«Banca avara». E scoppia la rivolta degli operai
di Cristiano Gatti
Il Giornale, 22 giugno 2009
Le banche si sono molto offese, quando Tremonti ha incaricato le prefetture di vigilare sulla concessione dei prestiti alle aziende. Reazioni sdegnate e discorsi molto alti, per la serie le banche sanno benissimo da sole come sostenere le imprese, senza bisogno di sentirsi gli sbirri alle calcagna. Questo il tono. Sono riecheggiati i princìpi che abbiamo imparato sui testi dell’economia etica, come la bellissima storia della banca motore del sistema, sempre dalla parte di chi lavora, di chi produce, di chi investe e di chi raccoglie le sfide. Soprattutto nei tempi di crisi, come no. Quando l’essere umano è in difficoltà, al suo fianco c’è sempre un angelo custode, generoso e sensibile, che si fa in quattro per levarlo dagli impicci: la sua banca.
Eppure, difficile spiegare perché, sul match Tremonti-banche la popolazione sembra schierata sin dal primo momento dalla parte del ministro. O forse, più precisamente, contro le banche. Un pregiudizio? Riconosciamolo onestamente: dev’essere un misero pregiudizio. Ma diciamo subito, altrettanto sinceramente, che le banche non si affannano molto per smantellare dal costume nazionale questi odiosi pregiudizi. Oltre le parole, ci stanno i fatti. E i fatti, in giro per l’Italia, sono questi.
Schio, profondo Veneto, comparto storico del tessile. Qui ha sede la «Smith Textile», azienda meccanica che costruisce telai. La sua situazione è abbastanza paradossale, però molto simile a quella di altre imprese del nostro Paese. Ci sono gli ordini, c’è il lavoro: cento macchinari sono quasi pronti per essere consegnati ai clienti, per un valore intorno ai tre milioni di euro. Non esiste cioè la crisi in senso strutturale, non esiste il rischio di mandare gli operai a scopare le foglie dal piazzale per impegnarli fino all’ultimo, prima della cassa integrazione o della fatale chiusura. Siamo in un’azienda che può essere definita solida. C’è un solo problema, momentaneo: manca la liquidità. In altre parole: nell’attesa che i clienti ritirino i macchinari e versino il dovuto - cosa di cui nessuno dubita, perché coperti da banche di Paesi solventi come Cina e India -, l’azienda non ha denaro sufficiente a pagare gli stipendi e i fornitori.
Non serve un master ad Harvard per capire: siamo nella tipica situazione che rende prezioso e vitale il ruolo delle banche. Che succede, in questi casi? La banca anticipa il denaro all’azienda per pagare stipendi e fornitori, sincerandosi ovviamente che l’azienda non sia decotta o priva di qualsiasi prospettiva. Dopodiché, l’economia dispiega i suoi elementari meccanismi: con il prestito, l’azienda paga quanto deve, quindi consegna i macchinari prodotti e incassa il prezzo di vendita. Con i soldi in tasca, torna alla banca e restituisce il prestito. Se il circolo è virtuoso, vivono tutti felici e contenti: l’azienda produce reddito e paga chi lavora, la banca sostiene questa azienda lucrando gli interessi sui prestiti.
Inutile ricordare che lo spettro della grande crisi ha brutalmente interrotto questa armonia. Le banche, per colpa di se stesse, hanno chiuso i rubinetti e prestano soldi col contagocce. Solitamente agli amici, dice qualcuno, ma questa resta una cattiveria. Nella realtà, il credito è strozzato sul nascere. Difficile per le aziende ottenere denaro in anticipo. Sa, c’è la crisi. Spiace molto, ma c’è la crisi. Questo il lessico ormai diffuso, da Nord a Sud, senza neppure spiegare perché.
A Schio non ci sono le condizioni per tanta riluttanza, ma la sostanza non cambia: le banche non prestano. Così, l’evento storico: i dipendenti della «Smith Textile», più esasperati della proprietà, hanno inviato una lettera a Unicredit e Banco Popolare, le principali banche della ditta, minacciando apertamente immediata rappresaglia. Se gli sportelli non concedono il credito necessario, i lavoratori chiuderanno i conti correnti. Secondo il sindacato, sono già un centinaio, sul totale di 180, gli aderenti a questa forma di sciopero. Una forma nuova, fondata sostanzialmente su una legge antica: occhio per occhio, dente per dente. È bandita dal Vangelo, ma non è che le banche possano gridare allo scandalo: neppure loro, per quanto altruiste e disinteressate, s’ispirano sempre al messaggio evangelico.
Il Giornale, 22 giugno 2009
Le banche si sono molto offese, quando Tremonti ha incaricato le prefetture di vigilare sulla concessione dei prestiti alle aziende. Reazioni sdegnate e discorsi molto alti, per la serie le banche sanno benissimo da sole come sostenere le imprese, senza bisogno di sentirsi gli sbirri alle calcagna. Questo il tono. Sono riecheggiati i princìpi che abbiamo imparato sui testi dell’economia etica, come la bellissima storia della banca motore del sistema, sempre dalla parte di chi lavora, di chi produce, di chi investe e di chi raccoglie le sfide. Soprattutto nei tempi di crisi, come no. Quando l’essere umano è in difficoltà, al suo fianco c’è sempre un angelo custode, generoso e sensibile, che si fa in quattro per levarlo dagli impicci: la sua banca.
Eppure, difficile spiegare perché, sul match Tremonti-banche la popolazione sembra schierata sin dal primo momento dalla parte del ministro. O forse, più precisamente, contro le banche. Un pregiudizio? Riconosciamolo onestamente: dev’essere un misero pregiudizio. Ma diciamo subito, altrettanto sinceramente, che le banche non si affannano molto per smantellare dal costume nazionale questi odiosi pregiudizi. Oltre le parole, ci stanno i fatti. E i fatti, in giro per l’Italia, sono questi.
Schio, profondo Veneto, comparto storico del tessile. Qui ha sede la «Smith Textile», azienda meccanica che costruisce telai. La sua situazione è abbastanza paradossale, però molto simile a quella di altre imprese del nostro Paese. Ci sono gli ordini, c’è il lavoro: cento macchinari sono quasi pronti per essere consegnati ai clienti, per un valore intorno ai tre milioni di euro. Non esiste cioè la crisi in senso strutturale, non esiste il rischio di mandare gli operai a scopare le foglie dal piazzale per impegnarli fino all’ultimo, prima della cassa integrazione o della fatale chiusura. Siamo in un’azienda che può essere definita solida. C’è un solo problema, momentaneo: manca la liquidità. In altre parole: nell’attesa che i clienti ritirino i macchinari e versino il dovuto - cosa di cui nessuno dubita, perché coperti da banche di Paesi solventi come Cina e India -, l’azienda non ha denaro sufficiente a pagare gli stipendi e i fornitori.
Non serve un master ad Harvard per capire: siamo nella tipica situazione che rende prezioso e vitale il ruolo delle banche. Che succede, in questi casi? La banca anticipa il denaro all’azienda per pagare stipendi e fornitori, sincerandosi ovviamente che l’azienda non sia decotta o priva di qualsiasi prospettiva. Dopodiché, l’economia dispiega i suoi elementari meccanismi: con il prestito, l’azienda paga quanto deve, quindi consegna i macchinari prodotti e incassa il prezzo di vendita. Con i soldi in tasca, torna alla banca e restituisce il prestito. Se il circolo è virtuoso, vivono tutti felici e contenti: l’azienda produce reddito e paga chi lavora, la banca sostiene questa azienda lucrando gli interessi sui prestiti.
Inutile ricordare che lo spettro della grande crisi ha brutalmente interrotto questa armonia. Le banche, per colpa di se stesse, hanno chiuso i rubinetti e prestano soldi col contagocce. Solitamente agli amici, dice qualcuno, ma questa resta una cattiveria. Nella realtà, il credito è strozzato sul nascere. Difficile per le aziende ottenere denaro in anticipo. Sa, c’è la crisi. Spiace molto, ma c’è la crisi. Questo il lessico ormai diffuso, da Nord a Sud, senza neppure spiegare perché.
A Schio non ci sono le condizioni per tanta riluttanza, ma la sostanza non cambia: le banche non prestano. Così, l’evento storico: i dipendenti della «Smith Textile», più esasperati della proprietà, hanno inviato una lettera a Unicredit e Banco Popolare, le principali banche della ditta, minacciando apertamente immediata rappresaglia. Se gli sportelli non concedono il credito necessario, i lavoratori chiuderanno i conti correnti. Secondo il sindacato, sono già un centinaio, sul totale di 180, gli aderenti a questa forma di sciopero. Una forma nuova, fondata sostanzialmente su una legge antica: occhio per occhio, dente per dente. È bandita dal Vangelo, ma non è che le banche possano gridare allo scandalo: neppure loro, per quanto altruiste e disinteressate, s’ispirano sempre al messaggio evangelico.
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