venerdì 9 aprile 2010

Islanda: referendum sul debito, un NO massiccio?

ALPIDICARTA, aprile 09, 2010

« È il 6 marzo 2010 D.C. Tutta l’Islanda si è mobilitata per opporsi al risarcimento del debito della defunta banca online Icesave. Tutta ? No ! Un frastagliato insieme di cittadini islandesi continua a resistere ancora e sempre all’invasore. » .

Dopo lo schiacciante plebiscito del «No! Fuori questione risarcire alle condizioni proposte i 4 miliardi di euro reclamati da inglesi e olandesi», la parte di voti favorevoli al rimborso e il debole tasso di partecipazione sono lì a rammentare l’inizio del celebre fumetto di Goscinny. Anche se paragonato al 93 % di oppositori alla legge Icesave, il modesto 1,8% di votanti a favore è comunque sorprendente. E con un tasso di affluenza di appena il 63%, la mobilitazione degli elettori non è stata in rapporto né con la posta in gioco né con l’ostilità dimostrata dalla popolazione, né tanto meno con l’abituale attitudine degli islandesi. È opportuno rammentare che in occasione delle elezioni legislative la partecipazione dei votanti era stata dell ’85% su 230000 aventi diritto al voto.

Un voto da 4 milardi di euro

Il 6 marzo scorso, gli abitanti dell’isola vulcanica dovevano decidere se « Sì » o « No» fosse giusto pagare per le stupidaggini di qualche dozzina di investitori tanto incompetenti quanto avidi. Una stupidaggine da 4 miliardi di euro, se si aggiungono gli interessi esosi pretesi dai governi inglese e olandese. Sotto la spinta di 60000 cittadini indignati che hanno considerato iniqui sia l’ammontare del risarcimento che le modalità di rimborso, la legge votata dall’Althing ( il parlamento) nel dicembre 2009 è stata respinta il 5 Gennaio da Olafur Ragnar Grimsson, il presidente della Repubblica. Quasi una prima volta dalla creazione del piccolo stato nel 1944. Le trattative con la Gran Bretagna e i Paesi Bassi erano appena riprese e la coalizione di governo di «Santa Johanna» optava, a malincuore, per l’organizzazione di un referendum nazionale. Detto altrimenti, gli Islandesi sarebbero stati chiamati a pronunciarsi su una piattaforma che era nello stesso tempo oggetto di una specie di accordo.

Era necessario rivolgersi agli elfi per predire il risultato del voto?

« Votare “sì” era inutile nella misura in cui la legge del dicembre 2009 non aveva più niente a che vedere con le proposte di accordo già sul tavolo» spiega Thorvaldur Gylfason, da tempo economista per il FMI e professore di economia all’Università di Reykjavik. Per questo personaggio di tutto rispetto, un tempo in lizza per la direzione della Banca Centrale d’Islanda, è questo ciò che contribuisce a spiegare il basso tasso di opinioni favorevoli al rimborso.

134.000 « no », 2.700 « sì » e 92.500 « boh »

La legge non vedrà mai la luce. Amen. Mentre deponevano il loro voto nell’urna, gli islandesi non hanno probabilmente dimenticato la decisione di Gordon Brown di fare di questo piccolo paese senza nemmeno un esercito, una nazione terrorista. I media hanno amplificato questo rifiuto «schietto» e «di massa» , questa «schiacciante vittoria del fronte del No». Una simile interpretazione politica da parte dei media riguardo al voto del 6 Marzo non è stata un tantino rapida? Anche perché, se rapportata al complesso del corpo elettorale, la percentuale di 93% di no risulta essere solo un 60%.

Sono stati in 2699 a votare «Sì». 7000 sono state le schede bianche. E più di 85000 hanno disertato i seggi a dispetto dell’importanza dello scrutinio. Tra questi ultimi vanno contati anche «molti membri del governo, oltre al Primo Ministro e al Ministro delle Finanze che hanno dichiarato che sarebbero rimasti a casa», fa notare Thorvaldur Gylfason, che non ha peli sulla lingua quando parla della classe politica islandese, che giudica « totalmente incompetente». Come immaginarsi François Fillon che organizza un referendum e poi dichiara con nonchalance che non si recherà a votare.

Sono stati dunque 2.699 disposti ad accettare il congelamento della vecchia filiale della Landsbanki, scossa dal gelido vento della crisi finanziaria dell’ottobre 2008. 7000 i chiaramente incerti. 85000 poco disposti a raggiungere i seggi. È stata dunque così schiacciante la vittoria del «No» come si è voluto far credere? E allora quali sarebbero le ragioni di un astensionismo così forte?

Un voto contro l’opposizione

Come molti Islandesi, Petrìna Ròs Karlsdòttir si divide fra più lavori. Questa interprete, che fa traduzioni giurate, insegnante di francese e guida turistica, suggerisce che il «sì», visto all’ombra delle schede bianche o del boicottaggio puro e semplice delle urne, potrebbe rappresentare una sorta di voto di sfiducia nei confronti del Partito Conservatore (Partito dell’Indipendenza) che molti ritengono abbia contribuito in parte considerevole alla crisi finanziaria. Un partito al potere da venti anni, di cui la figura di spicco fu David Oddson, ex patron della Banca Centrale al momento del crash. «Tre dei principali partiti politici hanno accettato denaro da parte delle banche e dalle imprese ad esse collegate negli anni che hanno preceduto la crisi» rincara Thorvaldur Gylfason, che tiene ad aggiungere che «secondo un recente sondaggio solo il 13% dell’elettorato ha fiducia nel parlamento».
A chi conveniva dunque il voto in un simile contesto di sfiducia?

Una manifestazione di dignità
Altri invece, per giustificare la propria scelta di votare «sì» tirano in ballo un soprassalto di orgoglio e di fierezza. Con alle spalle l’esempio di quei vichinghi coraggiosi, che, per estendere le loro zone di pesca, intaccarono le certezze della Perfida Albione, al tempo della guerra dei merluzzi. «Avrei votato Sì per farla vedere a quelli che guardando all’Islanda pensano “poverini” o “idioti”. Gli Islandesi non avrebbero più l`aria dei colpevoli che hanno fatto il casino ma poi non vogliono assumersi le responsabilità», spiega una studentessa ventenne da qualche mese a Parigi. Un’opinione condivisa da molti elettori, compresi quelli che non hanno voluto recarsi alle urne.

Una parodia della democrazia

È la sensazione di una islandese che vive in Francia e che preferisce restare anonima, tenuto conto del posto che occupa. Venendo a sapere che la promotrice del referendum Johanna Sigurdardottir non sarebbe andata a votare, ha alla fine rinunciato ad inviare la sua scheda per farla vidimare. Un «sì» che si è dunque trasformato in astensione. Per lei, significa: «Fottersene altamente della gente, oltretutto chiedendo loro di esprimersi su qualcosa di già deciso; e in aggiunta non chiedere il loro parere su questioni importanti, ad esempio sull’impianto della produzione di alluminio, che abbassa sensibilmente il valore del “patrimonio ecologico Islanda” e che è costata un sacco di soldi allo stato islandese».

Una perdita di tempo e di soldi

Ma il tempo speso in chiacchere vane e il costo esorbitante della crisi che cresce ogni giorno, hanno un certo peso tra le motivazioni degli astensionisti e degli islandesi favorevoli ad una soluzione rapida. Thorvaldur Gylfason lo dice chiaramente: «Queste polemica su Icesave avrebbe dovuto essere risolta nel primo semestre 2009, così da permettere al governo di concentrarsi in seguito sugli sforzi di ricostruzione del paese, in collaborazione con il FMI. I ritardi accumulati nella messa in opera di un piano di salvataggio sono stati costosi dal punto di vista economico e hanno contribuito a deteriorare il clima politico».
In realtà i risultati di queste elezioni sembrano molto più complessi di quanto non abbia rilevato l’analisi frettolosa della stampa. Mettendo da parte il dato dei «No» e tralasciando l’attenzione su questo insolito tasso di astensione, i media hanno ignorato due realtà, due concezioni che si opponevano. Perché se la stragrande maggioranza degli islandesi si trova d’accordo nel giudicare questo debito come ingiusto e ingiustificabile, tuttavia è ugualmente diviso sulle modalità di risarcirlo.
È possibile, se non probabile, che la molto attesa pubblicazione dei risultati dell’inchiesta aperta per accertare i responsabili della crisi finanziaria islandese (inchiesta a cui partecipa anche il giudice Eva Joly) permetterà di unire di nuovo i discendenti di Hrafn Hoengsson, il primo capo del primo parlamento europeo della storia. Il giovane stato islandese meriterebbe di uscire alla svelta e in modo onorevole da questo vulcano in eruzione, per tornare a perpetuare un’indipendenza acquisita a caro prezzo.

Grazie per la traduzione comedonchisciotte.org a cura di Sascha Corsini

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