mercoledì 27 maggio 2009

IL MISTERO DEL MISTERO DEL CAPITALE

Il mistero del capitale
Da: MONETA NOSTRA, di Marco Saba, inedito 2009

"La IBBC è una banca, il loro obiettivo non è il controllo del conflitto, è il controllo del debito che il conflitto produce. Vedete, il grande valore di un conflitto, il vero valore, sta nel debito che genera. Se controlli il debito, controlli tutto quanto. Voi lo trovate inquietante, vero? Ma è questa la vera essenza dell'industria bancaria: fare di tutti noi - sia che siamo nazioni o individui - schiavi del debito."
- Luca Barbareschi, nel film "The International", 20 marzo 2009

Dopo la caduta del muro di Berlino, nel 1989, a distanza di vent'anni precisi si ha la sensazione che questo 2009 sia l'anno della caduta del muro di Wall Street (che dall'inglese si traduce appunto: la "strada del muro"). Alle radici della crisi economica globale che stiamo attraversando, sta soprattutto l'asimmetria del'informazione, presso il grande pubblico, rispetto alla natura della moneta ed al modo in cui viene emessa, tema centrale della mia annosa ricerca. Una volta capito il razionale della creazione della moneta e del credito, sappiamo che più del 90% del circolante viene emesso "a debito". Ovvero, contro garanzie collaterali. Questo perché - per la precisione - esistono tre metodi di emissione monetaria che tradizionalmente NON avvengono "a debito":
- le monete metalliche, il cui valore nominale risulta un falso passivo nel bilancio dello stato;
- la moneta contraffatta dai falsificatori e contraffattori, oggetto delle indagini delle forze di polizia;
- la moneta cartacea o virtuale utilizzata dalle banche - centrali e non - per acquisti diretti.
Il fenomeno delle monete locali e complementari, che anch'esse iniettano liquidità, è davvero ancora troppo marginale per essere preso in considerazione in senso significativo (a parte in Svizzera dove essendo il Wir, una moneta complementare al franco svizzero, in vigore dal 1930 ed avendo a disposizione una banca propria, si stanno producendo risultati apprezzabili).
Le monete metalliche rappresentano un'appropriazione di potere d'acquisto da parte dello Stato senza ulteriore tassazione (al contrario di quando lo Stato si approvvigiona di moneta emettendo titoli del tesoro). Le monete e banconote false rappresentano un'appropriazione di potere d'acquisto da parte dei falsari che, nel caso delle monete metalliche, va a danno dello Stato (è un mancato introito). Nel caso delle banconote, va a danno delle private banche centrali d'emissione. E comunque, senza dovere di rendicontazione nè supervisione, salvo le conseguenze penali. Le monete cartacee e virtuali emesse dalla banca centrale ed utilizzate per acquisti diretti - come ad esempio le operazioni di mercato aperto in borsa e fuori borsa, ma anche l'acquisto di arredi per una filiale - sono anch'esse un'appropriazione indebita di potere d'acquisto ma hanno il vantaggio di iniettare liquidità nel mercato libere da debito ed interessi. Tutto il resto della moneta viene emesso a debito più interessi, il che vuol dire che genera una quantità di moneta inferiore a quanta dovrà essere restituita. E' importante capire che la somma delle quantità delle tre emissioni suscritte garantirebbe un regolare flusso monetario se, e solo se, corrispondesse almeno alla quantità di interessi che vengono richiesti dagli operatori finanziari nello stesso periodo di tempo. Se la quantità nell'aggregato è minore degli interessi richiesti (o è inizialmente adeguata ma è composta in parte da moneta falsa che viene scoperta e distrutta), allora si crea una scarsità artificale dei mezzi di pagamento nel mercato. In sostanza, alla fine dell'anno chi non riuscirà a pagare gli interessi per MANCANZA FISICA del mezzo monetario in circolazione, si vedrà costretto a cedere beni reali per soddisfare il debito. In caso di impossibilità di coprire la somma del debito, si assiste a fallimenti, suicidi, sparatorie, rapine, etc. Questa, purtroppo, è la situazione normale. Questo è anche il motivo per cui ho una posizione fortemente critica nei confronti del microcredito, quando sia praticato contro interessi, ovvero sia usuraio, perché nella migliore delle ipotesi mette in competizione i poveri portandone una parte alla disperazione, per forzata inadempienza, mentre quelli più "fortunati" accederanno al mercato bancario tradizionale, continuando ad alimentare la pompa della disperazione post-sovietica della vita moderna del debito inesigibile. Il microcredito potrebbe invece funzionare egregiamente con l'utilizzo di monete locali distribuite senza interessi, allora sì che il discorso cambierebbe, e parecchio! Ma allo scopo della trattazione in questo capitolo, supponiamo che, effettivamente, le tre emissioni di cui sopra riescano a compensare perfettamente la richiesta di interessi, portando ad un pareggio tra la moneta emessa a debito ed il riflusso dei ripagamenti dei debiti comprensivi di interessi. Questa premessa era necessaria per inquadrare il problema dal punto di vista della persona che legge questo testo come una specie di "Manuale del piccolo Rothschild". Nel caso quindi di un equilibrio monetario, rimane il problema di quanti sono tagliati fuiori dal circuito del credito (supponendo che non esistano persone escluse a causa di precedenti fallimenti, discriminazioni nelle banche-dati dei creditori, o per altri motivi): si tratta di chi non ha accesso alle garanzie collaterali. Ovvero, alle garanzie che vengono richieste dal prestatore per effettuare il prestito. Il motivo per cui non si ha accesso alle garanzie può essere dovuto alla mancanza sostanziale dei requisiti: non ho un lavoro, una busta paga con cui garantire il rimborso, oppure non ho dei beni, degli assetti da mettere a garanzia come ad esempio degli immobili; ma anche, e questo è il caso più comune, non ho il titolo fisico che dimostra la proprietà delle garanzie (ad esempio, lavoro in nero e non ho una busta paga, oppure possiedo beni mobili e/o immobili ma senza un titolo legale opponibile a terzi). Esiste anche il caso che il finanziatore comunque non ci voglia prestare i soldi, ed allora accamperà la scusa che manca sempre qualcosa per mandare avanti la pratica. Queste considerazioni non devono ingannare il lettore facendo pensare solo a situazioni di paesi del terzo mondo, o come si dice oggi, in via di sviluppo: da un recente studio della Banca Mondiale, l'Italia risulta al 63esimo posto in una lista di 181 paesi per l'accesso al credito! Altro che i prefetti a vigilare delle banche, come vuole il ministro Tremonti... Non esiste di fatto un Tribunale d'appello o una procedura di tutela del consumatore, se ci viene negato un prestito. Ma non divaghiamo. L'economista peruviano Hernando De Soto (da non confondere con l'economista della Scuola Austriaca Jesus Huerta De Soto) ha studiato a fondo dei fenomeni interessanti relativi al problema della creazione del capitale nei paesi in via di sviluppo e del relativo accesso al credito. Il periodo temporale che De Soto analizza data dalla caduta del muro di Berlino, un momento storico che, con la caduta del regime sovietico, si vuol far rappresentare la "vittoria" del sistema capitalista occidentale. Secondo il De Soto, "La caduta del muro di Berlino ha posto fine a oltre un secolo di competizione tra capitalismo e comunismo. Il capitalismo è rimasto, da solo, l'unico modo fattibile di organizzare razionalmente un'economia moderna. In questo momento storico non vi è nessun paese responsabile che possa ritenersi davanti a una scelta. Di conseguenza, con gradi di entusiasmo diversi, i paesi del Terzo Mondo e i paesi ex comunisti hanno pareggiato i loro bilanci, tagliato i sussidi, accolto con favore gli investimenti esteri e abbassato le barriere doganali. I loro sforzi sono stati ripagati con un'amara delusione. Dalla Russia al Venezuela, i cinque anni successivi sono stati un periodo di crisi economica, crollo dei redditi, ansia e risentimento; di "fame, sommossa, saccheggio", secondo le taglienti parole del primo ministro della Malaysia, Mahathir Mohammad. In un recente editoriale il "New York Times" scriveva: "In gran parte del mondo, al mercato come luogo d'incontro, esaltato dall'Occidente negli ultimi bagliori della vittoria della guerra fredda, è subentrata l'idea della spietatezza dei mercati, la diffidenza verso il capitalismo, il senso di instabilità". Ma il trionfo del capitalismo unicamente in Occidente potrebbe essere la ricetta per un disastro economico e politico". Nel suo libro sul mistero del capitalismo, da cui ho tratto il titolo di questo testo, il De Soto individua alcune problematiche tipiche:

IL MISTERO DELL'INFORMAZIONE PERDUTA

Le organizzazioni caritative hanno talmente enfatizzato le miserie e la desolazione dei poveri del mondo che nessuno ha pensato di documentare accuratamente la loro capacità di accumulare attività patrimoniali. Negli ultimi cinque anni, insieme a un centinaio di colleghi di sei paesi diversi, De Soto ha chiuso i libri, aperto gli occhi, ed è uscito all'aperto, nelle strade e nelle campagne di quattro continenti, per calcolare quanto hanno risparmiato i settori più poveri della società. La quantità è enorme. Ma, per la maggior parte, si tratta di capitale morto.

IL MISTERO DEL CAPITALE

È il mistero chiave, ed è al centro della ricerca del De Soto. Il capitale è un tema che ha affascinato molti pensatori negli ultimi tre secoli. Marx ha detto che occorre andare oltre la fisica per toccare "la gallina dalle uova d'oro"; Adam Smith riteneva che si dovesse creare "una specie di strada carreggiabile attraverso l'aria" per raggiungere la stessa gallina. Ma nessuno ci ha detto dove questa gallina si nasconda. Che cos'è il capitale, come è prodotto, e come è collegato alla moneta?

IL MISTERO DELLA CONSAPEVOLEZZA POLITICA

Se esiste tanto capitale morto nel mondo, in possesso di tantissimi poveri, perché i governi non hanno cercato di attingere a questa ricchezza potenziale? Semplicemente perché l'evidenza che essi cercavano è diventata disponibile solo negli ultimi quarant'anni, quando miliardi di persone in tutto il mondo sono passati da una vita organizzata su piccola scala alla vita organizzata su scala più grande. Questa migrazione verso le città, l'inurbamento, ha rapidamente introdotto la divisione del lavoro e ha diffuso nei paesi più poveri di una grande rivoluzione industriale/commerciale, che però, incredibilmente, è rimasta virtualmente ignorata.

LE LEZIONI DIMENTICATE DELLA STORIA

Ciò che sta avvenendo nel Terzo Mondo e nei paesi ex comunisti è già accaduto in Europa e nell'America del Nord. Disgraziatamente, siamo stati talmente condizionati dall'insuccesso di tanti paesi nel compiere la transizione al capitalismo, che abbiamo dimenticato l'esperienza dei paesi che hanno avuto successo. Per anni, dai tecnocrati e politici dei paesi avanzati, dall'Alaska a Tokyo, non è venuta alcuna risposta. Era un mistero. Alla fine De Soto trova la risposta nei loro libri di storia, con l'esempio più pertinente che è fornito dalla storia degli Stati Uniti.

IL MISTERO DEL FALLIMENTO GIURIDICO: PERCHÉ IL DIRITTO DI PROPRIETÀ NON FUNZIONA AL DI FUORI DELL'OCCIDENTE

A partire dal xix secolo, molti paesi hanno copiato le leggi dell'Occidente per dare ai loro cittadini il quadro istituzionale necessario per produrre ricchezza. Ancora oggi continuano a copiare quelle leggi ma, ovviamente, qualcosa non funziona. La maggior parte dei cittadini non può ancora usare la legge per convertire i propri risparmi in capitale. Perché accada ciò e che cosa occorra per far funzionare le leggi resta misterioso.

Un ovvio punto di partenza è l'inadeguata documentazione delle attività patrimoniali. In Occidente, ogni particella di terreno, ogni edificio, ogni elemento di un impianto o magazzino di scorte è rappresentato da un documento di proprietà che è il segno visibile di un vasto processo nascosto che collega tutti questi beni al resto dell'economia. Grazie a questo processo di rappresentazione, le attività patrimoniali possono condurre una vita invisibile, parallela alla loro esistenza materiale. Possono essere usate come collaterale per il credito. La più importante fonte di fondi per l'avviamento delle nuove imprese è l'ipoteca sulla casa dell'imprenditore. Questo perché, in sostanza, dobbiamo guardare a come si realizza in pratica il prestito bancario. La banca, abbiamo detto anche altrove - "crea denaro dal nulla". Ma la maggior parte di questo denaro che crea - e che genera debito - in realtà è una monetizzazione delle garanzie offerte da colui che chiede il prestito. Nel caso della garanzia immobiliare, la banca usa il contratto del prestito firmato dal cliente come fosse un bene da scontare: le da un valore e lo monetizza accreditando il relativo importo sul conto corrente del cliente oppure, ma più raramente, tramite assegno bancario. Questo è un punto fondamentale: la banca NON usa denaro che già possiede o che le è stato prestato, ma lo crea contabilmente all'occasione sulla base del bene impegnato. In sostanza, si può ben dire che E' LA GARANZIA DEL BENE DEL CLIENTE CHE GENERA IL DENARO che la banca gli accredita. La banca quindi - sulla base degli accordi stipulati - chiederà, per soprammercato, che il cliente ripaghi quella stessa quantità di denaro - oggetto del contratto - più gli interessi, per svincolare e liberare la garanzia. La banca si fa pagare a caro prezzo la contabilizzazione econometrica delle garanzie perché quando riceve in cambio il denaro guadagnato dal cliente, nel cosiddetto meccanismo del riflusso bancario, questi soldi comprensivi di interessi vengono "inverati" e la banca ne potrà disporre come meglio crede. Le banche sostengono che, quando ricevono indietro i soldi, tengono solo la quota parte degli interessi (che nel caso di un mutuo possono superare del 100% il capitale) mentre il capitale "lo distruggerebbero". E' evidente che si tratta di una asserzione ridicola e, quando mai il vostro direttore di banca organizzasse un barbecue dove in un gran falò bruciasse tutti questi soldi provenienti dal riflusso del capitale, chiamatemi: sono proprio curioso di venire a vedere. Le banche non sono quindi dei puri intermediari del credito, come vorrebbero far credere e come avviene - o dovrebbe avvenire - nel caso delle finanziarie, ma sono dei veri e propri enti d'emissione (di denaro virtuale). Questo semplice fatto occorre che sia ben chiaro al lettore, perché ho trovato funzionari di banca che, in tutta apparente buona fede, non l'avevano assolutamente "capito". La considerazione è importante, perché, in caso di default, nel caso in cui il cliente non riesca a rimborsare il prestito, spesso a causa della carenza artificale di denaro circolante poiché il riflusso viene perlopiù immediatamente riprestato ad interesse, la perdita secca per la banca è sostanzialmente circoscritta alle spese della pratica ed al mancato "guadagno". Teniamolo ben chiaro: se tutti i prestiti venissero improvvisamente condonati da un governo ispirato, con grande sollievo economico della popolazione, la perdita per le banche sarebbe solo minima e "virtuale". In compenso però si potrebbe rimettere in moto l'economia. E' chiaro che, per arrivare a questo, ci vorrà una grande disponibilità a mettere in luce quei meccanismi gelosamente custoditi dalla casta dei banchieri, un bello sforzo psicologico di "outing". Ma se c'è un momento giusto per farlo, quello attuale parrebbe proprio quello adatto. Fatta questa dovuta premessa, e capito il meccanismo della creazione monetaria, possiamo tornare a prendere in considerazione il lavoro del De Soto e "la vita invisibile parallela" - ora illuminata - dei titoli relativi alla proprietà privata all'interno del circuito del credito. Queste considerazioni sono importanti perché possono servire per elaborare un sistema più trasparente di erogazione dei prestiti a favore ANCHE del consumatore o dell'imprenditore. Pare che i paesi del terzo mondo non abbiamo molta confidenza con il processo rappresentativo della proprietà e dei patrimoni. Questo porta ad una sottocapitalizzazione poiché non riescono a "monetizzare" le garanzie di cui non dipsongono concretamente sulla carta, allo stesso modo in cui è sottocapitalizzata un'impresa quando emette meno titoli di quanto il suo reddito e il suo patrimonio giustificherebbero. Le imprese dei poveri sono molto simili a società che non possono emettere azioni o obbligazioni per ottenere nuovi investimenti e nuovi finanziamenti. Senza rappresentazione, le loro attività patrimoniali sono capitale morto. Questo capitale morto è stato calcolato in cifre ingentissime dal De Soto, e quindi rappresenterebbe un'occasione perduta per queste popolazioni. In sostanza, c'è difficoltà ad avere titoli validi di proprietà di terre che comunque vengono coltivate, o di casupole che vengono abitate. I poveri che vivono in questi paesi — la stragrande maggioranza — possiedono beni ma sono esclusi dal processo che dà modo di rappresentare la loro proprietà e di creare capitale. Hanno case ma non titoli, raccolti agricoli ma non atti legali, imprese ma non statuti societari. È la carenza di queste forme essenziali di rappresentazione a spiegare la difficoltà di formazione del capitale nei paesi o nelle aree povere. Naturalmente occorre spiegare perché gli occidentali, rappresentando le attività patrimoniali mediante titoli, sono in grado di ricavarne capitale. Lungo tutta la loro storia, gli esseri umani hanno inventato sistemi di rappresentazioni — scrittura, notazione musicale, contabilità a partita doppia — per afferrare con la mente ciò che mani umane non avrebbero mai potuto toccare. Allo stesso modo, i tecnici del capitale, dai creatori del sistema integrato di titoli e azioni di società, ai grandi finanzieri, sono stati capaci di rivelare ed estrarre capitale, dove altri vedevano solo spazzatura, immaginando modi nuovi di rappresentare il potenziale invisibile che è racchiuso nelle attività che accumuliamo. Bisogna dire che - rileggendo oggi il testo del 2001 del De Soto, scopriamo che molti di questi alchimisti della finanza alla fine hanno preso anche dei giganteschi granchi. A mio avviso questo dipende proprio dal fatto che da una parte abbiamo gli esperti del settore che usano strumenti sofisticati, dall'altra abbiamo una gran massa di pubblico ignorante dei meccanismi più elementari. Quando arriva il momento che, per il meccanismo dei vasi comunicanti - e anche grazie ad internet - questa conoscenza e coscienza diventa di dominio pubblico, è ovvio che la gente perderà fiducia in un gioco d'azzardo dove il banco vince sempre - barando. Il De Soto analizza varie situazioni in vari paesi e suggerisce tutta una metodologia ed un percorso per arrivare a rappresentare tutto il "capitale morto" che altrimenti potrebbe essere messo in gioco, nel gran Luna Park della finanza. Ed asserisce: "L'assenza di questo processo, nelle più povere regioni del mondo dove vivono i cinque sesti dell'umanità, non è la conseguenza di una cospirazione monopolistica occidentale. Piuttosto, gli occidentali danno talmente per scontato questo meccanismo da smarrire la consapevolezza della sua esistenza. Benché sia enorme, nessuno lo vede, compresi gli americani, gli europei, i giapponesi che devono tutta la loro ricchezza all'abilità con cui lo usano. Si tratta di un'infrastruttura legale profondamente nascosta nel loro regime proprietario, di cui la proprietà non è che la punta dell'iceberg. Il resto dell'iceberg è un intricato processo costruito dall'uomo che trasforma beni posseduti e lavoro in capitale. Questo processo non è stato creato a bella posta e non è descritto in nessun pieghevole in carta patinata. Le sue origini sono oscure e il suo significato è sepolto nell'inconscio economico dei paesi occidentali capitalistici." Benissimo, certo. E poi ancora, critica il sistema della "mafia" dei notai, una casta di persone nata - come gli avvocati - al tempo in cui la gente era davvero analfabeta ed occorreva qualcuno che sapesse davvero leggere e scrivere. Ma io mi chiedo: a che serve la scuola dell'obbligo se poi i meccanismi-chiave non sono nemmeno ben noti a chi li utilizza nell'attività quotidiana? Ed ancora, e questa è la domanda da un milione di...MONETE NOSTRE: a che serve creare tutta questa quantità di titoli di rappresentazione della proprietà privata se il vero meccanismo di creazione del capitale - una cifra convenzionalmente scritta su di un terminale di una banca - rimane oggetto di un oligopolio e non è un bene comune? Voglio dire, se il banchiere sono io e se utilizzo il sistema di creazione "dal nulla" con gli interessi - intrinsecamente truffaldino perché impossibile da saldare nella realtà attuale e perché si appropria beffardamente del pubblico potere d'acquisto - è chiaro che più titoli voi metterete nero su bianco e più proprietà potrò espropriare "legalmente" tramite il meccanismo del debito... Guardate che sta già avvenendo sotto i vostri occhi: la privatizzazione dell'acqua, i semi OGM che si suicidano e che devono essere ricomprati per ogni nuova semina e, infine, l'ARIA. Certo! Cosa credete che sia la CO2 se non ARIA? La tassa sull'aria di Kyoto, che rappresenta il culmine di questo delirio di appropriazione delle cose altrui, della cosa pubblica, è l'ovvio risultato di tutto quel lavorìo invisibile che il De Soto vorrebbe spacciarci per un gran progresso dell'umanità. Una volta che tutti i contadini abbiano registrato il loro piccolo pezzetto di terra, arriverà il banchiere dei poveri a fargli un piccolo prestito, poi a pignorarglielo e poi a sequestrarlo... Questo è il pericolo che De Soto non denuncia, ma che - se ci pensate un attimo - fa quasi dire: meglio così! Almeno a questi quattro quinti della popolazione non sono ancora riusciti a sequestrargli legalmente tutto quel poco - o tanto - che possiedono. Più che di "capitale morto" allora parlerei di "capitale sopravvissuto". Ora capite perché alcuni stati - dopo periodi di privatizzazione selvaggia - ricorrono, come il Venezuela, alla nazionalizzazione o rinazionalizzazione delle risorse primarie essenziali per l'economia della nazione. Allo stesso modo, sul piano opposto, troviamo i grandi biscazzieri della finanza bancaria che si lamentano perché in Cina e Russia non gli danno una licenza per aprire o comprare una banca locale! Ovviamente il discorso sarebbe molto diverso se, invece, si facesse una riforma del sistema che attuasse una giustizia redistributiva delle rendite monetarie. Dove la monetizzazione avesse un costo minimo di mercato, senza monopoli, e dove il rapporto con le banche fosse a reciproco beneficio coi clienti. L'deale sarebbe, quindi, una moneta distribuita senza interessi dove la rendita monetaria eccedente le spese bancarie, venisse ridistribuita alla società con forme da convenire (principalmente: sostituendo le imposte). Sarebbe davvero la libera concorrenza, in questo caso, ad abbassare al minimo il costo del capitale, invece di rarefarlo o renderlo inaccessibile ad arte. Per finire: l'economista Hernando De Soto, oltre che al peruviano Istituto per la Libertà e la Democrazia (ILD), lavora anche alla Commissione per il Riconoscimento Giuridico dei Poveri del Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite (la Commission on the Legal Empowerment of the Poor dell'United Nations Development Program, UNDP) a capo della quale troviamo una vecchia conoscenza: l'ex-segretario di Stato USA Madeleine Albright, la signora che diceva che... mezzo milione di bambini morti in Iraq poteva essere un prezzo giusto da pagare per rincorrere Saddam. Non mi stupisce, a questo punto. Come diceva qualcuno, a pensar male si fa peccato, ma, spesso, ci si indovina.
http://www.ild.org.pe/files/u1/desoto-albright-2008.jpg
Madeleine Albright e, a destra, Hernando De Soto


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Madeleine Albright: "500,000 Dead Iraqi Children Was Worth It"

Sometimes Genocide Is OK...
It just depends who is in office at the moment.

Here is a much forgotten exchange between Lesley Stahl and Madeleine Albright on "60 Minutes" back on May 12, 1996 that is not getting much play lately:

Lesley Stahl on U.S. sanctions against Iraq: We have heard that a half million children have died. I mean, that's more children than died in Hiroshima. And, you know, is the price worth it?

Secretary of State Madeleine Albright: I think this is a very hard choice, but the price--we think the price is worth it.
In case you missed that episode, here is the video:



It's worth noting that on 60 Minutes, Albright made no attempt to deny the figure given by Stahl--a rough rendering of the preliminary estimate in a 1995 U.N. Food and Agriculture Organization (FAO) report that 567,000 Iraqi children under the age of five had died as a result of the sanctions.

1 commento:

  1. Ottima analisi con informazioni di rilievo e poco conosciute, complimenti.
    F

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