sabato 13 giugno 2009

GIUSTIZIA CONTRO CORRUZIONE

Da: SVIZZERA Connection

GIUSTIZIA CONTRO CORRUZIONE

Il colpo definitivo contro l'Italia sotterranea fu assestato infine dalla Giustizia italiana nel 1992. (9) Ad essa riuscì ciò in cui era fallito politicamente per decenni il popolo sovrano, le elettrici e gli elettori italiani. La fine della guerra fredda aveva reso meno rigidi i confini del paesaggio politico italiano. Le elezioni regionali del 1991 e le elezioni parlamentari dell'aprile 1992 produssero per la prima volta una rottura nel cartello di potere in precedenza rigidamente strutturato dei partiti di governo e dell'opposizione a sinistra dei comunisti, che patteggiavano con loro. Il sistema statico delle alleanze politiche e con ciò anche la protezione di un’economia all'insegna della corruzione cominciarono a sgretolarsi. Per la parte moralmente integra degli avvocati e dei giudici italiani (10) era inoltre divenuto chiaro, dopo numerosi contraccolpi, che non era sufficiente concentrarsi sulla guerra contro i vari tipi di mafia, i cui delitti spettacolari si compivano al sud. Avevano appena arrestato un padrino insieme ad alcuni esecutori d'ordini che istanze superiori, a Roma, all'occorrenza emendamenti di legge in parlamento, provvedevano ad amnistiarli. I capitani d'industria corrotti e i padrini della mafia erano sotto la protezione di persone importanti alle leve di comando della burocrazia giudiziaria a Roma. Il colpo decisivo contro la corruzione politica riuscì ai pubblici ministeri con un'intelligente mossa di scacchi. Non fu la legge sul finanziamento dei partiti, che prudentemente era stata formulata da politici corrotti senza severità nei confronti del finanziamento illegale, a far da base alle istruttorie. Punti di partenza furono piuttosto i metodi per la raccolta delle mazzette. "Quando qualcuno minaccia un imprenditore di sottrargli commissioni pubbliche per lui vitali, nel caso che non sovvenzioni il partito", dichiarò il procuratore generale Francesco Saverio Borrelli, "siamo in presenza del reato di ricatto a scopo di estorsione. Se il politico da parte sua ne riceve una contropartita, questo è corruzione".(11)

IL PRIMO CASO

Mani Pulite (in tedesco: saubere Haende) cominciò a Milano in modo poco eclatante. Luca Magni, proprietario di un'impresa di pulizie, aveva intentato un'azione legale contro Mario Chiesa, direttore della casa di riposo Pio Albergo Trivulzio. Per il prolungamento del contratto con l'impresa di pulizie, Chiesa chiedeva una tangente equivalente all'incirca a 14.000 franchi o il 10% della quota d'appalto. La casa di riposo era un fiore all'occhiello dell'amministrazione comunale milanese socialista della città e, a suo tempo, era stata inaugurata personalmente dal segretario del partito Bettino Craxi. Chiesa, il direttore dell'ospizio, un provato burocrate socialista che aveva organizzato ogni volta la campagna elettorale per Bobo, il figlio di Craxi, manteneva il suo impiego grazie alla tessera del partito socialista. Ed era estremamente corrotto. Senza la "bustarella", appunto una busta discreta con denaro in contanti per Chiesa, nessun fornitore poteva aspettarsi un ordine. La denuncia di Magni fu quanto il pubblico ministero Antonio Di Pietro poteva chiedere di meglio. Il direttore della casa di riposo Chiesa era già tra i sospettati della sua "Watchlist", dopo che la moglie Laura, desiderosa di divorziare, aveva chiesto gli alimenti in una misura che un impiegato comunale non avrebbe mai potuto pagare - Laura sapeva infatti delle tangenti incassate dal marito. Il 17 febbraio 1992, Magni entrò nell'ufficio di Chiesa e gli pagò una cifra equivalente a 7.000 franchi, la metà della tangente richiesta. Di Pietro gli aveva fornito una penna stilografica con un piccolo microfono e una borsa diplomatica con una minivideocamera. Pochi minuti dopo irruppero nell'ufficio il procuratore in persona e i suoi carabinieri e arrestarono Chiesa, che insospettitosi tentava di far sparire il denaro con lo sciaquone della toilette. Di Pietro lo fece tradurre nel carcere milanese di San Vittore cronicamente sovraffollato. Dal momento che Chiesa era solo un pesce piccolo, le autorità svizzere accolsero subito la richiesta di visione dei suoi conti bancari ticinesi - la slavina dei ricorsi cominciò soltanto quando fu la volta dei pesci grossi. Dopo alcune settimane di detenzione Chiesa cominciò a cantare. L'avevano ammorbidito oltre che le dure condizioni di detenzione nel carcere sovraffollato e antiquato di San Vittore, anche il tradimento di Bettino Craxi. Questi aveva preso le distanze dal suo conoscente e l'aveva accusato di essere un mariuolo e un bugiardo. Chiesa elencò in maniera completa chi e per che cosa aveva pagato tangenti, e disse quali erano i canali per i quali era passato il denaro. Confessò di aver incassato per i socialisti e per sè durante i sei anni in cui era stato direttore della casa di riposo, tangenti per una cifra corrispondente a circa 13 milioni di franchi. Nei casi in cui Di Pietro potè verificare le dichiarazioni di Chiesa, fece arrestare gli imprenditori in questione. Molti cercarono di discolparsi presentando il loro comportamento come generalmente diffuso e confessarono altri pagamenti illegali a politici e a funzionari.

LA SLAVINA COMINCIA A PRECIPITARE

Dopo che il caso Mario Chiesa nel giro di alcune settimane ebbe assunte dimensioni insospettabili, il procuratore generale Francesco Saverio Borrelli istituì una commissione speciale anti-corruzione secondo il modello dei procedimenti contro la mafia. I media le diedero ben presto il nome "Mani Pulite". Il fatto che il procuratore generale mettesse a disposizione immediatamente personale e risorse a sufficienza per l'ampliarsi delle indagini, fu decisivo per il successivo successo di Mani Pulite. Il presidente nominale del gruppo di inchiesta divenne il vice di Borrelli, il procuratore Gerardo D'Ambrosio. Gli altri membri erano i procuratori Antonio Di Pietro, Piercamillo Davigo e Gherardo Colombo. Più tardi anche Tiziana Parenti entrò a far parte del pool di Mani pulite. Lei si occupò soprattutto delle cosiddette "tangenti rosse" per i comunisti. Più tardi la Parenti lasciò Mani Pulite e fu eletta in parlamento nelle liste di Silvio Berlusconi. Qui divenne presidente della commissione giustizia e condusse una battaglia frontale contro i colleghi di prima. Suo successore nel pool fu il procuratore Francesco Greco. Inoltre numerosi procuratori di altre città furono chiamati a Milano per un impiego limitato nel tempo. In un comune articolo sui loro principi, intitolato "La nostra rivoluzione", apparso sul giornale romano "La Repubblica" il 30 novembre 1993, Colombo, Davigo e Di Pietro si ponevano la questione se potesse essere compito dei procuratori dare inizio ad una svolta politica. "Possibili trasformazioni politiche non dipendono dalle nostre inchieste ma dalle decisioni politiche dei cittadini. Le nostre inchieste hanno certamente contribuito ad una visione più chiara da parte dei cittadini”. Nello stesso tempo i tre sottolineavano che il loro lavoro non era condizionato da fattori esterni, come ad esempio il grande sostegno a Mani Pulite da parte della popolazione, ma solo dalle leggi. In quanto procuratori, sarebbero stati abituati ad agire in dissenso con il mondo circostante, fatto dimostrato non da ultimo dall'assassinio di decine di funzionari dell'ordine giudiziario in Italia. Nel maggio 1992, Mani Pulite si estese infine a Roma, dopo che i procuratori milanesi avevano richiesto la sospensione dell'immunità del ministro socialista del turismo. Bettino Craxi, che dopo le elezioni dell'aprile 1992 avrebbe dovuto costituire il nuovo governo, dovette rinunciare a favore del collega di partito Giuliano Amato. Una volta staccatasi, la slavina non potè più essere trattenuta. Un anno dopo, su più della metà di tutti i membri degli ultimi cinque governi e su tutti i capi di governo degli ultimi venti anni incombeva un procedimento penale. Inoltre su più di tre quarti di tutti i deputati e senatori dell'ultimo parlamento, eletto secondo il vecchio sistema elettorale, su migliaia di manager di aziende statali e private e non meno su innumerevoli mafiosi. A Palermo anche Giulio Andreotti, sette volte presidente del consiglio dei ministri italiano e simbolo della quarantennale egemonia della Democrazia Cristiana in Italia, era stato portato in giudizio. Le inchieste della giustizia e del parlamento contro di lui erano state interrotte 26 volte - ora Andreotti venne per la prima volta accusato. L'atto di accusa del procuratore Caselli contava 2.000 pagine, erano convocati 400 testimoni, tra questi i 16 più importanti mafiosi pentiti. I difensori di Andreotti presentavano 128 testimoni a suo favore, tra questi l'ex presidente Francesco Cossiga e il segretario generale dell'ONU Javier Pérez de Cuellar. Caselli rimproverava ad Andreotti di essere la persona di riferimento di Cosa Nostra siciliana presso il governo di Roma. In cambio di vittorie garantite della DC in Sicilia, avrebbe rappresentato a Roma gli interessi di Cosa Nostra. Caduto subito dopo la denuncia in una profonda depressione, Andreotti si riprese presto. Fece onore alla sua fama di moderno Machiavelli e riprese la lotta contro Caselli. Con battute ironiche come "manca solo che mi si accusi di avere provocato la guerra punica"(12) confutò di essere mai stato un uomo della mafia. Al contrario, sarebbe stato il politico italiano che l'aveva combattuta più duramente. La procura della repubblica fa risalire la sua argomentazione all'anno 1968, quando il capo della DC siciliana Salvo Lima cominciò ad appoggiare a Roma la corrente di Andreotti. Lima era legato al capo dei Corleonesi, Stefano Bontate, e ai cugini Ignazio e Nino Salvo. Si dice che nel 1976, a Roma, Lima abbia fatto da mediatore per un vero e proprio patto tra i Corleonesi, allora la più potente famiglia mafiosa siciliana, e Andreotti.
Andreotti era assillato dal suo rivale DC Aldo Moro e dalla sua strategia del compromesso storico con i comunisti. Dopo il sequestro Moro, si dice che Andreotti abbia dapprima cercato di liberarlo attraverso i suoi contatti con la criminalità mafiosa. Allorchè Moro, tuttavia, parlò ai suoi rapitori dei rapporti di Andreotti con la mafia, questo interruppe gli sforzi. Più tardi Andreotti sarebbe stato ricattato dal giornalista Mino Pecorelli, l'editore del bollettino d'informazione “OP” (“Opinione Politica”), a causa della sua Mafia-Connection. Pecorelli fu assassinato nel 1979 per ordine dei cugini Salvo. Quest'assassinio fu dibattuto dal tribunale di Perugia, dove anche Andreotti sedette poi sul banco degli imputati. Nel 1980 secondo l'accusa, dopo l'assassinio di Piersanti Mattarella, uomo politico siciliano della DC, Andreotti si sarebbe allontanato lentamente dalla mafia. Allorchè il gruppo dei Corleonesi, alleato con Andreotti, perdette le guerre di mafia contro il nuovo "Capo di tutti i capi", Totò Riina, si giunse alla rottura. La procura della repubblica considera l'assassinio di Salvo Lima, nel 1992, come il segnale inviato ad Andreotti che l’organizzazione mafiosa aveva interrotto i rapporti con lui.

RITORNO DELL' ETERNAMENTE IDENTICO?

Nel marzo 1994, mentre la Giustizia italiana mandava in prigione uno dopo l'altro i vecchi detentori del potere, l'imprenditore mediatico Silvio Berlusconi fu eletto presidente dei ministri. Nel giro di pochi mesi aveva fatto nascere dal nulla come per magia l'associazione parapartito Forza Italia e andò al governo come rappresentante di una coalizione di destra che includeva i neofascisti. Il ministro della Giustizia di Berlusconi Alfredo Biondi (membro della P2) fece sapere subito dopo la sua elezione che i procuratori dovevano astenersi dal prendere qualsiasi posizione politica. Un disegno di legge di Berlusconi per la limitazione dei diritti dei procuratori fu tuttavia respinto dal parlamento. Più tardi questa sconfitta si rivelò l'inizio della fine del presidente del consiglio dei ministri Berlusconi. Già dopo pochi mesi egli si mostrò inadeguato e fu fatto cadere infine nel dicembre 1994 per sostituirlo con un gabinetto di tecnocrati al di sopra dei partiti, guidati da Lamberto Dini della Banca d'Italia. Sia un caso o no, quasi contemporaneamente diede le dimissioni anche il pubblico ministero Antonio Di Pietro, eroe dei magistrati inquirenti di Mani Pulite a Milano. Sebbene il ministro della giustizia di Dini Giovanni Mancuso cercasse come il suo predecessore di limitare i poteri della Giustizia nella lotta alla criminalità economica e alla corruzione, le inchieste della Giustizia italiana continuarono. (13) Nel corso del 1995 Berlusconi si industriava al proprio rientro in politica, mentre contemporaneamente la polizia finanziaria indagava sulle filiali della sua impresa mediatica Fininvest. L'azienda venne sospettata di avere corrotto funzionari per evitare un controllo fiscale. Questo sospetto si rafforzò, si giunse all'accusa. La procura di Milano gli imputò di avere se non ordinato il pagamento di tangenti su conti segreti in Svizzera, di esserne perlomeno stato informato. I legami di Berlusconi con il Ticino sono oggetto di un capitolo separato. Nella primavera 1996, all'inizio del quinto anno della grande campagna italiana anticorruzione, la coalizione di centro sinistra, detta Ulivo, vinse le elezioni italiane. Se con ciò il cancro italiano che si chiama corruzione venga ancora combattuto in modo deciso, è cosa da dimostrarsi.(14) Come disse più di 100 anni fa il principe di Salina nel romanzo ‘Il Gattopardo’ di Giuseppe Tomasi di Lampedusa: tutto deve cambiare perchè tutto rimanga uguale.


Note:

9) La riforma della giustizia italiana nel 1989, considerata l'evento del secolo, ha in ultima analisi impedito, più che favorito, le inchieste offensive della giustizia penale. Si trattò dell'abolizione delle leggi straordinarie introdotte a metà degli anni '70 contro il terrorismo: ad esempio, il prolungamento del carcere preventivo a dieci anni senza obbligo di concludere il procedimento. In secondo luogo si abbandonò il pensiero giuridico romano rigorosamente formale e si introdussero numerosi elementi del sistema statunitense orientato in senso pragmatico. Venne così meno "il segreto istruttorio" fino allora gelosamente custodito, in base al quale la pratica istruttoria della difesa dell'imputato, condotta dal giudice istruttore per incarico del pubblico ministero, rimaneva chiusa fino all'apertura delle indagini e bloccata in parte fino all'inizio del processo. Come nuova misura il pubblico ministero doveva iscrivere il sospettato, subito dopo l'inizio delle indagini formali, nell' "Albo degli indiziati". Non appena si giunge ad una convalida del sospetto, all'interessato deve essere recapitato il cosiddetto "Avviso di garanzia", un'informazione di garanzia che lo ragguaglia sul sospetto di colpevolezza a suo carico. Il difensore ha accesso agli atti subito e in ogni momento. Inoltre fu introdotta conformemente all'americano "Plea bargainings" la possibilità del "patteggiamento". Ciò significa che l'accusa può rinunciare a singoli capi accusatori, se l'accusato si riconosce colpevole in punti principali e si astiene da impugnative. L'uso della carcerazione preventiva è stato limitato. Le inchieste non le conduce più un giudice istruttore per ordine del procuratore ma il procuratore accusante stesso. Il risultato dell'indagine tuttavia egli deve presentarlo in chiusura in primo luogo al giudice per le indagini preliminari", che decide sull'imputazione e sul periodo di detenzione. Già poco dopo l'introduzione delle riforme del 1989 si è visto che le misure previste dalle nuove norme erano inapplicabili o non erano state elaborate a sufficienza. L' "Avviso di garanzia" da strumento di garanzia giuridica per l'imputato aveva finito col divenire una condanna preliminare, la riduzione della detenzione preventiva era utile soprattutto ai gangster.

10) Questa categoria professionale gode in Italia di una grande autonomia. Su trasferimenti e procedimenti disciplinari decide esclusivamente un collegio democraticamente eletto, il Consiglio Superiore della magistratura (CSM). Questo è eletto per due terzi da tutti i giudici e procuratori attivi in Italia, e per un terzo dal parlamento. I giuristi si sono organizzati in raggruppamenti vicini ai partiti, ma hanno sempre dimostrato una forte autonomia nei confronti del governo. Soprattutto sotto il presidente Francesco Cossiga (1985-1992), si sono avuti scontri, arrivati fino alla minaccia da parte dell'autoritario Cossiga, di far arrestare il CSM dai Carabinieri. Conformemente ad una legge speciale i giudici, nel caso di decisioni erronee intenzionali o dolose a discapito di un imputato, possono dover risarcire di persona fino al pignoramento dello stipendio. Il procedimento viene istruito dal ministro della giustizia. Con questa legge il governo limitò indirettamente la libertà di giudici e procuratori.

11) Raith, Werner: ‚Italiens Richter und Staatsanwälte’. (‘Giudici e procuratori italiani’) in: "Plädoyer", 5/93, p.8

12) "Financial Times", 23 / 24.9.94

13) Nel dicembre 1995 il procuratore Fabrizio Salamone cominciò ad indagare a Brescia contro Di Pietro per abuso d'ufficio e favoreggiamento. Dopo alcuni mesi Salamone interruppe il procedimento senza esser pervenuto ad alcun risultato.

14) Nel maggio 1996 il centro berlinese anticorruzione "Transparency International" pubblicò una graduatoria dei paesi corrotti. L'Italia è, col suo trentaquattresimo posto tra la Turchia e l'Argentina, il paese industrializzato peggio piazzato. (Vedi ad esempio "Corriere della Sera", 3.6.96)

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