domenica 10 aprile 2011

La svolta del capitalismo italiano

Il ruolo di Palenzona e delle Fondazioni nella ridefinizione della grande finanza

Trieste, la svolta del capitalismo italiano
e i nuovi equilibri in Piazzetta Cuccia

Le dimissioni del presidente della compagnia e gli assetti di Mediobanca

Corriere della Sera, 7 aprile 2011

Il ruolo di Palenzona e delle Fondazioni nella ridefinizione della grande finanza

Trieste, la svolta del capitalismo italiano
e i nuovi equilibri in Piazzetta Cuccia

Le dimissioni del presidente della compagnia e gli assetti di Mediobanca

Cesare Geronzi (Ansa)
Cesare Geronzi (Ansa)
Non è finita a tarallucci e vino, ma con un incasso di 20 milioni. In proporzione, i 12 mesi di presidenza non esecutiva di Generali hanno reso a Cesare Geronzi il triplo dei 15 anni di Alessandro Profumo in Unicredit. Ma gli amministratori di Generali, che lavorano con i capitali di un azionariato diffuso, avranno considerato il costo di ulteriori tensioni tra il presidente e il top management.

Geronzi conclude un'avventura ventennale, di cui vale la pena ricordare l'esordio e il culmine. L'esordio risale ai primi anni 90 quando, auspice il governatore Carlo Azeglio Ciampi, Geronzi porta Cariroma ad acquisire dall'Iri il Santo Spirito e il Banco di Roma. Ecco il cireneo che porta la croce per la stabilità degli intermediari, fine ultimo della Banca d'Italia. Ma quelle croci fanno del ragioniere di Marino l'ecumenico banchiere dei partiti e dei giornali.

Il rendiconto del dare e l'avere in materia è ignoto. Certo è che Geronzi, matrice democristiana, conquista il Psi con l'acquisizione delle due banche Iri; poi Silvio Berlusconi, sistemando Mediolanum; infine l'ex Pci dalemiano e il manifesto, ristrutturandone i debiti. Sui giornali si affaccia con la concessionaria di pubblicità Mmp, in società con la Stet di Ernesto Pascale, per sostenere testate di partito, religiose e d'informazione. Capitalia prende anche quote in Class Editori e Rcs MediaGroup mentre il rapporto con L'Espresso è garantito fino alla sua scomparsa da Vittorio Ripa di Meana, legale suo e di Carlo De Benedetti. Più tardi, quando Profumo e Renato Pagliaro, ora presidente di Mediobanca, manifesteranno riserve sulla presenza delle banche nei media, Geronzi ribadirà il suo favore. E si rivelerà talvolta meno pronto all'accordo con Palazzo Chigi di alcuni industriali.

Il momento dello splendore, a dispetto dei conti, il banchiere lo raggiunge nel 2003 quando, con l'aiuto di Profumo e di un altro governatore, Antonio Fazio, riesce a defenestrare Vincenzo Maranghi in Mediobanca. Il delfino di Enrico Cuccia, pago della liquidazione di legge e delle ferie arretrate, caccia chi l'aveva offeso proponendogli una ricca buona uscita. Ma è proprio da quel successo che inizia la sotterranea erosione delle basi materiali del suo potere.

In Capitalia cresce la stella di Matteo Arpe: anno dopo anno, Arpe gli toglie il potere di fare credito attraverso dirigenti proni. Fuori, nel 2005, si consuma la rottura con Fazio: ironia della storia, Geronzi si trova dalla stessa parte di Diego Della Valle, il suo grande accusatore di oggi, contro l'Unipol che vuol scalare Bnl e contro Ricucci che rastrella azioni Rcs, peraltro senza speranze secondo Guido Rossi. La nomina a governatore di Mario Draghi non migliora le cose. Le sospensioni provvisorie dagli incarichi, dovute ai guai giudiziari, e la cessione di Capitalia a Unicredit per tagliare la strada ad Arpe completano il processo. Le presidenze di Mediobanca e poi di Generali alimenteranno la leggenda dell'uomo che con il telefono dirige l'alta finanza, ma Cuccia - che era Cuccia - ricordava come l'influenza di Mediobanca derivasse metà dai consigli, metà dai denari. A Milano e Trieste Geronzi non ha mai avuto le chiavi della cassa.

In questi ultimi anni, la sua forza è stata soprattutto il rapporto con Giovanni Bazoli. Al presidente di Intesa Sanpaolo ha offerto una sponda con la Banca d'Italia di Fazio e con i governi del centrodestra ricevendone in cambio un'altra per non rimanere schiacciato dai suoi storici rapporti con il mondo berlusconiano. Ma non si può costruire l'equilibrio del sistema senza riuscire a garantire nelle società di provenienza. Tanto più che Geronzi era salito al Nord proponendosi come il pacificatore di Milano.

Bazoli ha costruito la prima banca italiana senza recidere il legame con il mondo cattolico del Nord oggi rappresentato dalle fondazioni. Ha assorbito la laica Comit. Il fatto che questa avesse problemi e, in precedenza, avesse cercato di prendersi la Cariplo non gli evitò l'irritazione di piazzetta Cuccia. Ma quando, anni fa, ebbe la possibilità di comprare le azioni Mediobanca dei francesi, allora pari al 25%, lasciò perdere. Geronzi, invece, ha preteso di comandare in due aziende, Mediobanca e Generali, che poco hanno in comune con la sua cultura e il suo stile. E questo, alla fine l'ha perduto.
Un uomo con una tale biografia non lascia eredi. Ma pone due domande. La prima: senza Geronzi, potrà sopravvivere il geronzismo? La risposta è no. C'è, è vero, Fabrizio Palenzona. Ma l'uomo ha un'altra storia, iniziata con una piccola impresa di autotrasporto e la sinistra sociale democristiana del Nord e poi proseguita fino alle relazioni con Gianni Letta e con Giulio Tremonti, restando tuttavia nel centrosinistra. La finanza l'ha imparata da Maranghi, principe della banca privata. Gode della fiducia della Fondazione Crt, pur essendone fuori da anni, perché Unicredit è merito di Profumo, ma anche suo e di Paolo Biasi, il presidente della fondazione Cariverona. La cartina di tornasole delle novità potrebbe essere Rcs Mediagroup, che il vicepresidente di Unicredit si augura diventi una public company con i giusti statuti a protezione dell'indipendenza del Corriere o vada a un editore puro: una posizione in contrasto con Della Valle, il grande accusatore di Geronzi che in Rcs vorrebbe crescere.

La seconda domanda è: che cosa cambia in Generali e Mediobanca? La risposta è: parecchio. A lanciare l'offensiva pubblica contro Geronzi è stato il signor Tod's. Ma la base materiale della svolta risale alla caduta di Profumo, che riporta Unicredit nei giochi finanziari. Il primo passo pesante è stato il salvataggio del gruppo Ligresti, da sempre legato a Geronzi e potenzialmente alleato di Bolloré e Groupama, soci rilevanti di Mediobanca. Ora in piazzetta Cuccia si preparano a ridefinire i rapporti con i soci francesi. Se ci sarà accordo sul prezzo, qualche imprenditore italiano potrà comprare. In ogni caso, in Mediobanca già sono presenti le fondazioni bancarie, che potrebbero garantire l'appoggio esterno a un patto di sindacato anche meno largo dell'attuale in cambio di una più proporzionata presenza in consiglio. Giovanni Perissinotto e Alberto Nagel possono tentare di costruire una rete di azionisti dipendenti dalla compagnia e dalla banca o per i denari ricevuti o per un buon affare procurato. Ma sarebbe un ritorno al passato quando l'asse Mediobanca-Generali aveva il monopolio della finanza italiana. Il mondo è cambiato. E i due capi azienda parlano di sviluppo e di modernità. Certo è che, senza più il «corpo estraneo» Geronzi, cade anche ogni possibile alibi se le performance non saranno all'altezza.

Massimo Mucchetti
07 aprile 2011

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