martedì 14 luglio 2009

Lo sbilanciamento globale

Lo sbilanciamento globale
di Joseph Stiglitz e Jean-Paul Fitoussi, Il Manifesto, 13/07/2009

La crisi, iniziata nel 2007 in un piccolo segmento del mercato del credito Usa (quello dei mutui subprime), è oggi una recessione globale. Essa ha quattro caratteristiche distintive. La prima è il suo essere veramente globale, poiché è iniziata proprio al centro del sistema. La seconda è che, più di quanto non sia accaduto in altre crisi del passato, la crisi attuale è dominata da un senso diffuso di ingiustizia. La terza peculiarità è che le sue radici affondano tanto in cause strutturali quanto nella rilassatezza della cornice di regolamentazione del settore finanziario. La quarta è che è «un prodotto della dottrina».
L'aver creduto nella capacità di autoregolazione dei mercati ha portato alla deregulation e a una diffusa sfiducia nell'intervento pubblico.

La crisi finanziaria, scatenata da un numero modesto di inadempienze sui mutui subprime, si è trasformata in una crisi di sistema a causa della catena di innovazioni finanziarie indotte dal lassismo della politica monetaria e dalla rilassatezza della cornice di regolamentazione, che hanno moltiplicato gli effetti dello shock iniziale. Il contagio dell'economia reale avviene principalmente attraverso l'inasprimento delle condizioni del credito per le famiglie e le imprese. Nel tentativo di ricostituire rapporti più ragionevoli, le banche o accumulano liquidità, o prestano a tassi più alti. D'altro canto, le imprese tendono a usare il loro flusso di cassa per ricostituire rapporti più prudenti tra debito e capitale, posticipando così l'investimento. Le famiglie subiscono un effetto negativo sulla ricchezza. Il risultato è una diminuzione generalizzata della domanda aggregata, che spinge la maggior parte degli economisti a prevedere il prolungarsi della recessione anche nel 2010, con effetti eccezionalmente forti di disoccupazione e povertà in tutto il mondo. Oggi appare probabile che gli scenari più foschi prefigurati dall'Oil (Organizzazione internazionale del lavoro), secondo cui la disoccupazione sarebbe destinata ad aumentare di 50 milioni di unità in tutto il mondo nel 2009, si riveleranno eccessivamente ottimistici. Oltre 200 milioni di lavoratori potrebbero essere sospinti in una condizione di povertà estrema, soprattutto nei paesi in via di sviluppo ed emergenti, dove non ci sono reti di protezione sociale. Ciò significa che il numero di lavoratori poveri, cioè persone che guadagnano meno di 2 dollari Usa al giorno per ciascun membro del nucleo familiare, potrebbero arrivare a 1,4 miliardi di unità. Il 60% delle persone povere nel mondo è costituito da donne.

La crisi ha radici strutturali. La carenza di domanda aggregata ha preceduto la crisi finanziaria ed è stata dovuta a cambiamenti strutturali nella distribuzione del reddito. A partire dal 1980, in quasi tutti i paesi avanzati il salario mediano è stato stagnante, e sono aumentate le disuguaglianze a tutto vantaggio dei redditi alti. Ciò rientra in un processo più ampio che ha investito anche svariati settori dei paesi in via di sviluppo. Questo trend ha molte cause, tra cui una globalizzazione asimmetrica (con una maggiore liberalizzazione del mercato dei capitali rispetto al mercato del lavoro), le carenze nella corporate governance (le regole che presiedono alla gestione delle imprese, ndt) e il crollo delle convenzioni sociali egualitarie emerse dopo la seconda guerra mondiale. Poiché la propensione al consumo nei redditi bassi è generalmente maggiore, questo trend a lungo termine nella redistribuzione del reddito avrebbe avuto di per sé l'effetto macroeconomico di deprimere la domanda aggregata.

Negli Usa la compressione dei redditi bassi è stata compensata dalla riduzione del risparmio delle famiglie e da un crescente indebitamento. Ciò ha permesso che i modelli di spesa restassero virtualmente inalterati. Allo stesso tempo, la limitatezza delle reti di protezione ha costretto il governo a perseguire attivamente politiche macroeconomiche per combattere la disoccupazione, anche facendo aumentare il debito pubblico. Così, la crescita è stata mantenuta al prezzo di far aumentare l'indebitamento pubblico e privato.
La maggior parte dei paesi europei segue un percorso diverso. La redistribuzione verso i redditi più alti si è tradotta in un maggiore risparmio nazionale e in una depressione della crescita. Negli ultimi quindici anni l'assetto istituzionale, e in modo particolare le limitazioni al deficit contenute nei parametri di Maastricht e nel Patto di stabilità e crescita, hanno prodotto una bassa reattività delle politiche fiscali e di una politica monetaria restrittiva. Questo, insieme a un settore finanziario meno propenso all'innovazione, ha limitato l'accesso al prestito per i consumatori. La diversa distribuzione ha prodotto una crescita modesta.

Questi due percorsi si sono rafforzati a vicenda perché i risparmi provenienti dalla zona Ue hanno contribuito a finanziare l'indebitamento negli Usa, insieme ai surplus di altre regioni che per diversi motivi - sostanzialmente, per garantirsi contro l'instabilità macroeconomica causata dalla crisi della bilancia dei pagamenti e dalla conseguente perdita di sovranità dovuta all'intervento delle istituzioni finanziarie internazionali - hanno registrato anch'esse alti tassi di risparmio (in modo particolare i paesi produttori di petrolio dell'Asia orientale e del Medio Oriente). Così, la combinazione di squilibri strutturali che va sotto il nome di «sbilanciamento globale» si è tradotta in un fragile equilibrio che ha momentaneamente risolto il problema della domanda aggregata su scala globale a discapito della crescita futura. Una componente importante di questo fragile equilibrio era il lassismo della politica monetaria. In effetti, senza una politica monetaria di continua espansione la carenza di domanda aggregata avrebbe influito negativamente sull'attività economica. La politica monetaria, in un certo senso, era endogena rispetto allo squilibrio strutturale della distribuzione del reddito

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