martedì 22 febbraio 2011

Goldman Sachs. Una garanzia di fallimento

Goldman Sachs. Una garanzia di fallimento
di Angelo Spaziano - 21/02/2011

Fonte: mirorenzaglia

Chi fosse convinto che sciacalli, iene e locuste impazzano soltanto nelle savane africane o asiatiche dovrebbe andare a dare un’occhiata alla “civilissima” capitale del business mondiale: New York. Più precisamente alla Goldman Sachs Tower di Manhattan. Tutti ricordano un anno fa il fragoroso tracollo della Grecia “eurizzata”. Ma come fu possibile un collasso tanto repentino per un partner comunitario considerato fino a poco prima in una botte di ferro? E’ presto detto.

Il fatto è che Atene, al momento di accedere nell’esclusivo club dell’euro, in realtà aveva i conti messi peggio di quelli del Burkina Faso, ma nessuno lo sapeva. Anzi, no. Uno lo sapeva benissimo. Era la banca d’affari Goldman Sachs. A giudicare dai parametri richiesti dagli accordi di Maastricht, Atene, all’epoca, al massimo avrebbe potuto aspirare a giocare a Rubamazzo insieme all’Argentina dei bond-patacca o allo Zimbabwe dall’inflazione a sei zeri. Invece è stata proprio la Goldman Sachs a dotare Atene di tutti gli strumenti tecnici più sofisticati per truccare i suoi fallimentari bilanci e sviare i sospetti. Poi, una volta ottenuto il sospirato accesso all’esclusivo club della moneta unica, nel 2009 è stata sempre la Goldman a speculare contro il debito greco, essendo perfettamente a conoscenza dello stato di decozione in cui versavano le finanze olimpiche. E da quel momento in poi, mentre gli sciacalli di GS brindavano, la divisa del Vecchio Continente iniziava a vacillare, inseguendo un’emergenza appresso all’altra.La roulette russa innescata da questi incoscienti infatti ha visto andare in fibrillazione, dopo Atene, Dublino, Lisbona, Madrid, e poi…E poi, Dio ce ne scampi, potrebbe toccare a noi. E ancora.

I primi a intuire che la famosa bolla dei subprime era destinata a finire a schifìo furono immancabilmente i tecnici di Goldman Sachs. Ma quei paraculi dei manager dell’istituto d’oltreoceano, anziché allarmare chi di dovere e consentire la messa a punto di adeguati paracadute, fecero di tutto per rifilare le loro scadentissime sòle a degli sprovveduti senza santi in paradiso. Poveri diavoli che da un momento all’altro si ritrovarono in mano portafogli zeppi di titoli legati a prestiti dal valore della carta straccia. Vere e proprie discariche finanziarie costituite da cedole basate su crediti inesigibili.

E poi ci fu l’affare di Facebook. Memore della bolla internet del 2000, allorché Goldman accumulò miliardi d’introiti, la banca statunitense rastrellò un nutrito stock di titoli di Facebook per la bellezza di 450 milioni di dollari per poi rivenderli al suo esclusivo coté. Al momento “buono”, prevedono gli esperti della Goldman, i titoli devolveranno dei rendimenti da capogiro. E gli eletti soci di GS stapperanno bottiglie di Dom Perignon alla faccia dei fessi.

Insomma, dal 2000 in poi non c’è stata escalation speculativa – seguita naturalmente da fragorosi flop – che non abbia visto Goldman Sachs banchettare allegramente sulle carcasse degli incauti caduti nelle sue trappole. E alla luce di queste performances è perfettamente spiegabile la pessima nomea che accompagna gli usurai di Goldman. L’attività di cavalcare cinicamente bubboni speculativi per poi sgonfiarli al momento giusto mandando in malora intere economie è altamente remunerativa. Tant’è vero che pochi giorni fa il New York Times ha rivelato che a fine 2008, allorché il mondo era in preda a scenari da grande depressione del 1929, il gotha di Goldman Sachs, nell’impossibilità di distribuire benefit paragonabili a quelli degli anni precedenti, decise di emettere a favore delle “maestranze” 36 milioni di stock options.

All’epoca il titolo valeva 78 dollari circa. Oggi viaggia attorno ai 175. Vale a dire che i beneficati di quell’impresa di cravattari adusa a fare quattrini sulle sciagure della gente si sono ritrovati in tasca senza colpo ferire una bonanza pari a circa 3,6 miliardi di dollari. Il New York Times ha calcolato che negli ultimi 12 anni la cupola di GS s’è spartita in totale la bellezza di 20 miliardi di dollari. Tanto per fare un esempio, Lloyd Blankfein, uno squalo che nel 2009 ha arraffato 75 milioni di dollari, è riuscito a incassare 450 milioni in titoli (di cui 93 già realizzati).

Neppure la banda della Magliana, con tutto l’armamentario a sua disposizione, avrebbe saputo fare di meglio, confermando il detto secondo il quale “è più onesto svaligiare una banca che fondarla”. Insomma, non sarà facile sbarazzarsi di Goldman. Ma forse sarebbe meglio agire in modo di mettere questo maledetto sciame di locuste in condizione di non nuocere ulteriormente all’umanità.


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