mercoledì 2 giugno 2010

Primi cenni sulla natura del denaro: la “moneta-debito”

Primi cenni sulla natura del

denaro: la “moneta-debito”


Da: MondoRaro

Bene, dopo aver fatto fermentare un po’ le domande nella vostra testa, avviciniamoci alla questione. Partiamo pure dal principio, con calma, visto che nessuno ci mette fretta e che questa rubrica avrà, spero, vita lunga.

Una banalità: sarete tutti d’accordo, spero, che solo il proprietario di un oggetto può venderlo o prestarlo. Altrimenti si tratta prima di furto e poi di frode. Totò che in un film vende la Fontana di Trevi ad un turista, per capirci. Così è stato in ogni nazione, cultura o periodo storico della storia dell’uomo, pena la dissoluzione di una comunità o la perenne conflittualità tra i suoi componenti.

Il denaro non si sottrae a questa regola quindi vediamo a chi apparteneva in passato e a chi appartiene oggi, perché questo è il nocciolo del problema.

Molto addietro, le monete avevano un valore intrinseco in virtù del metallo, oro, argento o altro, di cui erano fatte. La rarità del metallo, ed in parte la sua utilità, era la garanzia del valore della moneta e anche della sua durata nel tempo. Qualche secolo fa, il grande commercio si serviva dei servizi di deposito e prelievo per evitare difficili, rischiosi, poco pratici spostamenti di oro e minerali vari, anche sottoforma di monete. Se si voleva comprare in oriente una bastimento di spezie e non si voleva rischiare di lasciare forzieri di dobloni in fondo al mare, si depositava il metallo prezioso in un vicino “banco” il quale rilasciava appunto una “nota di banco”, un attestato dell’avvenuto deposito, l’antenato della nostra banconota. Poi ci si recava nel lontano porto di partenza del bastimento, dove lo stesso banco aveva una sua filiale, si ritirava l’oro presso questa consegnando la banconota e si pagava così il produttore, evitando ogni pericolo. Per questo servizio il banco riceveva un pagamento.

Col tempo però i banchieri si resero conto che l’oro depositato non veniva ritirato se non in piccolissima parte, perché era molto più comodo operare le transazioni con le banconote stesse. Cominciarono allora a prestare ad interesse l’oro depositato, che ovviamente non era il loro, dato che l’avevano solo in custodia. Avevano però l’obbligo di convertire le banconote in oro qualora i possessori l’avessero preteso e quindi era sempre in agguato il rischio di fare “bancarotta”, cioè di non poter più restituire il denaro altrui. Accumularono comunque molto velocemente una ingente ricchezza in maniera chiaramente immorale e con essa un potere anche politico. Difatti anche gli Stati, nella persona di re e imperatori vari, quando non avevano più sufficienti risorse auree per stampare la propria moneta e soprattutto in occasione di guerre, cominciarono a servirsi del credito delle banche private, ovviamente dovendo rimborsare alla scadenza del prestito anche una certa percentuale di interesse. Fino a che, nel XVII secolo, la Banca d’Inghilterra fu autorizzata a stampare in proprio le banconote relative al debito che lo Stato doveva ancora saldare. Con il tempo tutte le banconote in circolazione divennero quelle stampate dalla stessa banca, che sostituì lo Stato in questa funzione. Nacque così la prima “banca centrale”.

Ricordiamoci però che vigeva sempre la controvertibilità della banconota (di per se senza valore intrinseco), in oro e che quindi la stessa aveva un valore certo, garantito oltre che dalla convenzione, dalla rarità del metallo con cui poteva essere cambiata. Comunque, stampa e presta, ristampa e ripresta senza alcuna copertura, le banconote ad un certo punto finirono per essere davvero troppe, anche tenuto conto che pochi andavano a convertirle in oro. Chi prima chi dopo, gli stati dichiararono che le loro banconote non potevano più essere convertite. La scritta “pagabile a vista al portatore”, che stava stampata sulle nostre vecchie lire, rimase lì per un po’, vera frase senza senso, prima di essere definitivene tolta di mezzo. Le monete assunsero “corso forzoso”, ossia non avevano più copertura aurea ma dovevano essere accettate come “vere” per forza. Per ultimo capitolò il dollaro, con gli accordi di Bretton Woods del 1971, sotto Nixon. Possiamo interpretare questo fatto come l’ammissione di una implicita bancarotta.

Cosa successe allora? Il finimondo? Rivoluzioni e tumulti? Niente, esattamente niente. Tutto andò come era sempre andato, le banche si erano solo liberate di uno scomodo inconveniente: la rarità dell’oro. L’incontrovertibilità in oro avrebbe dovuto illuminare le menti sul fatto che il minerale, come qualsiasi materiale, non aveva niente a che fare col valore del denaro, ma nessuno se ne rese conto.

Purtroppo i cittadini, anche quelli di oggi, non sono a conoscenza di queste vicende storiche e le banche possono continuare a prestare a interesse il denaro, facendo finta che sia il loro, in virtù di riserve che non esistono più. Proseguendo in comportamenti ormai sedimentati e accettati, esse indebitando gli Stati e quindi i popoli con la collaborazione di politici compiacenti. Non a caso Eszra Pound definì i politici, in democrazia, “i servi dei banchieri”.

Solo nelle mente di pochissimi balenò l’idea che il valore del denaro fosse semplicemente nella nostra volontà di accettarlo e nella previsione di scambiarlo con beni. Volontà e fiducia quindi, promessa e mantenimento, insieme ai beni reali prodotti: in tutto ciò non mi sembra che le banche c’entrino molto! Ciononostante il denaro che oggi maneggiamo, ogni singolo euro prodotto dalla Banca Centrale Europea, che sia di carta o di metallo e in qualsiasi taglio, ci è dato in prestito dalla Bce, come se fosse il proprio, senza che ci sia alcuna copertura di valore “reale” a garanzia. Un pezzo di carta colorato, con un po’ di fregi e disegnetti, con su scritto un numero. Nient’altro. Sì, ci viene dato in prestito, ciò significa che lo Stato, cioè noi, deve ridarglielo con gli interessi allo scadere di una cambiale. La cambiale in oggetto è la massa dei certificati di debito pubblico che lo Stato emette per poter ricevere il denaro.

Tra i pochissimi che compresero quale fosse davvero la natura del denaro vi fu una mente di rilievo: l’abruzzese Giacinto Auriti. Egli, con la scoperta del “valore indotto della moneta” e attraverso l’idea di “moneta-debito” aprì gli occhi ad una minoranza. Con l’immagine di questo personaggio, che vi invito a studiare nella rete, chiudiamo questo articolo e riapriremo il prossimo.

Short URL: http://www.mondoraro.org/?p=2603

1 commento:

  1. Nota bene: nell'articolo di MondoRaro ci sono piccole imprecisioni. Ezra Pound disse veramente che i politici erano "i camerieri dei banchieri". Poi, le monete metalliche hanno signoraggio statale, al contrario delle banconote.

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