mercoledì 21 aprile 2010

Articolo di Marco Della Luna


Molti mi criticano dicendo che dovrei occuparmi non solo di teoria e analisi
del sistema, soprattutto monetario e bancario, ma anche di proposte concrete
per un cambiamento che porti alla tutela degli interessi della collettività,
della popolazione generale, anziché delle élites. Questo articolo inizia a
spiegare le cause per le quali un movimento popolare efficace in questo
senso non può venire in essere, sicché non ha senso logico impegnarsi per
essi.



Le singole persone, perlopiù, si curano ciò che è semplice e di immediato
loro personale interesse, e non sono interessate ad apprendere e capire le
cose di interesse collettivo – cose di legge, di tecnica, di economia –
soprattutto quando per apprenderle e capirle c’è da impegnarsi con metodo e
durar fatica. Ma anche quando apprendono e capiscono, non ritengono. E posto
che ritengano, non mettono in pratica. E, se alcune mettono in pratica, non
perseverano. E se anche perseverano, non si coordinano tra loro. E
quand’anche si coordinino, poi si dividono in fazioni che perseguono fini
divergenti e rivalse interne. E anche ammesso che, per un certo tempo, non
si dividano, e che riescano a cambiare l’ordinamento, come avviene nelle
rivoluzioni popolari, poi finisce che al potere vanno dittatori che tutto
fanno, fuor che l’interesse del popolo che hanno cavalcato, e che fan presto
rimpiangere il precedente regime. Il comportamento popolare non è, inoltre,
mai razionale. E non mi riferisco tanto alla razionalità limitata da
distorsioni cognitive dei comportamenti utilitari ispirati dal principio
dell'utilità attesa (modello liberale-illuminista-cartesiano), indagata e
sperimentalmente dimostrata da autori come Tversky e Kahneman, quanto alla
molto più politicamente influente irrazionalità emotiva, indagata e
sperimentalmente dimostrata da scienziati come Antonio Damasio e Drew
Westen. Per tali cause, mai dal basso, ossia dalla consapevolezza e dalla
volontà dei singoli, si è formato un movimento democratico e consapevole in
grado di correggere le cose per l’interesse generale. Ma tutto questo è
palese, se si è disposti a guardare. Quindi guardiamo dentro le cose.
Guardiamo come funzionano.



Senatores boni viri, senatus mala bestia. Il senato, cioè il gruppo, non
solo perde, rispetto ai singoli senatori, la qualità di "buono", divenendo
"malo", ma perde anche la qualità più profonda, quella umana, assumendo
quella di "bestia", ossia diviene sub-umano. Quest’antica massima esprime
una profonda e pratica realtà psicosociale: il comportamento sociale,
gruppale, aggregato, non ha le caratteristiche (l’ordinatezza, la
ragionevolezza, la moralità) dei singoli componenti del gruppo, della
società. Il comportamento dell’insieme di molte persone intelligenti non è
intelligente. Pensiamo a un’aula universitaria in cui scoppi un incendio:
gli studenti, tutte persone abbastanza intelligenti e consapevoli, si
accalcano all’uscita e la intasano, sicché la fuga viene rallentata. Il
comportamento intelligente sarebbe, invece, che uscissero a due o a tre –
quanti ne passano per la porta alla volta. In tal modo si avrebbe la massima
rapidità di deflusso. Pensiamo a un banco di merluzzi vicino a un’isola di
pescatori. Ogni singolo pescatore sa che è interesse comune non pescare più
merluzzi di quanti ne nascono, altrimenti il banco si estingue. Ma, in
simili situazioni, se non vi è un regolatore esterno e dotato di potere
persuasivo-repressivo, si nota che ciascun pescatore si precipita a pescare
quanti più merluzzi possibile, perché si aspetta che ciascun altro pescatore
faccia altrettanto, e che quindi il banco si estinguerà presto. Questa mutua
aspettativa porta, in effetti, al rapido esaurimento del banco, cioè di una
risorsa rinnovabile.



Per impedire che il comportamento collettivo e dei singoli, nella sua
irrazionalità e competitività, produca eccessivi danni, l’organizzarsi della
società in ordinamento giuridico istituisce poteri di regolamentazione,
condizionamento (educazione, propaganda) e repressione, che operano sia come
freni e barriere, sia, quando occorre, come incitatori all'azione di massa.
Il corpo sociale ha necessità che qualcuno eserciti su di esso tali poteri
di corodinamento-contenimento, per non agire in modo disfunzionale e
autodistruttivo. Peraltro, come abbiamo ampiamente illustrato in
Neuroschiavi, la psiche dei singoli è essa stessa tanto incoerente e
irrazionale, nella quasi totalità della popolazione, che il potere politico
non può che essere autocratico, coercitivo e manipolatorio. E chi detiene
questi poteri li usa innanzitutto nell’interesse suo proprio, e solo
subordinatamente e strumentalmente per il fine (legittimante) a cui
dichiaratamente gli sono stati conferiti, o da sé li ha assunti. Perciò
questo soggetto si trova in un conflitto essenziale di interesse con i
governati, e al contempo è funzionalmente indispensabile ad essi.
Funzionalità e conflitto, le due principali prospettive della sociologia,
sovente viste come contrapposte, sono invece i due aspetti della medesima
realtà: il corpo sociale si organizza attraverso differenziazione delle
funzioni-specializzazioni, la quale produce stratificazione di conoscenza,
potere e ricchezza, quindi conflitto di interessi; lo stesso camuffare il
conflitto di interessi onde prevenire lo scontro sociale (di classe), è una
delle funzioni fondamentali dell’organismo sociale, che mantiene la
credibilità e l'apparente legittimazione dei poteri di cui esso ha bisogno e
che in ogni caso genera.

A cagione del conflitto di interesse del soggetto detentore di quel potere
rispetto alla collettività, l’azione di questi, ai fini del bene collettivo,
è sempre meno o molto meno efficiente di quanto potrebbe essere; ma è pur
sempre utile, sinché non degenera fino a divenire, come nell’Italia odierna,
pura attività di parassitismo e sfruttamento di una casta senza efficacia di
gestione e totalmente protesa a perpetuare se stessa e ad ampliare le
proprie rendite di posizione a spese della componente produttiva.



Abbiamo detto di come le qualità delle singole persone non si traducono
affatto in comportamenti collettivi aventi medesime qualità delle persone.
Vi è una discontinuità o eterogeneità qualitativa, un gestaltismo inverso:
il comportamento dell’insieme ha proprietà di “ordine” (efficacia,
consapevolezza) inferiori a quelle delle competenze individuali, perché i
comportamenti individuali, nel gruppo, non si coordinano tra di loro in modo
da ottimizzare l’efficacia, e sovente si contrastano nel competere; inoltre
i singoli, agendo in gruppo, perdono le capacità logiche ed etiche (senatus
mala bestia). Affinché si produca un coordinamento efficace del
comportamento di più soggetti, piuttostoché caos e competizione, non basta
che ciascuno di essi sappia o possa capire e figurarsi come essi avrebbero
convenienza a coordinare i loro rispettivi comportamenti. Quindi il
diffondere la conoscenza di tale convenienza non è idoneo a produrre quel
coordinamento. Non è idoneo, né indispensabile, perché il coordinamento può
essere prodotto anche senza consapevolezza dei singoli dall’azione di un
potere che li comanda. Inutile, ossia inefficace, ai fini del produrre il
coordinamento, è il diffondere la consapevolezza (dei conflitti di interesse
verticali, dei conflitti di classe): per quanto si moltiplichi il numero o
la percentuale delle consapevolezze individuali, non ne nascerà mai
un’azione di massa auto-coordinata, dal basso. Al più si otterrà l’effetto
di creare il presupposto per un’azione di masse guidata e strumentalizzata
da un coordinamento insurrezionale – cioè dall’alto. Così, infatti, dalla
rivoluzione sovietica e da tutte le rivoluzioni in cui le masse agivano
spinte dalla coscienza di un conflitto di classe, sotto la guida di un'élite
politica rivoluzionaria, sortirono regimi in cui l'élite partitica era
proprietaria assoluta dello Stato stesso, cioè regimi ancora più classistici
ed elitistici di quelli che essi sostituivano. Come diceva Talleyrand, il
popolo è come certe medicine: lo si deve agitare prima dell'uso. Intuizione
confermata dalla recente ricerca delle neuroscienze e della psicologia
sociale: le campagne elettorali, le battaglie politiche, si vincono con la
capacità di suscitare emozioni irrazionali, non mediante informazioni
corrette e proposte razionali (Drew Westen). Le emozioni instillate,
coltivate e direzionate coordinano il popolo nell'azione di massa, violenta
o non violenta.



Ma, per riprendere il tema delle suddette discontinuità tra i vari livelli,
e tralasciando la specificità del rapporto a due e di coppia rispetto al
rapporto a più di due, possiamo riconoscere e descrivere ulteriori
discontinuità qualitative di questo tipo – direi cinque, che denominerò, un
poco arbitrariamente, come segue: la discontinuità pubblica, la
discontinuità empatica, la discontinuità emotiva, la discontinuità
contabile, la discontinuità dominativa. Ciascun tipo ha suoi fattori
motivazionali (motivatori), peculiari e diversi da quelli degli altri tipi;
cosicché è fallace cercare di interpretare o correggere il comportamento di
un tipo in base ai motivatori efficaci per un altro tipo. Possiamo
accumulare una grande quantità di un motivatore valido su un certo piano,
ma, per quanto accumuliamo, non otterremo un fattore attivo su un altro
piano, oppure otterremo qualcosa, ma di segno e direzione diversa rispetto
al piano sottostante. Così come possiamo mettere insieme moltissimi buoi
adatti per tirare l’aratro, ma non otterremo da essi nemmeno una goccia di
latte.



Definisco “discontinuità pubblica” il fatto che, mediamente, una
persona comunica e interagisce in modo informale e spontaneo entro gruppi
fino a 7 membri; oltre tale numero di componenti, assume le formalità e
autocontrollo tipiche del rapporto col pubblico, cioè parla e si atteggia in
modo studiato e finalizzato.

Definisco “discontinuità empatica” il fatto che, mediamente, una persona
prova empatia, ed è quindi regolata nei propri comportamenti non solo dal
proprio interesse, ma pure da empatia, solidarietà, senso di responsabilità,
affettività verso gli altri membri del gruppo in cui è inserita, se il
gruppo non supera le 30 persone. In ambiti sociali più larghi, in cui non
prevale il rapporto interpersonale diretto, e soprattutto nelle grandi
organizzazioni formali, l’empatia non è efficace come regolatore degli
egoismi, degli opportunismi, della competizione. Per tale ragione, sono
infondate le proposte di alcuni contemporanei autori, come Lakoff e Rifkin,
che preconizzano un ordinamento sociale fondato sull’empatia. L'empatia può
regolare i rapporti entro una cerchia di amici, o di membri di
un'associazione assai attiva e partecipata, o di un gruppo sociale primario
- ma con l'avvertenza che l'empatia può anche essere inversa, ossia non
amichevole, ma ostile: antipatia, inimicizia, piacere nel vedere l'altro
umiliato, isolato, punito, perdente. La possibilità della funzione empatica,
insomma, non è affaqtto garanzia che il gruppo in questione sviluppi
automaticamente un'empatia amichevole e solidale. Vale invece come
indicazione di investire impegno e aspettative di un certo tipo in gruppi
contenuti entro il limite dimensionale.

Definisco “discontinuità emotiva” il fatto che le emozioni (ideali,
coscienza morale, sensi di colpa, amore, odio, paura, valori etici, norme
religiose) vivono e agiscono solo nella psiche delle singole persone
concrete (influenzando talora in modo anche estremo, le loro scelte; mentre,
al contrario, non sono ovviamente percepite da soggetti impersonali, ossia
dalle organizzazioni formali, come banche, assicurazioni, società
commerciali, religioni organizzate, sindacati, partiti politici; perciò è
fallace affermare che il comportamento “immorale” (rectius: a-morale)
(contrario agli interessi collettivi e al bene dei singoli) dell’economia o
della finanza o del capitalismo o della politica sia dovuto alla perdita di
valori etici da parte dei singoli, e che un recupero di tali valori e
sensibilità da parte dei singoli potrebbe correggere il sistema (in questo
senso, è errata la lettura e la proposta dell'enciclica Caritas in
Veritate). Fallace è pensare di rieducare la popolazione generale, o gli
imprenditori, i politici, i banchieri, ai “valori”. Fallace è progettare di
costituire movimenti politici basati su di essi, o sui rapporti e gli
affetti umani, solidali, empatici. Fallace è affidare istanze ideali ed
etiche interiori a soggetti come partiti politici, chiese, grandi
organizzazioni. Fallace e pensare che un piccolo gruppo attivista
empaticamente ed eticamente motivato possa crescere a movimento politico
mantenendo il suo motivatore empatico ed etico: il movimento politico
comprende sempre, per funzionare quindi per esistere, una gerarchia, i cui
capi sviluppano interessi propri (diventano un gruppo di interesse
organizzato) e adottano i criteri decisionali quantitativi, di cui sotto,
dato che col denaro che ricavano dalla loro azione politica possono pagarsi
i sostegni interni ed esterni per andare e restare al potere.

Definisco “discontinuità contabile” il fatto che i gruppi di interesse
organzzati, e soprattutto i grandi soggetti decisori e operatori, a livello
nazionale e globale, ossia le grandi organizzazioni imprenditoriali –
banche, finanziarie, grandi industrie, che prendono le decisioni più
condizionanti, più strutturanti per la vita sociale – hanno processi
decisionali formalizzati, e guidati dal perseguimento del massimo profitto
contabile, monetario, numerico, matematico. Tra le varie opzioni, adottano
quella più profittevole in questi termini contabili. Emozioni (ideali,
coscienza morale, valori, dignità dell'uomo, vità, libertà, amore, odio,
paure, ricordi, etica) semplicemente non entrano nel processo decisionale,
come non entra tutto ciò che non sia valore di scambio, che non sia
contabilizzabile, traducibile in numero, trasformabile in denaro. Uno slogan
di un partitino comunista enuncia: “La nostra vita vale più dei loro
profitti”. Verissimo: per noi la nostra vita vale più dei profitti delle
multinazionali. Ma per le multinazionali e i loro processi decisionali
contabilizzati la vita, come tale, non è un valore, non entra in
contabilità. Non è nemmeno questione di più o di meno. Non entrano in essa,
insomma, i valori qualitativi e non scambiabili, la fruizione diretta di
beni, le bellezze naturali e artistiche, l’ordine pubblico, la sanità
pubblica. Neanche l’assetto ambientale entra – quindi l’economia degli
scambi non si cura, se non incidentalmente e strumentalmente, del supposto
biologico dei suoi operatori, e può comprometterlo. Oppure quei valori vi
entrano in modo distorto, mercificato, ossia tale da tradurli in numeri
appostabili in bilancio, e con peso inversamente proporzionale alla loro
distanza nel tempo a venire: ossia un profitto di 10 in tre anni pesa molto
più, decisionalmente, del danno di 100 fra 20 anni che esso comporta. Meglio
un uovo oggi che una gallina domani. Perché il processo decisionale è una
gara tra business plans – e chiunque abbia analizzato un business plan
capisce al volo questo concetto: la scelta risulta dal confronto tra
grandezze quantitative, cioè numeriche, cioè pecuniarie. Le grandezze
monetarie si rapportano solamente alla grandezza temporale, al fattore
tempo – un altro fattore quantitativo e monetizzabile, sotto forma di
interessi e ammortamenti.

Definisco “discontinuità dominativa”, infine, il fatto che, ad altissimi
livelli di ricchezza e potere sui mercati (cioè di influenzare e dirigere i
mercati) e sulla politica, i massimi operatori economici mondiali non
perseguono come fine primario il profitto contabile, ma il dominio stesso
sulla società (ora, sulla società globalizzata), la radicalizzazione di
esso, la sua stabilizzazione, la preservazione del suo oggetto, cioè della
biosfera. A questo livello, che trascende i criteri decisionali del livello
contabile, si può dunque anche deliberare ed eseguire la distruzione di
ricchezza (reale o finanziaria) al fine di stabilizzare il sistema (ad es.
distruggendo ricchezza finanziaria in eccesso) e di migliorare od estendere
il dominio, eliminando oppositori e resistenze. Oppure si può deliberare e
produrre una recessione economica globale al fine di salvare la Terra
dall’inquinamento e dall’esaurimento delle risorse limitate. Questo è dunque
il livello motivazionale da cui può nascere una tutela ecologica contro
l’interesse dell’economia predatoria e la logica della massimizzazione del
profitto.

Faccio notare che è da quest’ultimo livello, che si sarebbe dovuta iniziare
l’esposizione delle discontinuità, perché questo livello è il livello più
alto, e struttura, a caduta, il contesto in cui operano i soggetti degli
altri livelli.





Ora, per completare la risposta a chi mi rimprovera di non impegnarmi o di
non fare proposte per un cambiamento sociale attraverso l'informazione e la
mobilitazione popolare, non mi resta che da osservare, in primo luogo, che
vi sono sempre stati sia i teorici che i pratici, e che nessuno è tenuto ad
esser sia l'uno che l'altro; e, in secondo luogo, che chi vuole fare il
pratico, ossia mettersi a spiegare al popolo il signoraggio privato etc. al
fine di smuovere il popolo a ribellarsi, bisogna che abbia molto tempo da
perdere, perché, anche se la popolazione generale lo ascoltasse, lo capisse,
e ricordasse - anche se, quindi, si diffondesse la conoscenza popolare di
queste cose, non ne sortirebbe affatto il desiderato mutamento di sistema,
ossia la sovranità monetaria popolare, perché l'accumulo di informazione o
infarinatura popolare è incapace, qualitativamente, di produrre mutamenti
sistemici. Al più, creerà le condizioni politiche (ossia, produrrà consenso
elettorale o persino motivazione allo scontro sociale anche rivoluzionario)
perché una forza politica, promettendo di voler attuare la sovranità
monetaria popolare ponendo fine a quella provata, adoperi il consenso
popolare per prendere, in tutto o in parte, la sovranità monetaria a favore
dei propri capi. Così come l'accumulo di informazione sul conflitto di
classe portò in Russia a una rivoluzione che confermò il sistema classista,
cambiandone soltanto i beneficiari.

L'accumulo di informazione e sensibilizzazione popolare sui temi ecologici,
iniziato circa 40 anni fa, e ampiamente riuscito a livello di base, non ha
affatto corretto il processo di inquinamento e di esaurimento delle risorse
da parte dell'industria - perché i valori ambientali non entrano, per loro
natura, nella contabilità delle società industriali, che prendono le
decisioni e dirigono lo sviluppo, né in quelle dei partiti politici, che
fanno accettare tali esigenze alle popolazioni. La gente, sebbene informata
e sensibilizzata, ha continuato a comperare prodotti inquinanti, a lavorare
per l'industria inquinante, a investire i azioni e obbligazioni
dell'industria inquinante. La campagna di informazione e sensibilizzazione
ha però avuto un notevole e diverso effetto: ha reso la popolazione
disponibile a pagare di più per tasse ecologiche, tariffe ecologiche,
prodotti e servizi ecologici o supposti tali (infatti alcuni hanno un
effetto ecologico dubbio, altri negativo, come le marmitte catalitiche e i
pannelli solari); l'ha resa elettoralmente guidabile mediante promesse e
allarmi ecologici; l'ha resa favorevole a massicce spese di denaro pubblico
in riferimento all'ecologia - ha insomma creato le condizioni per un vasto
business "ecologico" che, esso sì, entra, con le sue somme, nella
contabilità dei grandi soggetti industriali e finanziari che prendono le
grandi decisioni.

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