venerdì 11 marzo 2011

PROFUMO DI DERIVATI - 28 DIRIGENTI DI UNICREDIT, TRA CUI L’EX AD, INDAGATI

PROFUMO DI DERIVATI - 28 DIRIGENTI DI UNICREDIT, TRA CUI L’EX AD, INDAGATI IN PUGLIA PER AVER ABUSATO DEI DERIVATI (I TITOLI SPECULATIVI CHE HANNO PORTATO ALLA RECESSIONE AMERICANA)ALLE SPALLE DI PICCOLE E MEDIE IMPRESE (SOLO FINO AL 2005, PERSI 2 MILIARDI €). IMPUTAZIONE: ESTORSIONE, TRUFFA, APPROPRIAZIONE INDEBITA - UNICREDIT FU MULTATA DA BANKITALIA PER AVER “AVVANTAGGIATO LA BANCA E SVANTAGGIATO LA CLIENTELA" - L’INCHIESTA PARTITA DALLA DITTA DIVANIA, STRANGOLATA DAI DERIVATI E CHE CHIEDE ALLA BANCA 280 MLN…


[DAGOSPIA, 4 marzo 2011]

Paolo Biondani per "l'Espresso"

ALESSANDRO PROFUMO

LA BUCCIA DI DIVANIA
Il primo maxi-processo alla super sbornia dei derivati all'italiana rischia di essere innescato dalla denuncia di un imprenditore del Sud contro un gigante bancario del Nord. Saverio Parisi è il titolare di Divania, un'industria di Bari che fino al 2003 dava lavoro a 430 operai. Sostiene da sempre che la sua fabbrica di divani è stata strangolata dai derivati: contratti finanziari ad alto rischio, con cui le banche facevano scommettere i clienti sull'andamento delle valute o dei tassi.

Tre anni fa, quando l'imprenditore pugliese fece causa civile a Unicredit chiedendo rimborsi per 280 milioni, i vertici dell'istituto reagirono con una contro-citazione: sarebbe stato lui a impoverire la banca. Quindi Parisi ha denunciato Unicredit alla Procura. A Bari un solo pm, Isabella Ginefra, e una piccola squadra di finanzieri hanno indagato per due anni in silenzio.

MODIANO

Mentre esplodeva la crisi, spiegata dagli esperti proprio con l'abuso di derivati su scala mondiale, hanno perquisito le sedi centrali del gruppo a Milano e Verona. Ora l'inchiesta è vicina alla chiusura. La lista degli indagati (aggiornata a due settimane fa) comprende 28 dirigenti di Unicredit, tra cui primeggia l'ex amministratore delegato Alessandro Profumo. Molti sono già stati interrogati in via riservata ed è possibile che le difese convincano la Procura ad archiviare qualche posizione. Gli altri rischiano un processo per estorsione, truffa e appropriazione indebita, in un quadro di associazione per delinquere.

Questo significa che, oltre a Divania, tra le parti offese potrebbero trovare posto altre imprese pugliesi. Il reato associativo scatta quando si ipotizza non una singola deviazione, ma una struttura organizzata a sistema.

BANKITALIA

Un'accusa-choc che finisce per coincidere con i risultati delle ispezioni di Bankitalia e Consob, che multarono i vertici di Unicredit dopo aver analizzato i rapporti con 12.700 piccole e medie imprese tra il 2003 e il 2006: "Nonostante la dichiarata politica di vendita dei derivati solo per finalità di copertura dei rischi della clientela, in concreto (la banca) ha costruito operazioni geneticamente prive della finalizzazione affermata", scrivevano le autorità nelle motivazioni (inedite).

ALESSANDRO PROFUMO

Contratti-trappola, insomma, nati per "avvantaggiare la banca e svantaggiare la clientela". Risultato provvisorio ("mark to market") al maggio 2005: quasi tutte le imprese in perdita, per ben 1 miliardo e 970 milioni di euro.

ALESSANDRO PROFUMO

Il caso Divania è il più grave in Italia tra le aziende private. Altre procure indagano su derivati venduti a enti pubblici, perlopiù da banche estere: qui il processo pilota è stato aperto dal pm Alfredo Robledo a Milano. A Bari la lista degli indagati ricostruisce la catena di comando di Unicredit: gli "ingegneri finanziari" (Ubm) e i "venditori" (Ubi). Tra gli indagati compaiono Luca Fornoni e Davide Mereghetti, già collocati da Bankitalia nel doppio ruolo di "artefici dei derivati" e "superiori gerarchici di tutta la rete commerciale".

Nessuna accusa invece per Pietro Modiano, che nel 2004 fu l'unico a lanciare l'allarme sulle "continue rinegoziazioni con gli stessi clienti". Quando "L'Espresso" pubblicò il primo articolo su Divania, Profumo difese con forza tutta la gerarchia: "Falsità. Non siamo la banca dei derivati".

Unicredit piazza Cordusio

Parisi intanto continua ad aspettare giustizia. "La perizia del tribunale civile mi ha dato ragione, come la consulenza tecnica della Procura. La banca ha dovuto ammettere che i contratti all'origine di tutti i derivati erano manipolati! Se il tribunale li riconoscerà nulli, Unicredit dovrà restituirmi non solo 15 milioni di perdite nette, ma altri 221 di pagamenti indebiti, con anni di interessi. I periti hanno scoperto una realtà capovolta perfino nei contratti a termine: ero io, il cliente, ad assicurare la banca con opzioni senza premi e rischi illimitati. Quanti altri imprenditori italiani sono stati costretti a firmare derivati rovinosi pur di avere prestiti in tempi di crisi? Spero che il ministero dell'Economia e la Banca d'Italia si decidano a fare pulizia. Non mi accontento di un po' di soldi: io voglio riaprire la fabbrica".

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