mercoledì 17 febbraio 2010

PARASSITISMO POLITICO E STATO MODERNO

Alessandro Vitale
PARASSITISMO POLITICO E STATO MODERNO

Il potere dello Stato si espande vertiginosamente a partire dal XVIII secolo e parallelamente dilaga la burocrazia, che assume l'autonomia di "Corpo dello Stato" (in Prussia e poi con Napoleone si passa dalla burocrazia nobiliare "al servizio del re" ai funzionari che rendono possibile l'accentramento politico totale), finanziata con la parte di prodotto interno lordo incamerata dal governo. Solo le limitazioni consuetudinarie impediscono ancora che il potere politico debordi, ma presto verranno scavalcate con l'elaborazione positiva di un corpo separato di leggi pubbliche che spezzeranno il rapporto fra legge e giustizia. Le attività della burocrazia vengono garantite da responsabilità pubblica e il diritto amministrativo viene finalizzato a garantire l'obbedienza e non a proteggere diritti violati. In questa fase, così, la regolamentazione giuridica dell'attività esecutiva del governo favorisce un sistema di metodica oppressione da parte di burocrati aggressivi che non tollerano l'iniziativa privata e l'associazione volontaria. L'apparato di dominio del nascente potere statale si amplia fino a far passare il ristretto circolo di corte alle centinaia di migliaia di detentori di cariche. Tra la fine del XIX secolo e i primi decenni del XX si vedrà questo apparato aumentare per numero del 500%. In base a una sorta di "legge di persistenza degli apparati" le burocrazie sono poi a lungo riuscite a difendere e ad alimentare sé stesse, gestendo risorse sempre più ingenti e indipendentemente dall'utilità e dall'efficacia delle loro prestazioni. L'avvento del Costituzionalismo e del parlamentarismo sottrae la burocrazia al controllo esclusivo del sovrano, ma la fa cadere nelle braccia del nuovo "vero sovrano": le caste di "politici" seduti in Parlamento, che si incaricano della soddisfazione di un numero crescente di bisogni. Con lo Stato "produttore di servizi" e "redistributore", la burocrazia diventa parte in causa: dalla neutralità rispetto agli "interessi privati" e dall'eguaglianza formale di trattamento dei cittadini si passa all'applicazione di leggi non più generali ed astratte, ma volte a produrre vantaggi parassitari per alcuni strati.

Per finanziare le guerre (anche mediante le forme di assistenza necessarie ad avere soldati preparati) e l'espansione burocratica, la tassazione regolare decolla, portando al Tax Leviathan contemporaneo, nel quale il parassitismo trionfa. I principi che avevano sempre storicamente limitato il potere di tassare, quali la protezione del diritto naturale, il rispetto degli statuti e delle leggi consuetudinarie, l'urgens necessitas (essendo ancora inesistente il concetto di "fabbisogno pubblico"), la tassazione dei beni e non delle persone, il consenso all'imposta e alla sua destinazione (superstite oggi non a caso solo nella Confederazione Elvetica), la proibizione di una exactio inaudita (che saranno alla base dello stesso Costituzionalismo moderno, a partire dalla Magna Charta), il riconoscimento della legittimità a un'imposta solo se è legittimo il modo in cui le risorse prelevate verranno spese, la separazione fra potere di tassare e potere di spendere, finiranno per essere scavalcati nell'epoca contemporanea, pur dopo numerose rivoluzioni scoppiate per difenderli. Come ha notato Charles Adams, ci troviamo oggi in tema di tassazione in un mondo precedente alla Magna Charta Libertatum (1215). Il risultato è un livello di tassazione che ha superato qualsiasi immaginazione potessero avere i rivoluzionari olandesi, inglesi, francesi o americani, costretti a pagare imposte infinitamente inferiori a quelle dei sudditi degli Stati contemporanei. L'evoluzione è stata estremamente rapida. Ai tempi di Adam Smith una pressione fiscale molto più bassa rispetto a quella odierna era considerata sufficiente per dare inizio a una rivoluzione. Fino alla Rivoluzione francese la pressione fiscale massima ammessa era del 5-8% delle risorse legittimamente prodotte (tranne l'alcabala nelle Province Unite olandesi, del 10%, che infatti scatenò la rivolta); per sei secoli non superò mai quel livello. Nel 1888 l'economista francese Paul Leroy-Beaulieu sosteneva che il prelievo fiscale del 12% della produzione nazionale era già esorbitante e gravido del pericolo di affossare la crescita economica e la libertà. Dopo la prima guerra mondiale il massimo accettato era il 15%. Quarant'anni dopo Leroy-Beaulieu, Keynes valutò nel 25% il massimo eventualmente tollerabile. Oggi si è giunti a una pressione fiscale che ha raggiunto il 50% del Pil e che con la fiscalità implicita (il disavanzo pubblico) arriva al 60% della ricchezza annua prodotta, senza che gli economisti neokeynesiani profferiscano parola.

[In Nuova Storia Contemporanea, Anno XIII, Numero 6, pp.21-22, conferenza tenuta il 25 marzo 2009 al Centro Congressi dell'Unione Industriale di Torino per conto del CIDAS]

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