infermiere, Ted Maher, confessa di essere l' assassino IL RUSSIAGATE Nel settembre 1998 Safra rivelò all' Fbi le transazioni sospette di denaro proveniente dalla Russia. Gli investigatori americani, con quelli svizzeri, hanno svelato una trama che negli ultimi anni ha alimentato la corruzione a Mosca e consentito il saccheggio delle ricchezze della Russia. Dallo scandalo è rimasto travolto, con il Cremlino, anche il Fondo Monetario Internazionale IL PROTOCOLLO SEGRETO Nel maggio ' 99 Safra aveva venduto la «Republic» all' inglese HSBC. Ma un protocollo segreto gli avrebbe consentito di aiutare i suoi ex clienti nella riscossione dei loro crediti maturati in Russia e non onorati. Sui capitali russi in Occidente si profilava il rischio del congelamento
Bonini Carlo
Pagina 9
(16 dicembre 1999) - Corriere della Sera
Nessun commento:
Posta un commento