giovedì 29 ottobre 2009

Il Pound editore le cantava belle alle banche usuraie

Il Giornale, 29 ottobre 2009, 07:00

Il Pound editore le cantava belle alle banche usuraie

di Daniele Abbiati

Il Deuteronomio è chiaro come il sole: «Tu presterai a molte genti, e tu non prenderai nulla in prestito; e signoreggerai sopra grandi nazioni, ed esse non signoreggeranno sopra te» (15,6). Ecco fatto: è nata l’economia. Peggio, sono nate le banche.
Il lettore non tema, la foliazione del Giornale non è impazzita. Qui di economia si t
ratta, è vero, ma di quella particolare economia «eretica» e in fondo poeticamente utopica che porta la firma di un sottoscrittore (né di bond argentini, né di altre diavolerie...) che più eretico non si può: Ezra Pound. Per il quale non vale l’antico adagio «nomen omen» in quanto, pur chiamandosi Pound, cioè «sterlina», si rifiutò di battere moneta, preferendo battersi contro la moneta. Cioè contro l’usura. E non ci riferiamo tanto al saggio di Giano Accame Ezra Pound economista. Contro l’usura (Settimo Sigillo, 1995), quanto a una chicca ora proposta per la prima volta in italiano e dal titolo inequivocabile: Storia dei crimini monetari (excelsior 1881, pagg. 262, euro 15,50, traduzione di Luca Gallesi).
L’autore di questo volume che potrebbe con pieno diritto fregiarsi del sottotitolo «Il libro nero delle banche» è Alexander Del Mar (1836-1926), definito così dal «miglior fabbro» dei Cantos: «Il più grande storico americano, che prosegue l’opera di Mommsen e, come Louis Agassiz e Leo Frobenius, mette in pratica l’insegnamento di Alexander von Humboldt di raccogliere e ordinare un gran numero di fatti isolati per riuscire poi a costruire delle idee generali». L’affinità elettiva che legava i due si materializzò quando mister Sterlina era diventato... mister Dollaro. Ecco come.
Dopo la prigionia pisana, fu l’ospedale criminale federale di St. Elizabeths (Washington) a spalancare le porte al poeta, accusato di alto tradimento. Fu una detenzione di lavoro: Pound ne approfittò per dirigere una nuova collana della piccola casa editrice newyorkese Kasper and Horton che si chiamava... «Square Dollars Series». E fra i volumi a buonissimo mercato (un dollaro, appunto) covati e fatti dischiudere da lui, spicc
a proprio quello di Del Mar, dalle origini spagnole ed ebree e dal piglio, economicamente parlando, poco yankee. La carriera di Del Mar non fu quella del classico studioso emarginato e solitario. Segretario del Tesoro e membro della Commissione monetaria, creò e diresse l’Ufficio di statistica degli Stati Uniti. Fu inoltre delegato ai congressi internazionali monetari di Torino (1866) e di San Pietroburgo (1872). Insomma, un pezzo grosso.
Ma un pezzo grosso con in testa una convinzione poco progressiva (oggi diremmo poco creativa...) della finanza. In particolare delle finanze dello Stato e dei singoli cittadini. «Del Mar credeva - dice Francesco Merlo nella “Prefazione” all’edizione di excelsior 1881 - che qualsiasi cambiamento del valore della moneta fosse un attentato alla sovranità dello Stato, al benessere dei cittadini e alla solidità delle banche». Egli «sognava una moneta immodificabile, non convertibile in metallo: valore assoluto». Qualcosa, insomma, da non affidare, pena una criminale instabilità, a mani private. Il titolo originale del suo libro era Barbara Villiers, or a History of Monetary Crimes. La Villiers, spiega Gallesi, «era l’amante di Carlo II, il sovrano Stuart chiamato a restaurare la monarchia dopo la parentesi repubblicana di Cromwell. A lei il re concesse di usufruire delle rendite del signoraggio, e tramite questa dama la nuova élite emergente di orafi e banchieri riuscì a ottenere che il privilegio dell’emissione di denaro, fino allora prerogativa reale, passasse in mani private».
La decadenza dell’Occidente origina da quel momento. E Pound, estimatore di Del Mar, per parte sua fissa una data precisa: il 1694, l’anno della fondazione della Banca d’Inghilterra. Sappiamo che l’autore dei Cantos le cantava belle ai fan del mercato. Per esempio: «I liberali che non sono tutti usurai, dovrebbero spiegarci perché gli usurai sono tutti liberali...». Sappiamo anche che, come Clifford Douglas, riteneva che la differenza fra salario e potere d’acquisto dovesse essere colmata dallo Stato con l’emission
e corrispondente in carta moneta di un «credito sociale». Sappiamo però anche che il poeta non prediligeva, diversamente da Del Mar, la moneta immortale, bensì, come Silvio Gesell, quella «prescrivibile»: una moneta emessa dallo Stato e affrancata ogni mese con una marca da bollo pari all’1 per cento del suo valore nominale, pena la sua invalidità, così che in cento mesi la moneta esaurisca il proprio corso e venga sostituita.
Gli pareva una bella idea, tanto che dopo l’armistizio, il 10 settembre 1943, propose alla Repubblica di Salò di adottarla. Non se ne fece nulla. Dieci anni prima, rivolgendosi direttamente a Mussolini, gli aveva indicato il sistema per «non far pagare le tasse ai cittadini, tassando il denaro alla Banca centrale al momento dell’emissione». Come tutti sanno, non se n’era fatto nulla neanche allora...

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