domenica 14 giugno 2009

Caccia al tesoro della mafia

I retroscena delle indagini della magistratura svizzera e italiana

Da Lugano a Palermo
caccia al tesoro della mafia


Mauro Spignesi
, Caffè.ch

Parla, parla tanto. Contrariamente al padre, Massimo Ciancimino indica date, orari, svela particolari di faccende rimaste sconosciute per anni, fa nomi e cognomi. E poi aggiunge, sottolinea, elenca a memoria i conti correnti dove sono finiti i soldi dell’immenso tesoro accumulato da “don” Vito Ciancimino, l’uomo del “sacco di Palermo”. E su un conto in particolare i magistrati italiani Antonio Ingoia e Nino Di Matteo si stanno concentrando in questi giorni: si chiama Mignon, ma il nome non gli si addice visto che qui sarebbero transitati un milione e 300 mila euro. Soldi che secondo il figlio del boss scomparso anni fa sarebbero stati poi dirottati a politici siciliani dopo l’aggiudicazione dell’appalto del gas metano. Il Ticino e la Svizzera sono un filo di questa matassa piuttosto aggrovigliata. E sono tappe importanti nella lunga ricerca del tesoro di mafia distribuito in mille rivoli e tra decine di società anonime tra Svizzera, Spagna, Stati Uniti, Portogallo, Russia, Romani e Ucraina, e che Giovanni Falcone cercò inutilmente per 25 anni. In realtà il giudice siciliano ci arrivò vicino nel 1982, ma Ciancimino avvertì il suo contabile che svuotò i conti più a rischio aperti a Lugano, Friburgo e Zurigo e dirottò il malloppo in Olanda. Già allora si parlava di disponibilità, progressivamente rientrate nella confederazione e in buona parte finite sotto sequestro, per un valore complessivo di oltre 50 milioni di euro. Cifre astronomiche, certo. Ma Vito Ciancimino, ex sindaco di Palermo, primo politico condannato in Italia per mafia e morto nel novembre 2002 a Roma dopo essere uscito dall’ospedale, aveva messo da parte una montagna di quattrini affidandoli a insospettabili prestanome (tra cui un avvocato e un docente universitario romano). Soltanto al figlio Massimo, che dopo una condanna a cinque anni ha deciso di vuotare il sacco su questa holding del malaffare, sono stati confiscati 60 milioni: tutti conservati in conti tra Zurigo, Ginevra, Lugano e Chiasso. Ma a sollevare il velo, oltre i racconti di Ciancimino junior e alle indagini della magistratura italiana hanno contribuito non poco i magistrati svizzeri. Grazie a loro sono stati individuati i bonifici, il passaggio del denaro da una banca all’altra, i versamenti. E proprio ai funzionari delle banche ticinesi “spetta il merito d’averci aiutato non poco”, come hanno confessato gli uomini della Procura della Repubblica di Palermo anche nelle aule del Tribunale. D’altronde in questo lungo romanzo-verità a puntate sulle ramificazioni della mafia italiana, i funzionari svizzeri hanno avuto un ruolo da protagonisti rispettando in pieno la legge contro il riciclaggio del denaro sporco. È stato uno di loro che a Lugano ha segnalato un conto cifrato da 100 mila euro riconducibile al ragioniere di Cosa Nostra Bernardo Provengano, l’uomo dei “pizzini”. E la magistratura ticinese ha potuto così ricostruirne in parte il percorso. Tanto che il procuratore pubblico della Confederazione Pierluigi Pasi è volato pochi giorni fa a Palermo (dopo una rogatoria-lampo) per trovare riscontri, che secondo i giornali italiani avrebbe puntualmente trovato, e a parlare con i suoi colleghi per far luce su altri conti che fanno parte del tesoro di Provenzano e che sono stati aperti sempre a Lugano e Chiasso alla fine degli anni Novanta.

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