venerdì 25 marzo 2011

Illegittimità della cartella esattoriale

Cassazione Sentenza n. 22997 depositata il 12 novembre 2010.

Con la sentenza n. 22997 depositata il 12 novembre 2010, la Corte di Cassazione ha stabilito l’illegittimità della cartella esattoriale che non contenga l’indicazione precisa della data di esecutività. La mancata indicazione nella cartella di pagamento della data in cui sono stati consegnati i ruoli al concessionario della riscossione rende l’atto illegittimo; tale omissione, infatti, non consente al contribuente di verificare l’esatta quantificazione degli interessi liquidati sull’atto e determina una carenza di motivazione della cartella notificata.

Il principio è stato emesso dalla Sezione Tributaria civile della Corte di Cassazione che ha spiegato la ragione sottesa alla decisione adducendo che la stessa è da individuarsi nell’art. 12 n.3 del d.p.r. n. 603/1973, così come modificato dal d. lgs. 46/1999, in cui viene stabilito che la cartella di pagamento deve contenere, tra le altre cose, anche la data in cui il ruolo diventa esecutivo.

In passato,vi era stato un contrasto giurisprudenziale tra le commissioni di merito; che, tra le varie interpretazioni giurisprudenziali, ritenevano che la consegna dei ruoli fosse un fatto interno tra ufficio finanziario e concessionario della riscossione e che, quindi, una sua eventuale omissione non avesse effetti sui rapporti fisco-contribuente. Ciò emergeva in particolare, dal 1 luglio 2005, data in cui è stato abrogato l’articolo 17 del dpr 602/73 (che prevedeva la procedura di riscossione divisa in fasi: iscrizione a ruolo, consegna al concessionario e notifica al contribuente). Dalla stessa data, l’art. 25 della stessa norma prevede che termini decadenziali siano limitati solo alla notifica della cartella al contribuente. Recentemente, con sentenza 487/14/10 del 20 luglio 2010 la Commissione Tributaria del Lazio, aveva stabilito che, in considerazione dell’art. 25 del dpr 602/73, la cartella di pagamento, oltre ai contenuti minimi obbligatori (tributo, periodo d’imposta, imponibile ed aliquota applicata), non necessitava di alcuna ulteriore motivazione particolare. Nello specifico si leggeva che «nella valutazione della tempestività dell’azione impositiva dell’amministrazione finanziaria e in seguito all’evoluzione normativa, non riveste più alcun significato la verifica della data di esecutività dei ruoli o di quella relativa alla consegna degli stessi ruoli al concessionario della riscossione, assumendo, per contro, rilevanza solo la data di “notifica” della cartella».

Pertanto, la recente sentenza della Cassazione ribalta completamente l’ultimo orientamento della giurisprudenza di merito e della Commissione Tributaria del Lazio.

La Suprema Corte stabilisce così un principio di diritto innovativo in base al quale «La legittimità della cartella di pagamento è subordinata alla verifica degli interessi richiesti; il riferimento al calcolo degli interessi dovuti, infatti, non è in alcun modo prescritto dalla normativa di riferimento (art. 12 del dpr 602/73) e appare collegato alla data di esecutività del ruolo, unico dato che ne consente la verifica. È vero infatti che le procedure di formazione del ruolo sono determinate con decreto ministeriale (art. 12, n. 2 del dpr n. 602/1973) e che gli interessi, in base all’art. 2 della legge 29/61, si computano dal giorno in cui il tributo è divenuto esigibile; quindi, la certezza dell’inizio della esigibilità, si può verificare solo dalla precisa indicazione della data di esecutività del ruolo». Pertanto, con questo nuovo indirizzo giurisprudenziale ben delineato e decisamente innovativo, le cartelle esattoriali di pagamento notificate ai contribuenti prive della data di consegna dei ruoli saranno nulle per carenza di motivazione della pretesa creditoria e mancanza di uno degli elementi fondamentali ovvero la data di esecutività del ruolo circostanza che non consentirebbe al contribuente di quantificare e/o controllare esattamente il dovuto anche in base alle modalità di determinazione degli interessi.



Nella cartella esattoriale deve essere indicata in modo dettagliato la modalità di determinazione degli interessi, in modo che il contribuente abbia realmente la possibilità di verificare i calcoli effettuati dall’Agente della Riscossione.

Ciò è quanto emerge da una recente sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Lecce (sentenza n. 206/02/10, liberamente scaricabile dal sito www.studiolegalesances.it – sezione Documenti), la quale evidenzia la mancanza di trasparenza delle cartelle esattoriali.

In merito a tale questione, è bene far presente che da tempo molte associazioni oltre che vari gruppi spontanei a difesa dei contribuenti (si veda ad esempio il sito www.cartellaesattoriale.it o il gruppo di facebook “SOS FISCO” http://www.facebook.com/group.php?gid=118592553830&v=wall ) sono in prima linea nel denunciare la totale mancanza di trasparenza delle cartelle esattoriali.

Recependo proprio questo grido di allarme, i Giudici di Lecce chiariscono che “Il contenuto della cartella non consente di poter operare qualsivoglia controllo dell’operato della Amministrazione Finanziaria. Non vi è dunque trasparenza dell’operato dell’Ufficio in violazione del diritto di difesa del contribuente. Ne segue che gli importi iscritti a ruolo potrebbero essere probabili ma non anche certi e dovuti”.

Ne deriva, pertanto, che solo un atto trasparente e facilmente leggibile (e controllabile) da parte del contribuente può rispettare i canoni di un atto legittimo, in quanto non crea alcun dubbio in merito alle somme richieste.

Infatti, proprio relativamente a questo aspetto i Giudici chiariscono che “A ben osservare, l’art. 12, comma 3 (l’ammontare dell’imposta dovuta nonché quello degli interessi, delle soprattasse e delle pene pecuniarie) e l’art. 25 nonché la ratio dell’abrogato art. 17 del D.P.R. n. 602/73 consente l’iscrizione a ruolo dell’importo dovuto e non anche di somme non dovute” e ancora si evidenzia che “Nel caso di specie l’Amministrazione Finanziaria aveva dunque l’obbligo di provare la legittimità del proprio operato in tema di interessi, esternando l’iter seguito nella determinazione degli stessi” (pagina 5 della sentenza).

Alla luce di quanto illustrato, dunque, per i Giudici di prime cure NON ESISTE UNA PRESUNZIONE DI LEGITTIMITA’ DELLE SOMME PRETESE DALL’UFFICIO, IL QUALE E’ TENUTO A PROVARE LA CORRETTEZZA DELLE PROPRIE PRETESE COME UN QUALUNQUE CREDITORE.

Viene dunque accolta l’eccezione del contribuente, secondo il quale il comportamento adottato dall’Agente della Riscossione determina una grave lesione del diritto di difesa poiché “il contenuto della cartella non consente di operare alcun controllo”.

Oltre a quanto chiarito in sentenza, poi, si tiene ad evidenziare un ulteriore aspetto.

È importante sottolineare, infatti, che gli errori legati al calcolo degli interessi si ripercuotono anche sul calcolo dei compensi di riscossione (cd. aggio) che, come è noto, sono quantificati in base alle singole componenti del credito tributario (interessi compresi).

Appare lampante, quindi, come venga a mancare la certezza delle somme richieste dal Concessionario.

Mancando, dunque, il requisito della trasparenza e della certezza, si ritiene che ne derivi la caducazione del titolo esecutivo (non più certo, liquido ed esigibile) “che può essere rilevata anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio ed anche per la prima volta nel giudizio di cassazione, trattandosi di presupposto dell’azione esecutiva” (sent. Cassaz., sez.III, nr. 9293/2001).

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