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Draghi insiste con liberalizzazioni e privatizzazioni | |
Un attacco diretto all’ottimismo berlusconiano sparso a piene mani nel nostro Paese ma i cui slogan evidentemente non sono considerati sufficienti per raddrizzare la barca ma forse solo per millantare un quadretto idilliaco rispetto al fosco futuro che invece ci attende. Per Mario Draghi, “la fiducia non si ricostruisce con la falsa speranza, ma neanche senza speranza”.
Le tradizionali considerazioni finali lette dal governatore all’Assemblea annuale della Banca d’Italia hanno rappresentato anche l’occasione per sottolineare la parziale presa di distanza da un governo e da un leader che pure lo aveva issato ai vertici di Via Nazionale all’inizio del 2006 prelevandolo dai vertici della Goldman Sachs, la ex banca d’affari obbligata dal Tesoro Usa a trasformarsi in commerciale e considerata molto vicina agli ambienti prodiani. Un’ulteriore dimostrazione del fatto che, al di là delle frasi fatte e delle convinzioni diffuse, certe nomine rispondono a logiche tutte proprie e che gli accordi che si raggiungono a livello internazionale contribuiscono a creare e cementare alleanze che durano e resistono alle antipatie personali. Del resto affermare che pure la speranza serve significa lanciare una frecciata anche ad una opposizione che nulla sa fare e nulla sa proporre se non continuare squallidamente a sfruttare la squallida di per sé vicenda di Noemi.
L’eredità del Britannia
Come previsto la relazione di Draghi è stata in una buona sostanza un inno alle liberalizzazioni e alle privatizzazioni e più in generale al Libero Mercato e alla necessità di varare riforme strutturali. Tutto in linea peraltro con il personaggio Draghi che da direttore generale del Ministero del Tesoro è stato il responsabile dell’avvio del processo di privatizzazione delle imprese pubbliche. Una svolta che venne “suggerita” al nostro Paese durante la famigerata crociera del Britannia del 2 giugno 1992 (da Civitavecchia all’isola del Giglio e ritorno) organizzata da “British invisibile” una società per la promozione dell’economia britannica. Una gitarella che vide diversi esponenti della finanza britannica svolgere lezioni ai manager pubblici italiani sull’utilità e sulla necessità delle privatizzazioni. Era un Italia in cui era appena partita la campagna di Mani Pulite con gli attacchi concentrici lanciati dalla magistratura che evidenziarono come oggetto privilegiato una ben determinata classe politica di governo, cioè i democristiani moderati e i socialisti, mentre i post comunisti del PDS, spinti a trasformarsi in socialdemocratici, già pregustavano di arrivare al potere con i democristiani di sinistra. Desiderio e disegno che vennero vanificati dalla discesa in campo di Berlusconi nel 1994.
Il cambiamento era nell’aria e l’inevitabile vuoto di potere che si prospettava appariva chiaro ai tanti “boiardi” di Stato presenti, c’erano anche un paio di cardinali, che accorsero in frotte per sapere anche se nell’Italia del futuro avrebbero conservato il posto. Draghi, a suo dire, si limitò a svolgere esclusivamente una relazione introduttiva per poi scendere dal panfilo prima della partenza. In autunno, dopo la crociera, tanto per dimostrare che non si trattava di chiacchiere, venne lanciata da Londra e da New York (con la collaborazione di Soros) una massiccia speculazione contro la lira che l’allora governatore Ciampi gestì malissimo. Via Nazionale, anche in conseguenza delle pressioni della Repubblica di Scalfari, si intestardì infatti, prosciugando le proprie riserve valutarie, nel difendere un rapporto di cambio che era in realtà indifendibile, tanto è vero che alla fine il governatore fu obbligato a svalutare la lira del 30%. Il risultato immediato fu che molte imprese pubbliche italiane finirono in mani estere grazie ad un sostanzioso sconto indotto, quello del 30% appunto. Dimostrazione, come se poi ce ne fosse bisogno, che quella crociera era servita a qualcosa, anzi a molte cose. Ricordiamo ancora una volta questi fatti per fare comprendere a chi ci legge chi sono i personaggi che dall’alto della propria carica indicano quale è la via giusta da seguire per diventare un Paese moderno ed avanzato e, presumibilmente, in linea con quelli di matrice anglosassone. Guarda caso quelli che, con la loro avidità, hanno scatenato la crisi finanziaria dello scorso anno i cui effetti ci accompagneranno ancora per lungo tempo.
Nella sua relazione, Draghi ha sottolineato la peculiarità della crisi che stiamo vivendo, la più grave dal 1945 ad oggi. Ma che però lui, è bene ricordarlo, come presidente del Financial Stability Board. non fu in grado di prevedere. Come tutte le crisi, ha notato, bisogna cogliervi le opportunità per uscirne rafforzati. Si deve ricreare un clima di fiducia collettiva, che deve investire i mercati e i loro protagonisti (!?) ma ci sarà comunque molto da fare per riavviare la ripresa e per ricreare posti di lavoro. L’Italia dovrà tenere conto delle proprie peculiarità e della propria storia. Negli ultimi 20 anni la nostra economia è stata caratterizzata da una produttività stagnante, da bassi investimenti, bassi salari, bassi consumi, tasse alte. La risposta incisiva che si deve dare all’emergenza dovrà però essere accompagnata da comportamenti e da riforme che favoriscano una ripresa e una crescita economica.
Riforme e dintorni
Tali riforme riguardano ovviamente le pensioni, da realizzare anche attraverso lo slittamento dell’età in cui si uscirà dal mondo del lavoro. Poi il federalismo fiscale che, se ben attuato, potrà stabilizzare l’andamento dei conti pubblici. A seguire sarà necessario non fermarsi ma insistere con la liberalizzazione e ovviamente la privatizzazione dei servizi pubblici, il tutto ovviamente in funzione di un efficienza che lo Stato e gli enti locali non sarebbero in grado di assicurare. Ed ancora, bisogna migliorare l’insegnamento scolastico ed universitario e si deve continuare ad investire sulla formazione del capitale umano per aumentare la professionalità dei lavoratori. Ed infine è indispensabile realizzare le opere infrastrutturali, ferrovie ed autostrade, di cui il Paese ha bisogno anche per collegarlo alle grandi reti europee che hanno raggiunto una stato di avanzamento maggiore del nostro.
Draghi come Tremonti: le banche finanzino le imprese
Cavalcando curiosamente l’irritazione delle imprese e concordando con la richiesta di Tremonti, il governatore ha invita le banche a fare la loro parte, pur avendo “eredità pesanti nei loro bilanci”, cioè gli effetti degli investimenti azzardati realizzati su titoli più o meno tossici. Insomma, ha voluto dire Draghi, le banche devono riprendere a finanziare le imprese pur valutando “con lungimiranza” il loro stato di affidabilità economica. Ma non possono negare il credito o chiedere alle aziende di rientrare dei propri scoperti altrimenti l’economia si blocca. Rimanendo in tema, Draghi si è detto disponibile a definire con il governo e le banche la questione dell’azionariato della Banca d’Italia, partecipata dalle stesse banche che dovrebbe controllare.
Siamo in presenza di una anomalia formale, ha ammesso, riferendosi al fatto che prima delle privatizzazioni l’azionista di Via Nazionale era il Tesoro attraverso le stesse banche allora pubbliche, Resta da vedere se il Tesoro dovrà sganciare quattrini per tornare proprietario di un qualcosa che era suo e che è suo secondo ogni logica.
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