mercoledì 30 giugno 2010

La crisi economica e la moneta di stato

La crisi economica
di Savino Frigiola - 30/06/2010

Fonte: Arianna Editrice


L’attuale crisi economica è simile a quella del 1929 che ha dato origine alla lunga e “grande depressione”. Anche allora è stata costruita dalla cricca bancaria-monetaria imprimendo sul mercato prima una forte circolazione monetaria, con grandi aperture di credito a basso costo per: mutui, anticipazioni d’ogni tipo, per acquisto di titoli, azioni, derivati, ecc. ecc. La corsa generalizzata all’indebitamento si velocizzò poiché la rendita predisposta sugli investimenti era superiore ai tassi pretesi per le anticipazioni. Successivamente, esattamente come oggi, venne ridotta drasticamente la circolazione monetaria mediante il violento ritiro degli affidamenti poco prima facilmente concessi. La conseguente violentissima deflazione attanagliò tutto il mercato; la massa monetaria si contrasse del 30%: il prodotto interno lordo americano cadde in termini reali del 29%, la disoccupazione salì di oltre il 25%, con conseguenti fallimenti a catena di banche ordinarie, imprese, aziende e società d’ogni tipo, non solo sul mercato americano, ma anche su buona parte del mondo. Anche allora, esattamente come è accaduto oggi, l’apparato politico, su occulta strategia della cricca monetaria, convinse di curare i cracks debitori-speculativi spingendo gli Stati, i quali prima si dovevano indebitatarsi con le banche centrali, a garantire credito e liquidità alle banche ordinarie nella speranza che queste a loro volta favorissero investimenti a sostegno della produzione e dei consumi interni. (allora come oggi, con questa ricorrente tecnica, gli unici a trarne profitto sono state e sono solamente le banche centrali) Nonostante che allora venisse fatto credere a tutti che il valore della moneta dipendeva dall'oro che rappresentava, un gruppo di economisti di Chicago propose un piano di riforma che era l’esatto contrario della «inadeguata terapia» adottata (causa primaria della prolungata depressione) e, se il piano fosse stato accettato dalla leadership politica, avrebbe risanato rapidamente l’economia di allora e scongiurate le crisi che si sono da allora succedute, compreso quella attuale, Nel 1933 il «Piano concepito dalla famosa scuola di Chicago» fu vivamente raccomandato al governo dal professor Irving Fisher di Yale, il più grande economista americano dell’epoca; fu lui il primo a capire e a spiegare che il meccanismo del credito così concepito porta alla creazione di massa monetaria senza controllo; ci scrisse persino un libro: «100% Money» Il Piano di Chicago proponeva che fosse restituito allo Stato il monopolio esclusivo dell’emissione monetaria e che fosse vietato alle banche ordinarie la creazione di pseudo-denaro dal nulla con le riserve di fantasia, imponendo alle banche l’obbligo di riserva del 100%. Oggi, le riserve obbligatorie sono ridicolmente basse, anche meno del 3%. Immaginiamo per semplicità un obbligo di riserva del 10%. Ciò significa (grosso modo) che, quando un risparmiatore deposita sul proprio conto corrente cento euro, la banca con quella «riserva» può concedere fidi e prestiti per 1.000 euro; mille euro che non ha, pseudo-capitale creato dal nulla. Questo consente enormi guadagni indebiti alle banche (che lucrano gli interessi sul denaro che non hanno e che creano dal nulla) ma le rende perennemente e ciclicamente instabili esposte agli umori del mercato: se, neanche la maggior parte dei depositanti andasse infatti a ritirare i propri depositi, come è avvenuto di recente principalmente in Inghilterra, si vedrebbe che la banca è insolvente. Così facendo ci concentrerebbero le risorse per l’economia reale e non per quella creativa, finalizzata quasi esclusivamente al finanziario; le anticipazioni sarebbero determinate non già dalla percentuale di riserva permessa, bensì dalla quantità di risparmio esistente nell’economia reale e dalla quantità di denaro messo a disposizione alle banche ordinarie, finalizzato allo sviluppo, sotto controllo del Ministero del Tesoro, mediante operazioni pronto contro termine a tassi estremamente bassi corrispondenti ai costi di stampa ed amministrazione del denaro. (servizio pubblico reso al mercato). Irving Fisher infatti scriveva: «L’essenza del piano è di rendere la moneta indipendente dai prestiti; ossia separare il processo di creazione e distruzione di moneta dal business bancario. Un effetto collaterale sarebbe di rendere le banche più sicure e profittabili; ma l’effetto di gran lunga più importante sarebbe la prevenzione di successioni di grandi boom e depressioni, ponendo fine ai cronici cicli di inflazione e deflazione che sono stati sempre la maledizione dell’umanità e che sono nati, in genere, dall’attività bancaria» Tutto ciò Fisher e la scuola di Chicago (e Keynes era d’accordo) lo rese noto alla politica sin dal 1933 fornendo anche il metodo per controllare l’emissione monetaria per scongiurare decisioni discrezionali della «politica» che tenderebbe ad alluvionare di liquidità il mercato per ragioni elettorali o clientelari. In sintesi il concetto era semplice: mantenere costante il rapporto tra circolazione monetaria e beni da misurare, come sostenuto sempre anche da Auriti, per non creare squilibri e per poter finanziare la produzione a bassi costi. L’altro economista, James Angell, dimostrò che il sistema proposto poteva essere effettivamente imposto ed applicato per legge. Tutto ciò ovviamente, fu respinto dal sistema bancario poiché non voleva rinunciare agli immensi guadagni-indebiti che lucrava creando denaro dal nulla.

Persino Milton Friedman, a cui si imputa la responsabilità della finanza senza regole, era a favore alla riserva obbligatoria al 100 % da parte delle banche ordinarie. Come Allais, anche Friedman sosteneva che la crescita della circolazione monetaria doveva essere proporzionale alla crescita dell’economia reale, con un tasso d’inflazione moderato del 2% annuo, (da non confondersi con l’aumento dei prezzi) per stimolare e sostenere la produzione e quindi i consumi.

Allora queste teorie trovarono valido sostegno anche nel costatare che mentre tutto il mondo era in recessione, uno dei pochissimi Paesi come l’Italia si trovava viceversa con l’economia in espansione. Non si tardò molto a comprendere che ciò era dovuto all’emissione monetaria diretta praticata dallo Stato italiano il quale monetizzava il proprio mercato nazionale realizzando e pagando, con la moneta acquisita a titolo originario e quindi senza indebitarsi, le opere pubbliche di comune interesse. (ricostruzione di larga parte del territorio nazionale senza aumentare ne le tasse ne il debito pubblico) Ad essere precisi, l'emissione monetaria diretta da parte dello Stato era iniziata circa 50 anni prima ed utilizzata nel corso del regno di Umberto Primo essenzialmente per realizzare le infrastrutture necessarie alla nazione italiana da poco riunificata. In moltissime città italiane è ancora possibile osservare i palazzi ed i quartieri, così detti “umbertini”, con le loro inconfondibili linee architettoniche. Ancora più diffusi ed evidenti i complessi urbanistici ed infrastrutturali realizzati su tutto il territorio nazionale dal 1923 in poi. Grandi opere, imponenti complessi di opere pubbliche, intere città, i grandi acquedotti, le grandi bonifiche, tutte dalle inconfondibili linee architettoniche ispirate a quelle del Piacentini; anche queste realizzate senza indebitare lo Stato, senza indebitare i cittadini e senza aumentare le tasse. Siamo il Paese al mondo che vanta la più lunga esperienza positiva in questo campo. Lungi dall'essere attività effimere, tutto ciò che è stato realizzato in questi due periodi, pur impiegando stili architettonici completamenti diversi, è ancora perfettamente efficiente ed ancora utilizzato in larghissima parte da tutte le pubbliche amministrazioni.

Attualmente ci troviamo nel bel mezzo della crisi economica la quale nonostante la frenetica attività posta in essere per minimizzarla e tutte le riassicurazioni diffuse dagli ambienti politici ed economici, con le terapie in atto ed ancor peggio con quelle preannunciate, non sarà ne breve ne lieve. Questa crisi proprio per come è stata realizzata, è dovuta essenzialmente alla drastica riduzione della circolazione monetaria sull'intero mercato, la qual cosa ha avvizzito la liquidità alle aziende ed imprenditori, che ha ridotto l'occupazione, che ha ridotto il reddito alle famiglie, che sta riducendo i consumi e per logica conseguenza il gettito fiscale. Al di là di tutte le chiacchiere, delle previsioni e delle ipotizzate manovre, si esce dalla crisi solo se si riesce a rilanciare la ripresa economica ed occupazionale dell'intero Paese. Non occorre essere grandi economisti per proporre il taglio delle spese e degli “Enti inutili”, basta solo il normale buon senso, anche se ultimamente pare essere anch'esso, congiuntamente alla liquidità, ingrediente alquanto raro. Qualche dubbio affiora quando si ipotizza di utilizzare il previsto maggior introito fiscale per destinarlo ai banchieri, poiché si agisce nella direzione contraria a quella necessaria per la ripresa della occupazione che risulta intimamente connessa a quella dei consumi. Sottrarre ulteriore liquidità dal mercato sia con la minore spesa che con l'aumento del prelevamento impositivo, per far confluire il tutto alla cricca bancaria-monetaria, si ottiene lo stesso risultato di quando si sottopone l'anemico alla terapia dei salassi giornalieri. Pensare di ridurre il pseudo debito pubblico, formatosi in gran parte con l'attuale perverso sistema di monetizzazione del mercato, è follia pura simile a quella dei grandi economisti che sino a pochi giorni prima dello scoppio della crisi rassicuravano che tutto procedeva per il meglio in nome del liberalismo e nel solco del libero mercato. Di fatto, come è stato ampiamente dimostrato, attualmente l'emissione monetaria avviene con l'accensione del debito pubblico corrispondente, pertanto la follia consiste proprio nel ritenere di poter estinguere un debito con una provvista generata da un altro debito; si rasenta il delirio se si considera che al momento dell'emissione monetaria viene emessa la moneta corrispondente all'importo, ma non quella corrispondente agli interessi pretesi, ragion per cui il pagamento potrà avvenire solamente con l'appropriazione da parte della cricca monetaria dei beni del debitore, sia esso pubblico o privato. La liquidità sottratta al mercato con le manovre delle finanziarie, se si vuole scongiurare lo strangolamento dovuto dalla deflazione prodotta, deve essere riemessa sul mercato, la qual cosa provoca ulteriore incremento del debito. A riprova di quanto affermato basta osservare ciò che accade quotidianamente: il debito pubblico a dispetto di tutti gli strombazzamenti continua imperterrito a crescere, mentre proprietà e beni privati e pubblici, quest'ultimi dietro l'innocente dizione della privatizzazione, passano di mano e finiscono alla cricca bancaria-monetaria. Riteniamo giunto il momento di porre fine a questa nefasta sceneggiata, lo Stato deve smettere d'indebitarsi per monetizzare il mercato o per pagare i sui debiti i cui titoli vengono quotati dalle società di reting quotate in borsa orbitanti intorno al sistema bancario-monetario. Se i titoli di debito dello Stato sono buoni e valgono, al punto da essere accettati e scontati dagli avvedutissimi banchieri privati, debbono valere anche i titoli monetari, emessi dallo Stato, come abbiamo dimostrato di saper fare per oltre cento anni.

Questo è l'unico modo serio e duraturo per uscire dalla crisi economica - lo Stato in nome e per conto dei cittadini deve riappropriarsi della funzione monetaria, battere moneta in proprio, senza pertanto generare nuovo debito al momento dell'emissione, acquisirla per titolo originale incamerandone il signoraggio attualmente carpito dalla Banca Centrale, utilizzandola per realizzare opere ed investimenti, e quindi occupazione, di pubblica utilità. - Per riequilibrare il rapporto tra il sistema produttivo e quello creditizio, occorre ripristinare il divieto prima esistente nella vecchia legge bancaria nei confronti delle banche ordinarie, fondazioni e finanziarie collaterali di possedere quote di partecipazione di qualunque attività produttiva. - Per razionalizzare il finanziario, consentire la vendita di azioni, titoli e materie prime, solamente se le consegne avvengono contestualmente ai pagamenti. (lasciare e confinare il gioco d’azzardo nei casinò e nelle sale bingo) - Il credito e le attività creditizie debbono essere a disposizione del mercato e della produzione nelle modalità sottoposte alla sorveglianza del Ministero del Tesoro. (a meno che non si voglia dichiarare ufficialmente l'inutilità della politica e della democrazia, attualmente ridotta a pura rappresentazione scenica)- Nelle more “occorre uno strumento - supplementare per l’iniezione di liquidità a livello nazionale” (parole di Giulio Tremonti), dalle quali trapela che è arrivato il tempo di ripristinare subito l’emissione monetaria diretta da parte dello Stato, parallela a quella della BCE, come da consolidate esperienze trascorse quando insieme alla moneta della Banca d'Italia circolava anche quella emessa dallo Stato italiano.
- E’ necessario che la politica ritorni ad assolvere la sua funzione primaria al servizio delle persone. Ai politici che non possono o non se la sentono di adeguarsi consigliamo pronte e lodevolissime dimissioni a scanso di ristoro delle prebende percepite per servizi mal forniti. Non può essere più consentito distogliere risorse alla sanità, sicurezza, istruzione, ricerca, produzione-occupazione ed al sociale, per continuare a conferirle ai banchieri.


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